giovedì 28 novembre 2013

ROCCO SCIARRONE E LA DEMOCRAZIA DELLA PATATA

Il consigliere provinciale Rocco Sciarrone, a riprova della sua grande sensibilità verso i gravi problemi sociali che affliggono il nostro territorio, ha pensato bene di gratificare un gruppo di giovani volenterosi, pescando of course dal suo bacino elettorale, spedendoli a Roma ad assistere Berlusconi nella sua agonia. Lo rivela il collega Nello Trocchia in un gustoso articolo su "Il Fatto Quotidiano" di oggi; "Non siamo iscritti, ma è tutto pagato pure l'albergo, tutto a gratis (sic)", hanno dichiarato allo stupefatto (ma non tanto) cronista, mentre intonavano l'inno coniato per l'occasione: "Viva la patata, viva la patata!". Gli stremati protagonisti di questo spontaneo "Tour per la Democrazia" hanno poi goduto il meritato riposo presso un mega albergo della capitale, nientemeno che lo "Sheraton golf club", un 4 stelle lusso. Un video sul "FattoquotidianoTV" documenta la loro magnifica avventura; quello che non è documentata è la delusione che hanno provato rientrando la sera nel grande albergo; memori delle mitiche "cene eleganti" di Arcore avevano cominciato a fantasticare sugli extra che certamente avrebbero trovato nelle loro camere, grande è stato il disappunto nel verificare che il pacchetto non prevedeva la "coperta" e finanche la paytv non era prevista tra i rimborsi. Munifico ma incauto il consigliere Sciarrone! E poi ci domandiamo perché i giovani si allontanano dalla politica…
Franco Arcidiaco

martedì 26 novembre 2013

E' IL ROSSO MAGGIO IL MESE DI PASQUINO CRUPI!

Il mese di Maggio per Pasquino Crupi era un mese speciale: il corteo della Festa del Lavoro e, quattro giorni dopo, la processione di San Leo. Due eventi, di natura solo apparentemente opposta, che lo coinvolgevano da protagonista assoluto nella sua Bova. I primi giorni dello scorso mese di Aprile, il Professore mi convocò nel suo studio presso l' Università "Dante Alighieri", la malattia gli aveva risparmiato solo lo sguardo fiammeggiante e la verve umoristica, ma la sua voce era debole e lo stesso immancabile sigaro non aveva il profumo di sempre. Lo guardai bene dietro la coltre di fumo, mi ricambiò lo sguardo e mi gelò: "Direttore, si avvicina il tempo del mio ultimo Primo Maggio e della mia ultima processione di San Leo". Non trovai nemmeno la forza di schernirlo, i nostri occhi si inumidirono all'unisono e mi precipitai ad abbracciarlo senza fiatare. Ci conoscevamo da troppi anni e mai avevamo barato tra di noi, nemmeno in occasione delle innumerevoli dispute conseguenti alle sue imprevedibili e repentine scelte politiche che mi spiazzavano. Ci davamo rigorosamente il "Voi", lui, un gigante al mio cospetto, mi riservava un rispetto che mi metteva in imbarazzo. "Mi dovete pubblicare al più presto un librettino su San Leo", mi disse perentorio; trovai la forza di scherzare: "Professore, che fate vi buttate sotto le bandiere?", "Direttore, lo sapete, non potrei mai credere in un Dio onnipotente e, nel contempo, incapace di domare la scelleratezza dell'uomo e l'imperfezione della Natura. L'invenzione del libero arbitrio è la dimostrazione dell'incapacità della chiesa di dimostrare l'esistenza di Dio; ma c'è un angolo importante della mia anima che riservo alla Madonna di Polsi, a cui era devotissima mia madre, e al culto di San Leo, il Santo Operaio". Mettemmo subito in cantiere il "San Leo", che uscì qualche giorno prima della festa, ma poi le forze e gli ultimi sfibranti impegni non gli consentirono di riguardare il testo su Polsi. Nel rispetto della sua volontà, e con il consenso del figlio Vincenzo, ho chiesto a don Pino Strangio, rettore del Santuario di Polsi, di preparare una prefazione al volume che uscirà nei primi mesi del prossimo anno. Il 21 agosto era un giorno caldo con il cielo coperto, davanti al portone della chiesa, circondato da centinaia di persone, mi guardavo smarrito e cercavo di dare un senso a quella decisione dei suoi cari di far svolgere il funerale in chiesa; ci misi poco a rendermi conto che i presenti lo trovavano del tutto naturale. Pur nel massimo rispetto della decisione della moglie e dei figli, mi rimbombavano nella testa le chiare parole che, pochi mesi prima, il prof. mi aveva pronunciato e che io custodirò sempre come suo testamento spirituale. Nei giorni successivi alla sua morte, i media sono stati assaltati da "coccodrilli" di ogni specie. Tanti ricordi erano sinceri e pertinenti, altri artefatti e opportunisti. Ma quello che veramente è risultato offensivo, fatto salvo, onore al merito, il sincero omaggio tributato da dirigenti e militanti del PDCI, è stato il silenzio della Sinistra ufficiale, quel mondo, che Pasquino aveva incarnato e interpretato da protagonista, che non lo aveva mai amato veramente, spaventato probabilmente dal suo spirito eretico. E così il più grande interprete della cultura meridionalista, il più fervente cantore delle lotte del mondo operaio e contadino, brillante e corretto alfiere dell'edonismo laico, si è ritrovato ad essere celebrato prima tra le navate di una chiesa e subito dopo tra gli emicicli presidiati da una destra lontana mille miglia dalla sua storia e dalla sua cultura più profonda. Ironia della sorte e summa iniuria generata da questi tempi selvaggi.
Franco Arcidiaco

giovedì 21 novembre 2013

CHIESA, 'NDRANGHETA E MAGISTAR

Se Nicola Gratteri non fosse il più importante Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, ma fosse un semplice scrittore-saggista, nessuno, a parte i più pignoli amanti del buon gusto, troverebbe niente da ridire sulle sue comparsate televisive e sulle interviste a effetto rilasciate a giornalisti compiacenti. Ci si potrebbe limitare a classificarle tra le normali attività di marketing che le grandi case editrici (e in questo la Mondadori di Marina Berlusconi è maestra) sviluppano all'uscita di un best seller. D'altra parte, nei giorni precedenti, abbiamo visto come i media, con in testa i soliti noti del Fatto Quotidiano, non si siano fatti scrupolo di rilanciare i deliri berlusconiani per promuovere l'ennesimo libro-panettone di Bruno Vespa. Ma proprio questo è il punto, Nicola Gratteri non è Bruno Vespa e i suoi libri fino ad oggi sono stati considerati delle pietre miliari per lo studio e l'interpretazione del fenomeno 'ndrangheta. Pertanto se un magistrato di quel livello scrive sulle pagine di un libro, destinato a vendere centinaia di migliaia di copie, che in Calabria la Chiesa è connivente con la mafia, arrivando a gettare ombre addirittura sulle figure di GianCarlo Bregantini e Giuseppe Morosini, è legittimo domandarsi per quale motivo abbia deciso di bruciare questo prezioso materiale di indagine gettandolo ai quattro venti e mettendo sull'avviso i principali sospettati. Non risulta, infatti, che in tanti anni di lotte alla 'ndrangheta sia mai emersa alcuna pista concreta che abbia portato gli investigatori non dico fino all'altare, ma nemmeno dentro la penombra della sagrestia. La stessa inchiesta sulle Cooperative della Valle del Buonamico fallì miseramente ed ebbe come unico effetto, guarda un po', il trasferimento del Vescovo Bregantini da Locri a Campobasso. L'8 ottobre del 2007, esattamente un mese prima di essere trasferito, padre Giancarlo "profeticamente" così scriveva dalle colonne de "Il Quotidiano": "Solo chi vince il male nella sua umanità può frenare la negatività attorno a sé. Di freni ha tanto bisogno, oggi, la nostra Calabria. Freni alle chiacchiere inutili. Freni alle invidie e alle gelosie. Freni ai sentimenti coltivati nel rancore che meditano vendette. Freni a trasmissioni televisive pensate non per informare ma per infangare. Freni alla vanità della mente e alla durezza del cuore! Questo perché mai dalla bassezza può nascere il futuro! ... è nel silenzio, nell'umiltà, nel perdono, nella bonitas che nasce l'uomo nuovo!". Aveva le idee chiare padre GianCarlo sulla Calabria e sui calabresi che lui, da trentino, aveva capito molto meglio di tanti di noi che qui siamo nati, viviamo e operiamo; e aveva le idee chiare anche sul ruolo dei preti. In uno dei tanti indimenticabili colloqui, in occasione della preparazione dei suoi tre libri pubblicati dalla mia casa editrice con la collaborazione di Ida Nucera, amava tratteggiare metaforicamente le figure dei Promessi Sposi, e sottolineava come Lucia, icona di luce ma attorniata dalle tenebre e assediata da Don Rodrigo, "esempio tragico di tutti i nostri mafiosi", fosse ben difesa da Fra Cristoforo e non da don Abbondio che lui definiva "prete ineccepibile sul piano formale, ma privo di luce profetica, perché chiuso nel buio delle sue paure". Quanti don Abbondio e quanti Fra Cristoforo ci sono in Calabria, dottor Gratteri? E anche ammesso che i primi fossero in soprannumero, se la sentirebbe di iscriverli tutti nella colonna dei cattivi? Non tutti i preti possono essere don Pino Puglisi o don Peppino Diana così come non tutti i magistrati possono essere Giovanni Falcone o Paolo Borsellino. Io che non sono nè cattolico nè credente sono in grado di stilare un lunghissimo elenco di preti di ogni ordine e grado che ogni giorno, con impegno ed abnegazione, assolvono alla loro funzione di stare al fianco degli ultimi; chè questo dev'essere il loro ruolo e non certo quello di fare il cane da guardia delle istituzioni. In una società civile e organizzata non ci deve essere frammistione di ruoli, esemplari in questo senso furono le parole che Italo Falcomatà rivolse serenamente, com'era suo costume, ad un altro magistrato di prima linea, quel dottor Salvatore Boemi che gli destinava decine di avvisi di garanzia : "Un sindaco non è un mafiologo nè un mafiografo... Il dottor Boemi, invece è d'altra pasta, ha il senso della prima linea, dove si sente il tuono del cannone, che il resto del paese, cui la guerra viene raccontata, non può avere. Io onoro questo combattente, non battendo lo stesso chiodo, ma indebolendo la durezza del legno". Dovremmo fare tutti tesoro dell'insegnamento di questo grande politico calabrese e rientrare tutti nei ranghi: i giornalisti a fare i giornalisti (e non la cassa di risonanza di chicchessia), i preti a curare le anime (e tralasciare i corpi), i politici a governare nell'interesse generale (e qui la vedo nera...), gli intellettuali a studiare e non tacere ed infine i magistrati e le forze dell'ordine a combattere il male e a... scrivere libri, ma solo dopo il pensionamento. Ritengo, infatti, che l'azione dei Magistar sia vissuta con gran disagio dal corpo della Magistratura, poichè rischia di produrre gli stessi effetti destabilizzanti che l'azione degli Archistar ha provocato nel campo dell'Architettura.
Franco Arcidiaco

IL COMUNISTA DEGLI ANNI DEL "SOLE NON QUIETO"

Nino Stillittano, scomparso lo scorso 30 luglio all’età di 94 anni, era l’archetipo del militante del PCI. Rigoroso, intransigente, preparato, instancabile e coraggioso ha segnato con la sua presenza la vita politica della provincia reggina. Il manifesto funebre lo ha indicato semplicemente come "insegnante elementare in pensione". Il figlio Elio, apprezzato primario di medicina interna all'ospedale di Melito Porto Salvo, ha voluto così rispettare la volontà del padre, la cui vita è sempre stata improntata dall'umiltà e dalla passione politica, e nel contempo fornire la mirabile sintesi della vita di un militante comunista che aveva la vocazione alla lotta e non alla carriera. Eppure il necrologio di Nino avrebbe potuto riempire parecchie pagine, tanti infatti erano stati i ruoli di primo piano che aveva rivestito e gli incarichi che aveva svolto nel corso della sua lunga vita, sempre in prima linea e con grande senso di responsabilità. Sul finire degli anni '90 aveva dato alle stampe con la mia casa editrice un volume che aveva un titolo dal sapore epico: "Era l'anno del sole non quieto"; si trattava di un libro di 500 pagine (e francamente stento a immaginare un altro politico in grado di produrre un resoconto della sua attività di questa portata) nel quale aveva inteso raccogliere una sterminata mole di documenti che testimoniavano la sua attività politica nel solo territorio della provincia di Reggio Calabria. Cinque anni dopo, di comune accordo, abbiamo estrapolato da quel lavoro la sezione che riguardava la rivolta del '70 e ne è scaturito un più agile volume dal titolo: "Reggio capoluogo, fu vero scippo?", arricchito da una vasta appendice di documenti. La tesi che ne scaturiva dimostrava inequivocabilmente che la città di Reggio non si poteva ritenere vittima dello scippo del titolo di capoluogo, per il semplice motivo che non lo aveva mai posseduto. Una tesi netta, derivante da una serena analisi dei documenti, coerente alla dottrina epistemologica di impronta marxista che orientava Nino Stillittano nei suoi studi di storia contemporanea. Sono stati cinque anni nei quali ho avuto modo di frequentare Nino abbastanza assiduamente, mi ha sempre manifestato una simpatia e una stima che affievolivano quel senso di soggezione che inevitabilmente la sua figura mi trasmetteva. Mi tornavano in mente i primi anni di militanza nel PCI, sul finire degli anni '70, nella storica sezione "Nino Battaglia" del quartiere Tremulini. Le interminabili e fumose riunioni che si svolgevano erano delle vere e proprie palestre di dialettica e di politica e, quando era prevista la presenza di un "compagno della Federazione", noi giovani passavamo la notte precedente a studiare e ripetere l'intervento che avevamo preparato. Chi come me ha avuto la fortuna di frequentare la scuola del Comunismo italiano, ha acquisito un bagaglio etico e culturale di valore inestimabile che ci ha permesso di mantenere la barra dritta nel corso di quella "tempesta perfetta" che è stato il ventennio berlusconiano, figlio della sciagurata stagione del tramonto delle ideologie. Qualcuno prima o poi dovrà trovare il coraggio e la serenità di scrivere la storia di quell'assurdo percorso, segnato da una forma di follia collettiva, che ha portato alla cosiddetta "svolta della Bolognina". Quando, il 12 novembre 1989, Achille Occhetto, improbabile successore di Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer, avviò il percorso che avrebbe portato allo scioglimento del PCI, non tenne affatto in conto l'elemento cardine che fungeva da collante etico nel partito e che era costituito dal rispetto fideistico dei militanti (quel famoso "zoccolo duro") verso la linea politica ufficiale determinata dalla pratica del mai troppo rimpianto "Centralismo Democratico" (quanto ce ne sarebbe bisogno nel PD oggi...); il quale non era solo un geniale ossimoro, ma costituitiva l'espressione della parte più alta e nobile della politica, quella derivante dal più serrato confronto dialettico incuneato saldamente tra i binari dell'ideologia. Scrive, a questo proposito, il grande Pasquino Crupi nella sua prefazione a "Era l'anno del sole non quieto": "Nino Stillittano non era ortodosso per vocazione e conformismo, ma, poiché faceva parte del gruppo dirigente, l'etica del centralismo democratico voleva che egli celasse il suo punto di vista nel punto di vista della Segreteria", e ancora: "La discussione era quasi sempre aspra, ma il costume voleva: al di sopra di tutto l'unità del Partito e il documento unitario finale concludeva ogni volta il dibattito". Sono tanti gli episodi della vita di Nino che si potrebbero citare a riprova della sua tempra morale e politica, ma preferisco lasciare la parola ancora a Pasquino Crupi, per raccontare un episodio che descrive in modo folgorante l'uomo e il suo tempo: "Siamo a Piazza Duomo, a qualche mese di distanza dal luglio incendiato e incendiario. 10 luglio 1970 la sfida è lanciata. Parlano in piazza i socialisti e i comunisti. I fascisti erano orgogliosi di dirsi fascisti e mostravano che in effetti lo erano, tentando di impedire il comizio. Da Roma è venuto il vicesegretario del PSI Giovanni Mosca. È sul palco. Per i comunisti parla Nino Stillittano. Parla. I fascisti urlano. Urla di più Nino Stillittano, rivolto ai fascisti: <>. La strada a Giovanni Mosca è spianata. Il mito che a Reggio comunisti e socialisti non parleranno più è sfatato. Nino Stillittano, un comunista fatto di pasta speciale, è stato il protagonista della svolta, che lentamente porterà alla ripresa della vita democratica Reggio".
In realtà la ripresa della vita democratica a Reggio avrebbe tardato ancora a venire, sarebbe arrivata solo sul finire del '93 con l'avvento di Italo Falcomatà. Un sogno durato appena otto anni, troppo breve per una città complessa e problematica che deve il suo tragico destino proprio alla carenza di uomini di quel carisma.
Franco Arcidiaco