giovedì 31 marzo 2016

DIAMO A TONINO QUEL CHE E' DI TONINO

Scusate non so se l'ha fatto già qualche altro, ma, senza nulla togliere all'opera meritoria e appassionata di Domenico Lucano, vorrei ricordare sommessamente che l'idea originaria del Sistema-Badolato, poi diventato Sistema-Riace, va attribuita a Tonino Perna; ai tempi del mitico Cric, l'idea di fare dei borghi abbandonati luoghi di accoglienza per i migranti, fu suggerita proprio da Tonino al sindaco di Badolato e da lì si generò tutto. Ecco come lo stesso Tonino Perna ha raccontato, qualche tempo addietro, la storia dalle colonne del Manifesto:
"Il 26 dicembre del 1997 arrivava sulla spiaggia di Badolato marina un barcone con più di 800 curdi. La popolazione li accolse e li portò nel vecchio paese, a cinque chilometri di distanza, in alto su una collina dove il vecchio paese era stato in gran parte abbandonato. Li ospitarono nelle loro case, gli portarono stufe e coperte, e fecero a gara nell' offrirgli da mangiare.
Il sindaco di Badolato mi chiamò, in qualità di responsabile del Cric, una Ong molto attiva in quegli anni, per avere un aiuto nella gestione di questa insolita situazione per un piccolo paese meridionale. Nacque così l’idea che gli immigrati potessero far rinascere i paesi abbandonati della Calabria, e non solo. Con i curdi che decisero di restare a Badolato vennero aperte botteghe artigianali, un grande ristorante curdo, e soprattutto vennero ristrutturate una trentina di casette che dovevano servire per una forma ancora sperimentale di 'turismo solidale'.
Grazie all’appoggio delle reti di economia solidale, di tante associazioni, e di Longo Mai, una comunità anarchica della Provenza, arrivarono migliaia di turisti solidali che fecero rivivere il paese per qualche tempo. Fu durante quella bella esperienza che incontrai un giovane, Domenico Lucano, che venne a Badolato con i membri della sua associazione proponendoci di dare una mano per fare anche di Riace un centro per accogliere gli immigrati.
Cinque anni dopo Domenico Lucano divenne sindaco di Riace e dopo qualche anno di straordinaria attività di accoglienza, arrivò anche il famoso Wim Wenders che si innamorò di questa esperienza e girò “Il volo”. Lo stesso Wenders nel 2009, di fronte alla presenza di dieci Nobel per la pace, disse che la vera civiltà era quella che lui aveva trovato in un paesino della Calabria, Riace."

domenica 27 marzo 2016

FINAL CUT

"La gente è disposta a pagare per l'assenza di coraggio, è disposta a pagare se può evitare il dolore, è disposta a pagare pur di non guardare in faccia il fallimento".
Vins Gallico, reggino di nascita, tedesco e romano di formazione, ha molte buone letture alle spalle; libraio professionista, ama i libri e la lettura in modo viscerale. Questo suo romanzo non mi è piaciuto, forse perché l'ho trovato molto drammaticamente aderente a questo nostro tempo dentro il quale navigo come un pesce fuor d'acqua. L'idea di delegare, per giunta a pagamento, la gestione di uno dei momenti più drammatici e coinvolgenti della nostra vita, quale la conclusione di una relazione amorosa, l'ho trovata di un cinismo post moderno lontano anni luce dalla mia cultura romantico-ottocentesca. Senza per questo voler offendere la capacità narrativa dell'amico Vins, direi che ci troviamo al cospetto della convincente relazione descrittiva di una startup innovativa, più che di un buon romanzo.
La colonna sonora dell'ultimo omonimo album dei Pink Floyd è assolutamente calzante e ringrazio Vins di avermelo fatto (ri)scoprire. Lo ringrazio inoltre per avermi ricordato la tragico-grottesca intervista in cui Salvador Allende indica il generale Augusto Pinochet come persona affidabilissima.
Citazione memorabile: "Riconosco la descrizione della burrasca ormonale, che innesca mille promesse al momento del decollo ed è causa di mille delusioni poco prima dello schianto: una sindrome largamente diffusa presso i miei clienti...".
Vins Gallico, Final Cut, Fandango Libri, 2015.

lunedì 7 marzo 2016

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI CULTURA

L’anima di Raymond Carver e il suo neo-editore italiano Einaudi, non me ne vorranno se mi sono lasciato ispirare, per il titolo di questo editoriale, dalla celeberrima raccolta di racconti del grande scrittore statunitense. D’altra parte è appena arrivato in libreria, per i tipi di Rubbettino, il volume di Francesco Bevilacqua sulla letteratura calabrese intitolato, guarda un po’, “Lettere Meridiane”. Corsi e ricorsi letterari che sono il pane quotidiano per chi, come noi, pone la lettura al centro della propria vita.
Chi avrà la pazienza di leggermi rintraccerà tra queste righe le note evidenti di un disturbo bipolare: è il minimo che possa accadere a chi tocca intonare il de produndis a una propria creatura editoriale e, contemporaneamente, inneggiare all’uscita di un numero celebrativo monografico che è questo che vi ritrovate tra le mani.
Il nostro “Lettere Meridiane”, portato avanti faticosamente per vent’anni grazie all’impegno di tre bravissime creature femminili, le giornaliste Oriana Schembari e Federica Legato e la grafica Piera Ruggeri, cessa infatti l’uscita nella forma di giornale cartaceo per proseguire l’avventura tra le fredde colonne di giornale digitale.
Non sarà la stessa cosa, ne son certo, il lutto per la perdita della carta non troverà mai piena elaborazione nel cuore di un intellettuale degno di questo nome.
Penso che sia meglio, allora, parlare delle sorti della Cultura alle nostre latitudini e per farlo attingerò a piene mani all’interessante e documentato articolo di Filippo Veltri su “Il Quotidiano del Sud”, intitolato “Cultura, quel che si dovrebbe davvero fare” che riporta i risultati di un rapporto sulla cultura e sull’industria culturale promosso da alcune Regioni italiane e sostenuto da enti pubblici e privati; il rapporto si chiama Symbola ed è giunto alla sesta edizione. Veltri giustamente sostiene: “Sarebbe il caso che nella nostra Regione qualcuno se lo faccia mandare, gli dia un’occhiata, giusto per capire come organizzare davvero, in maniera seria e sistematica, questo comparto. Mettendo da parte visioni sporadiche, velleitarie, provincialistiche e prive di costrutto”.
Il rapporto mette in luce aspetti quali il crescente successo del “Made in Italy”; il record di turisti extraeuropei che visitano il nostro Paese; l’attenzione verso la sostenibilità ambientale, che cresce a livello globale e sta permeando il nostro sistema industriale; la voglia del cibo italiano, della creatività dei nostri produttori, della bellezza dei nostri prodotti, del potere attrattivo dei nostri beni culturali.
Emerge con evidenza che il futuro dell’Italia è strettamente connesso alla capacità di puntare sui talenti che il mondo ci riconosce, di rinnovare le nostre tradizioni col linguaggio dell’innovazione; di guardare all’estero tenendo ben saldi i piedi nei territori, nelle comunità e nei distretti. “Solo cioè scegliendo la bellezza e la cultura, l’Italia avrà un futuro alla sua altezza. E la Calabria non ha altra strada”.
"Io sono cultura", arrivato alla quinta edizione e realizzato da Fondazione Symbola e da Unioncamere racconta un pezzo di questa Italia. “Un’Italia che punta sulla cultura e la creatività per rafforzare le manifatture, come già fanno altri Paesi e che dimostra, bilanci alla mano, che con la cultura si mangia, eccome”. E si costruisce il futuro. Alle imprese del sistema produttivo culturale italiano si devono, infatti, oggi 78,6 miliardi di euro (5,4% della ricchezza prodotta in Italia). Che arrivano a 84 circa (il 5,8% dell’economia nazionale) se includiamo istituzioni pubbliche e non profit.
Ma il valore trainante della cultura non si limita a questo. Contamina, invece, il resto dell’economia, con un effetto moltiplicatore pari a 1,7: per ogni euro prodotto dalla cultura, cioè, se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 143, per arrivare a 226,9 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto volano.
Le sole imprese del sistema produttivo culturale (443.208, il 7,3% del totale delle imprese italiane) danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,9% del totale degli occupati in Italia (1,5 milioni, il 6,3%, se includiamo pubblico e non profit).
Per non parlare delle ricadute occupazionali - difficilmente misurabili ma indiscutibili - su altri settori, come il turismo.
La cultura e la creatività, inoltre, mettono il turbo alle nostre imprese: infatti chi ha investito in creatività (impiegando professionalità creative o stimolando la creatività del personale aziendale) ha visto il proprio fatturato salire del 3,2% tra il 2013 e il 2014; mentre tra chi non lo ha fatto il fatturato è sceso dello 0,9%.
“Io sono cultura” è una sorta di annuario, per numeri e storie, realizzato anche grazie al contributo di circa 40 personalità di punta nei diversi settori analizzati e le tendenze mostrano una filiera che resiste ai morsi della crisi.
Esemplare in questo caso è risultata la sfida lanciata dal percorso di candidatura che ha portato Matera ad essere nominata Capitale Europea della Cultura per il 2019.
In Calabria su questo si deve lavorare, mettendo al bando le azioni dispersive, i mille rivoli, i provincialismi, le gelosie e le invidie, le clientele, le cialtronate che portano solo all’assenza di una visione e di un’azione di sistema, per traghettare tutto il nostro territorio su un’azione che trasversalmente tenga insieme i vari luoghi, le comunità, le imprese, il non profit, le istituzioni locali. Cioè: passare da iniziative a macchia di leopardo - a volte lodevoli, ma perlopiù individuali - a una vera e propria missione di tutta la politica regionale. Questo significa fare cultura e certo non conforta la decisione del presidente Mario Oliverio di non nominare un assessore al ramo evitando di tracciare, a quindici mesi dall’insediamento, le linee guida della sua politica culturale.
Franco Arcidiaco