domenica 25 gennaio 2009

L’ARCIPELAGO DELLE MENZOGNE DI ALEKSANDR SOLZHENITSYN

La scomparsa di Solzhenitsyn segna l’uscita di scena di uno degli ultimi emblemi della Guerra Fredda scatenata dagli USA e dai suoi vassalli occidentali per contrastare e, in seguito, sconfiggere quello che Marx ed Engels, con lungimiranza, avevano definito più di un secolo prima “lo spettro del Comunismo” che si aggirava per l’Europa a spaventare le grandi potenze. L’“Operazione Solzhenitsyn” fu condotta dalla Cia, con l’appoggio dei circoli culturali occidentali e dei mass media anticomunisti, in modo magistrale: fu intercettato un mediocre scrittore, regolarmente pubblicato in Unione Sovietica tra l’indifferenza e il disprezzo generale, fu fatta leva sulle sue frustrazioni per la marginalità in cui languiva, fu generosamente finanziato e istigato a scrivere una serie di opere nelle quali veniva sapientemente inserita tutta la più bieca pubblicistica anticomunista ed antisovietica, infine, dopo la legittima reazione delle autorità sovietiche, fu trasformato in “vittima del regime”, addirittura assurto agli onori del Nobel e, una volta espulso (il 13 febbraio 1974) dal Paese che tanto aveva dimostrato di odiare, trasformato in una sorta di “Madonna Pellegrina” planetaria per diffondere il verbo dell’anticomunismo. Nell’ottobre 1969, l’allora prestigiosissimo quotidiano londinese Times (che non era certo sospettabile di filo comunismo) scriveva testualmente: “ Gli onorari delle sue opere vengono sistematicamente versati dalle case editrici occidentali sul fondo di un cosiddetto ‘Comitato internazionale d’assistenza’, il cui compito precipuo è l’organizzazione di azioni ostili contro l’URSS e i paesi della comunità socialista”. Quando, nel 1970, inopinatamente e tra lo stupore dei circoli culturali indipendenti, gli fu assegnato il Nobel per la Letteratura, la Literaturnaja gazeta, prestigioso e diffusissimo organo degli Scrittori Sovietici scrisse (edizione del 14 ottobre 1970): “E’ increscioso che il Comitato per i Premi Nobel si sia lasciato coinvolgere in un giuoco indegno, intrapreso non negli interessi dello sviluppo dei valori spirituali e delle tradizioni della letteratura, ma per considerazioni di speculazione politica”.
I libri “Agosto 1914” e “Arcipelago Gulag” (come del resto i precedenti “Il primo cerchio” e “Reparto cancro”) sono esplicitamente dei manifesti politici che perseguono il determinato scopo di negare il valore della Rivoluzione d’Ottobre, idealizzare il latifondo patriarcale della vecchia Russa zarista e denigrare la società e lo stato Sovietico.
“Agosto 1914” è un’opera apertamente antipatriottica ed antipopolare, dalla quale traspare il dispetto dell’autore contro la Rivoluzione che ha privato lui, rampollo di un grande proprietario terriero, dei privilegi ereditari e della ricchezza; dal libro emerge chiaramente la piattaforma politica di Solzhenitsyn quale sostenitore degli ordinamenti dei proprietari fondiari capitalistici e quale epigono dell’ideologia dei cadetti, disposto a prezzo del tradimento della Patria ad adoperarsi per la restaurazione dell’ordinamento borghese. Dopo l’uscita del libro, nel dicembre 1971, la rivista tedesca Stern (anche questa filocomunista?) pubblicò un ampio articolo nel quale ricostruì impietosamente la storia della famiglia Solzhenitsyn dimostrando il carattere autobiografico dell’opera, che l’autore intendeva invece negare.
“Arcipelago Gulag” non è un racconto né un romanzo e quindi, se parliamo delle forme letterarie, non lo possiamo ritenere una descrizione della realtà attraverso l’espressione artistica. Nel libro occupa un posto di rilievo la Seconda guerra mondiale. E’ ovvio che, parlando di questo periodo, non si può prescindere dal ricordare i 56 milioni di morti in Europa e in Asia, compresi i 20 milioni di caduti sovietici e i 6 milioni di ebrei bruciati dai nazisti nei crematori dei campi di concentramento. Questi sacrifici inauditi di una tragedia mondiale devono essere il punto di riferimento morale di ogni ricostruzione storica. Scrive lo scrittore Jurij Bondarev: “ La battaglia di Stalingrado, ove la mia generazione di diciottenni ebbe il battesimo del fuoco, e in sanguinosi combattimenti invecchiò di dieci anni, fu, com’è noto, la svolta definitiva del corso degli avvenimenti nella seconda guerra mondiale. Questo durissimo combattimento costò caro al nostro Paese, ai miei coetanei ed a me stesso. Troppe fosse comuni abbiamo lasciato presso il Volga, troppi sono mancati all’appello dopo la vittoria. Sulle alture presso il Don nei giorni afosi e polverosi di luglio e agosto, quando il sole scompariva nel tifone delle esplosioni, ci trattenevano nelle trincee l’odio e l’amore: l’odio per chi era venuto con le armi della Germania nazista per distruggere il nostro Stato e la nostra nazione e, nello stesso tempo, l’amore per ciò che nel linguaggio umano si designa come la madre, la casa, la pista di pattinaggio della propria scuola moscovita, le lame rigate dei pattini, lo stridore di un cancello in qualche posto di Jaroslavl, l’erba verde, la neve che cade, il primo bacio accanto a un portone coperto di neve. In guerra l’uomo prova per il passato i sentimenti più indistruttibili. Noi combattevamo nel presente per il passato, che ci sembrava irrepetibilmente felice. Lo sognavamo, volevamo tornarvi. Noi eravamo romantici: questa era la nostra purezza, la nostra fede, ciò che si può definire il senso della Patria”. Tutto questo per Solzhenitsyn non esiste, nel libro in questione minimizza la vittoria di Stalingrado e la attribuisce alle “Compagnie di correzione”, queste ultime erano delle truppe “forzate” costituite da detenuti per reati comuni, equipaggiate con artiglieria leggera e quindi non assolutamente in grado di frenare la pressione di un’armata corazzata dei tedeschi, i quali inoltre avevano concentrato venti divisioni di fanteria nei settori d’attacco. A questa prima assurda e grave menzogna, Solzhenitsyn aggiunge quella che riguarda la figura del famigerato generale Vlasov; si trattava di un personaggio squalificato, circondato dalla fama infame di un Erostrato, ossessionato dalla brama di successo era altezzoso e suscettibile, scrive ancora Bondarev: ”Non gli piaceva molto aver a che fare coi soldati e recarsi al punto d’osservazione esposto alle cannonate. Preferiva il profondo rifugio blindato del punto di comando, la luce delle batterie d’accumulazione, l’intimità degli acquartieramenti temporanei, ove si disponeva con comodità, senza risparmio e persino con un certo stile aristocratico”. Comandante di capacità medie, non aveva acutezza tattica e portò la seconda armata d’assalto, che egli comandava sul fronte del Volchov nel ’42, ad una penosa disfatta; il peso di questa sconfitta lo portò al passo fatale come testimonia ancora Bondarev: “Di notte, abbandonate le truppe che combattevano ancora, insieme con il suo aiutante andò nel villaggio di Staraja Polist, aperse la porta della prima isba occupata da soldati tedeschi addormentati e disse: ‘Non sparate sono il generale Vlasov”. Per Solzhenitsyn la resa e il tradimento di Vlasov furono il risultato di un fermo convincimento politico, non essendo d’accordo con le azioni di Stalin; tutti gli eroici combattenti della Guerra patriottica avrebbero dovuto seguire il suo esempio: lasciarsi sconfiggere, consegnare la patria ai nazisti per liberare la Madre Russia dal comunismo! Com’è noto, il calunniatore ha una propria logica: non si tormenta sul problema della verità, ma bada soprattutto a riuscire gradito a chi l’ha preso al proprio servizio. Esaltando Vlasov, i suoi accoliti e gli altri traditori della Patria sovietica, Solzhenitsyn parte dal principio per cui nella lotta contro il potere sovietico e il socialismo tutto è giustificato. Perciò egli glorifica i traditori che combatterono armi in pugno contro il loro popolo e non si preoccupa del fatto notorio che nel momento del pericolo mortale della Patria tutto il paese si levò alla guerra contro l’invasione nazista, che milioni di sovietici si batterono senza risparmio contro gli invasori al fronte e nelle retrovie, nei reparti e nelle formazioni partigiane, nel movimento clandestino nelle terre occupate dal nemico. Non gli interessano minimamente gli altri generali sovietici periti nei campi di concentramento nazisti senza calcare la via del tradimento; i suoi “eroi” e il suo “ideale” sono il traditore Vlasov e i vlasoviani, che egli esalta per avere odiato l’ordinamento sovietico al punto di combattere la Patria, e secondo quanto dice testualmente “avrebbero potuto riuscire se i nazisti li avessero organizzati meglio ed avessero accordato loro maggiore fiducia”. E chiaro che Solzhenitsyn affermando che qualsiasi tradimento è giustificato, chiunque lo compia e quale che ne sia la portata, tenta di giustificare anche il proprio. E le anime belle del comitato del Premio Nobel, che ne pensano di questa visione della storia che riabilita un personaggio come Vlasov che, al pari del capo dei fascisti norvegesi Quisling, è sinonimo universale di vile tradimento? Nella sua rabbia contro tutto ciò che è sovietico, ricorre ad ogni mezzo: all’inganno, alla calunnia, alle false manovre; si schiera apertamente finanche con la Gestapo che secondo lui “mirava soprattutto alla verità e rimetteva in libertà gli innocenti”! Il suo grande senso umanitario e libertario lo porta a glorificare un sabotatore nazista, che aveva danneggiato duemila paracadute in un magazzino sovietico, con queste parole: ” In tutta questa lunga cronaca carceraria non s’incontrerà più un eroe del genere”, un cinismo da malfattore capace di esaltarsi davanti alla morte di duemila compatrioti! E pensare che Solzhenitsyn riusciva ad accreditarsi come uno scrittore religioso ma, a rimettere le cose a posto ci pensò il Metropolita Serafim che, nel 1974, lo bollò con queste parole: “…Solzhenitsyn si è dimostrato nelle sue azioni un uomo moralmente degradato, che con odio sfrenato tenta di diffamare e calunniare la terra natale…solo un uomo come lui, per il quale non c’è nulla di sacro, può attribuire ai nazisti ‘uno spirito umanitario’…Sotto il cielo pacifico della nostra Patria lavorano oggi con abnegazione credenti e non credenti, accrescendo la fama e la potenza del nostro paese. Soltanto Solzhenitsyn non ha partecipato a questo lavoro. Egli, come il figliol prodigo, dopo aver ricevuto dalla Patria tutto quanto è utile e necessario per la vita, se n’è andato schierandosi coi nemici dell’ Unione Sovietica. Così doveva essere, poiché questa è la meta cui ha mirato per tutta la vita. Le sue azioni non erano soltanto un insulto al popolo ed alla Patria, ma erano dirette anche contro la distensione.”
Franco Arcidiaco
Fonti bibliografiche:
- Aleksandr Solzhenitsyn, Agosto 1914, Arnoldo Mondadori Editore 1971
- Aleksandr Solzhenitsyn, Arcipelago Gulag, Arnoldo Mondadori Editore 1974
- Pravda, 14 gennaio 1974, 14 febbraio 1974
- Agenzia Novosti aprile 1974
- Literaturnaja gazeta, 12 novembre 1969, 26 novembre 1969, 3 dicembre 1969, 14 ottobre 1970, 12 gennaio 1972, 23 gennaio 1974, 20 febbraio 1974
- Ciasovoj, ottobre 1970
- Stern, dicembre 1971
- New York Times, 14 dicembre 1972, 28 gennaio 1973, 9 marzo 1973, 27 gennaio 1974
- Agenzia United Press, 18 dicembre 1972
- Aa.Vv., Bitva za Leningrad, Ed. Voenizdat, 1964
- K. A. Meretskov, Nasluzhbe narodu, Ed. Politizdat, 1968
- Izvestia, 28 gennaio 1974
- Winston Churchill, Storia della seconda guerra mondiale, Arnoldo Mondadori Editore, 1960
- New York Herald Tribune, 15 ottobre 1942
- L’Espresso, 3 marzo 1974
- Le Monde, 6 febbraio 1974
- Paese Sera, 28 febbraio 1974
- Settegiorni, 24 febbraio 1974
- The Times, 29 ottobre 1969.

1 commento:

  1. "regolarmente pubblicato in Unione Sovietica tra l’indifferenza e il disprezzo generale, fu fatta leva sulle sue frustrazioni per la marginalità in cui languiva, fu generosamente finanziato e istigato a scrivere una serie di opere nelle quali veniva sapientemente inserita tutta la più bieca pubblicistica anticomunista ed antisovietica"...ma tutte queste notizie da dove l'ha prese? Sembra di leggere la Pravda degli anni Sessanta. Solženicyn in URSS pubblicò tre racconti, poi fu espulso dall'Unione degli scrittori e il resto circolò in samizdat. Le sue interpretazioni delle pagini di "Agosto 1914" sul generale Vlasov sono fantasmagoriche.

    RispondiElimina