domenica 30 ottobre 2022

UNA STRAORDINARIA SERATA CON ADELMO CERVI A LOCRI

I compagni dell’ANPI, sezione Locri-Gerace, mi hanno dato l’onore di presentare il libro "I miei sette padri" di Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei Sette fratelli Cervi. Adelmo è un giovanotto di 79 anni assolutamente incontenibile, mi ha dato appena l’opportunità di porgergli qualche domanda e di leggere qualche pagina del libro (quelle che sceglieva lui, però…), non sarò stato un bravo presentatore ma ho avuto l’opportunità di condividere con il numeroso pubblico presente al Palazzo della Cultura di Locri una serata veramente straordinaria e coinvolgente. La testimonianza di Adelmo è stata viva e palpitante, sia nella ricostruzione storica della vicenda della sua grande famiglia, sia nel rammarico per l’inconcludenza politica della Sinistra dei nostri tempi, rammarico che ha racchiuso in una clamorosa invettiva che ha fatto spellare le mani del pubblico con un interminabile applauso. Ecco una breve nota sul libro scritta da Aldo Rotolo. “Si è voltato” dice a un certo punto Genoeffa Cocconi coniugata Cervi, a proposito del suo figliolo Aldo. E Aldo, Cervi, è il padre dell’ Adelmo che scrive. Dolente di non averlo potuto conoscere davvero, era davvero troppo piccolo, va alla sua ricerca non solo storica, tutt’altro che agiografica – contro l’agiografia si scaglia più volte e con energia, quando dice “sono figlio di un mito” tra polemica e tristezza. Si tratta di storia familiare ma anche di una ricerca più intima dell’identità e anche della carnalità di un padre sempre presente, nella sua assenza, nella sua invincibile mancanza. Ma oltre a questo “I miei sette padri” è un affresco, anche linguisticamente significativo nella sua genuinità mai ingenua, di un tempo e di una civiltà contadina ormai scomparsa, nei suoi caratteri di ingiustizia e miseria, e di solidarietà e voglia di riscatto. Aldo è uno serio, che quando fa una cosa la fa sul serio e fino in fondo: quando era cattolico praticante era il primo in chiesa e nelle attività della parrocchia, quando si “volta”, dopo tre anni di galera militare sofferti solo per aver adempiuto alla consegna durante il servizio di guardia, sarà altrettanto serio. Nello studio a cui lo inizia l’università della galera, come nell’attività politica e poi nell’azione della Resistenza. La Famiglia Cervi, quasi una tribù, nella migliore tradizione della civiltà contadina è fatta da Papà Alcide, Mamma Genoeffa e 7 figli 7, per l’elenco rimando alla lettura coinvolgente, ricca e commovente a tratti del libro. Oltre a loro tutto un arcipelago di parenti e vicini e poi compagni di lotta, ma soprattutto di lavoro, ché di lavoro ce n’è tanto ma tanto da scoppiare, per far progredire, come poi sarà tutta la baracca nei suoi vari spostamenti da mezzadri fino ai Campi Rossi dove, finalmente affittuari, potranno dar corso e applicazione in campo a tutto ciò che Aldo ha studiato nei libri e nei corsi di agricoltura. E il successo a caro prezzo di sudore arriva, con uno dei primi trattori della provincia per sostituire il valoroso toro nel traino degli attrezzi per livellare il terreno e renderlo così più produttivo perché meglio irrigabile. Ma il fascio è sempre lì, quando non danneggia direttamente, ostacola con la sua ignoranza e prepotenza, anche alimentando la diceria che i “Ruban”, il soprannome di famiglia – senza un soprannome non sei nessuno, son tutti matti! E poi la guerra, spartiacque storico, che lo vediamo anche oggi, chiarisce e confonde insieme. Ma Aldo e i suoi, familiari e non solo, sanno bene da che parte stare. E’ una scelta da un lato spontaneo portato di una cultura dedicata alla vita: cos’è altro lavorare per arare, piantare e far crescere le messi e allevare gli animali? Dall’altro è il risultato di una cultura maturata negli studi da autodidatta e nella pratica politica di un “dirigente nato”, ma senza nessuna spocchia o pretesa. Poi i primi passi necessariamente incerti di una banda partigiana fatta in casa e senza troppi collegamenti, anzi anche spesso osteggiata da una parte del Partito, la più vicina, da cui ci si aspettava aiuto e consiglio, che si vanno a cercare nel territorio a fianco, dove si trova più apertura e solidarietà umana e politica. Ma se la memoria storica e antropologica sono preziose e di prima mano, in questo bel libro, la cosa che più attrae e obbliga a continuare a leggere senza interrompere, è il flusso di coscienza che Adelmo, figlio e anche un po’ padre e fratello di Aldo suo padre, esprime e lascia andare senza soluzione di continuità per tutte le quasi 400 pagine. E forse per chiudere non c’è niente di meglio della citazione dal testo in cui l’Adelmo si rivolge direttamente ad Aldo: “Grazie per ‘Avermi voltato’, insieme a tanti compagni di ieri e di oggi. Grazie per quelli che ‘volterai’ domani. C’è ancora tanto per cui lottare, in questo mondo”. E poi la foto all’inizio pagina 10, quella stessa di cui l’Adelmo parla così alla fine: “Ma al momento di metter via tutto… mi accorgo che la foto - quella coi vestiti belli, che insieme all’altra mi fa da santino – è stampata all’incontrario, all’inizio del catalogo del museo. (…) Vorrà dire che poter (!) raccontare - la mia storia – all’incontrario? Forse sì. (…) Ma anche così sarei arrivato qui, da te”. Aldo Rotolo aldored@gmail.com

C’È UNA QUESTIONE MERIDIONALE ANCHE NEL PNRR

«La questione meridionale» è un tema caro a noi della Riviera ed ai nostri lettori, Pasquino Crupi ci ha istruito su questa dottrina e, seguendo una linea di pensiero che risale dritta dritta ad Antonio Gramsci, ci ha spiegato che l’emigrazione era la causa che stava alla radice del problema: «Gli emigranti e le loro famiglie da agenti della rivoluzione silenziosa si mutarono in agenti per dare allo Stato i mezzi finanziari per sussidiare le industrie parassitarie del Nord» (A. Gramsci, La questione meridionale). La genesi del fenomeno risale al 1861, all’atto dell’Unità il reddito pro capite nel Mezzogiorno era di un quarto inferiore a quello del settentrione. I motivi erano molti, in primis gli effetti della dominazione borbonica e l’instabilità politica. L’Unità d’Italia peggiorò la situazione del meridione, poiché venne esteso all’intero territorio nazionale il regime liberistico del Piemonte sabaudo senza tener conto delle enormi differenze in campo amministrativo, legislativo e sociale. La pressione fiscale stroncò l’economia del Mezzogiorno che non era in grado di sostenerla, il tutto a scapito di un fragile sistema manufatturiero che finì per crollare miseramente. Da allora fu esodo, che non si è mai interrotto fino a raggiungere nel decennio 1951-60 la quota di oltre due milioni di persone che abbandonarono il Mezzogiorno per trasferirsi nelle città del Nord o all’estero. Gli abitanti del Sud si trasformarono in un bacino di manodopera che serve ancora oggi ad alimentare l’impetuoso sviluppo industriale del Nord. Il dato da analizzare è quello demografico che continua a rimanere di stretta attualità. Nel primo ventennio del Duemila il Sud ha perso due milioni di residenti, di cui la metà giovani tra i 15 e i 34 anni, per un quinto laureati. La parte pregiata degli abitanti, quella più giovane e istruita, se n’è andata. Secondo le previsioni dell’Istat, se questa tendenza non dovesse invertirsi, entro il 2056 le regioni meridionali perderebbero oltre 5 milioni di persone: un abitante su quattro. Non è necessario essere grandi economisti per capire che se non c’è forza lavoro, la popolazione attiva che rimane non produce più ricchezza per sostenere il welfare, accrescendo così la dipendenza dal Nord. Sempre l’Istat ci dice che tra il 1996 e il 2019, mentre la popolazione del Nord è cresciuta del 9,3 per cento, quella del Sud è diminuita del 2 per cento. Francesca Mariotti, direttore generale di Confindustria, sottolinea che ogni anno le regioni del Mezzogiorno perdono 130 mila abitanti: «È come se scomparisse, ogni dieci anni, una città come Napoli o Palermo». Per rendere meglio l’idea, leggiamo altri dati forniti dal Rapporto Svimez. Nel 2022 il Pil pro capite al Sud è quasi la metà di quello del Nord: 20.900 euro contro 38.600. Il tasso di disoccupazione nel primo trimestre 2022 è stato del 5,7 per cento al Nord e del 15,2 per cento al Sud. Per tassi di occupazione nella Ue, Sicilia, Campania, Calabria e Puglia sono in fondo alla graduatoria, negli ultimi dieci posti su 300, insieme alla Guyana francese. Quanto alle donne, nel Mezzogiorno lavora una donna su tre. Due esempi, per capirsi meglio: a Bolzano il tasso di occupazione femminile è al 63,7 per cento, in Sicilia al 29,1. Arriviamo al disastro della sanità: ogni anno due miliardi di euro vengono trasferiti dalle regioni del Centro-Sud a quelle del Nord per fornire ai meridionali le cure che non riescono ad avere nei loro ospedali. Il motivo è semplice: ogni anno la regione che eroga la prestazione viene rimborsata da quella di residenza del cittadino. E così accade che la sanità calabrese nel 2020 abbia versato nelle casse della Lombardia 230 milioni di euro. Nel 2023, sempre secondo lo Svimez, il Pil dovrebbe crescere dell’1,7% nelle regioni centro-settentrionali, e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, il divario di crescita a sfavore del Sud dovrebbe peggiorare ulteriormente di circa 6 decimi di punto, attestandosi a +1,3% di fronte al +1,9% al Centro-Nord. In campo energetico la Calabria non dovrebbe avere problemi essendo grande produttrice nel comparto idroelettrico, ma non si capisce per quale motivo la popolazione non riesca a trarne beneficio. Se a tutto questo aggiungiamo le croniche deficienze burocratiche degli Enti di ogni ordine e grado il quadro diventa ancora più scoraggiante e getta un’ombra sinistra sulla possibilità che il PNRR possa aiutare a ridurre il divario. Pensate che i Comuni del Sud impiegano mediamente circa 450 giorni in più rispetto a quelli del Nord per completare la realizzazione delle infrastrutture e che non si contano i cantieri di opere pubbliche fermi o abbandonati. Se andiamo nel campo della giustizia vediamo che un procedimento civile nel Centro-Nord richiede 695 giorni e al Sud 1.101. Per carità di patria sorvoliamo sul disastro della giustizia penale e sui clamorosi flop delle mirabolanti imprese dei “magistar” allignati nelle Procure meridionali che costano all’erario cifre iperboliche e incidono pesantemente sul tessuto sociale e civile delle regioni meridionali sempre più connotate quali capitali del crimine. Reggio è stata la città in cui nel 2020 sono stati elargiti più fondi per risarcire chi aveva subito un’ingiusta detenzione con quasi 8 milioni, a seguire Catanzaro con 4 milioni e mezzo. E il Pnrr, direte voi? Molti analisti sono scettici e non ritengono che possa aiutare a ribaltare questo stato di cose, d’altra parte lo stesso meccanismo di assegnazione non alimenta molte speranze. Il metodo di ripartizione dei finanziamenti europei è, infatti, basato sulla competizione territoriale, che avvantaggia di fatto le più efficienti amministrazioni del Centro-Nord. Un buon segnale di reazione e consapevolezza è giunto dalla rete Recovery Sud che vede 323 sindaci dei comuni meridionali riuniti a cercare soluzioni adeguate a contrastare il sempre più probabile rischio di una iniqua ripartizione dei fondi; ma la notizia di questi giorni che l’economista Fabio Panetta abbia respinto l’offerta del dicastero dell’Economia mettendo in guardia la Meloni sui ritardi del processo di attuazione del Pnrr, getta un’ombra sinistra sul nostro futuro.

martedì 4 ottobre 2022

IL BRIGANTE VLADIMIR, IL BUON SAMARITANO JOE E LA WONDER WOMAN URSULA Parte 1^

Ricordate la storia del rischio imminente di carestia e dei paesi africani costretti alla fame da quel cattivone di Putin? L’avete già scordata anime belle che non siete altro, ora state pensando solo a dove trovare i soldi per pagare la bolletta della luce e vi cullate nella segreta speranza che ve la paghi SuperMario o la sua ancella SuperGiorgia. Ma una domanda ve la voglio fare lo stesso: se c'era il rischio di carestia mondiale come mai le navi cariche di cereali ucraini partite dal porto di Odessa non sono affatto andate verso i paesi del terzo mondo a rischio carestia ma solo da chi poteva pagar bene? Semplice: perché non c'è e non c'era nessuna carestia mondiale in corso, e neppure la si rischiava. Il grano era aumentato di prezzo già a dicembre 2020, e i paesi del terzo mondo avevano già difficoltà a pagarlo, ma allora l'Occidente era in tutt’altre faccende affaccendato. Così alla fine il grano ucraino che sarebbe dovuto servire ad alleviare la fame nel mondo, ce lo siamo dovuti comprare noi per darlo da mangiare al bestiame. Quando gli americani e la Nato hanno provocato Putin al punto di costringerlo ad intraprendere la sciagurata e folle avventura dell’“Operazione speciale” hanno ovviamente costretto l'Unione Europea a entrare in questa storia, prospettando una rapida vittoria, grazie all'annuncio di sanzioni "mai viste". Nessuno si aspettava di pagarne le conseguenze, perché era stato fatto credere che i russi sarebbero capitolati immediatamente. Tutti fingono di ignorare, compresi ahimè i giornalisti italiani, che la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è sotto totale controllo degli americani tramite il marito Heiko Echter von der Leyen, medico tedesco e membro della nobile famiglia von der Leyen. Da dicembre 2020, Heiko è direttore medico della società biotech statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche, che possiede la tecnologia mRNA e di conseguenza manovra il business da 36 miliardi di dollari della Pfizer. Avete bisogno di sapere altro? Dal canto suo la Nato che ha un apparato tecnologico fantasmagorico ma è carente di truppe (gli antichi la chiamavano “carne da cannone”) ha svolto la sua classica funzione di “stoke masked fire” armando gli ucraini e svuotando i magazzini delle fabbriche di armi americane la cui lobby notoriamente tiene in pugno tutti i presidenti americani, democratici o repubblicani che siano. Tenetevi stretta la favoletta di Biden buon samaritano e di Putin brigante se vi star tranquilli e via a braccetto verso l’apocalisse prossima ventura.

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE ROBERTO OCCHIUTO

UN’ALTRA ESTATE SPRECATA Caro Presidente, un’altra estate è passata e non possiamo nasconderci che, nonostante la sua buona volontà, siamo costretti a rubricarla come l’ennesima occasione mancata per lo sviluppo turistico della nostra regione. D’altra parte, miracoli non se ne possono fare e le premesse erano quelle che erano: i danni che abbiamo inferto al paesaggio in decenni di politiche scellerate non sono recuperabili con attività ordinarie e la povertà di infrastrutture non si può certo colmare con un anno di lavoro virtuoso. Se poi a tutto questo aggiungiamo una cronica incapacità di comunicare in modo virtuoso la bellezza del nostro territorio, il quadro è completo. L’ultimo claim pubblicitario efficace sulla Calabria, l’ha prodotto nel 1353 nientemeno che Giovanni Boccaccio (toscano di nascita e cultura) che, nella seconda giornata della quarta novella del Decameron, declamò testualmente: “Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d’Italia”. Da allora, purtroppo, è stato tutto un continuo degradare fino ad arrivare, quasi 600 anni dopo, all’amara definizione di Giustino Fortunato che nel 1904 bollò la Calabria come uno “sfasciume pendulo sul mare”, al grido di dolore di Umberto Zanotti Bianco negli anni Venti del secolo scorso “Tra la perduta gente” e alla drammatica e lapidaria constatazione di Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli” del 1944. Dopo di allora è stato un continuo susseguirsi di iniziative sprovvedute, improvvisate e superficiali (se non vogliamo metter in dubbio la buona fede) che via via sono solo servite a riempire le tasche di personaggi improbabili e guitti alla ribalta. Veda caro Presidente, io mi sono iscritto al PCI nel 1971, comunista ero e comunista sono rimasto anche oggi che del Comunismo è rimasta solo un’idea appannata e distorta; le devo dire però che della Destra (quella democratica, intendo) ho sempre invidiato il pragmatismo e la capacità dei suoi uomini migliori di svincolarsi dai dogmi dottrinari nell’affrontare i problemi del quotidiano. Per dirla con Woody Allen, “ammiro la Destra perchè ha sempre pronte risposte facili a domande difficili”. Ecco quello che mi aspetto da lei caro Presidente, risposte facili e interventi conseguenti. Ad oggi debbo registrare proficui risultati in campo culturale, grazie anche all’impegno e alla capacità della Vicepresidente Giusi Princi, ed anche nel campo minato della sanità dove lei sta svolgendo a tutti gli effetti il ruolo dello sminatore. Ho apprezzato molto che, dimostrando grande apertura mentale, abbia voluto ascoltare i consigli di uomini della “parte avversa” quali Rubens Curia di “Comunità Competente” in materia di Sanità e di Tonino Perna in materia di prevenzione degli incendi. Certo non posso pretendere che nell’arco di una legislatura riesca a demolire tutti gli ecomostri e i palazzi non finiti che deturpano il nostro paesaggio, ma un intervento in questa direzione va fatto, la rimando per questo al prezioso saggio di Piero Lo Sardo e Renato Nicolini: “Rottamare il degrado” (Laruffa edizioni). Le uniche sirene a sinistra che le chiedo di non ascoltare sono quelle di un certo ambientalismo dilettantesco, scellerato e irresponsabile che fino ad oggi ha solo contribuito a bloccare lo sviluppo della Calabria e a perpetuare il degrado del territorio. Un intervento urgente che le chiedo di attuare riguarda la rete stradale (Traversale delle Serre, Sibari-A2 e SS 106 in primis) e la manutenzione delle strade provinciali ridotte in modo pietoso da buche e assenza di segnaletica orizzontale; a questo proposito la informo che la nostra Regione è l’unico posto al mondo dove Google Maps non riesce a raccapezzarsi in alcun modo, provi ad usarlo utilizzando strade che conosce e ne sentirà delle belle! Per finire, le pongo una domanda solo apparentemente capziosa: perchè il problema della raccolta e smaltimento dei rifiuti è enormemente più grave nella provincia di Reggio rispetto alle altre? Buon lavoro, suo Franco Arcidiaco

venerdì 9 settembre 2022

ROSATELLUM O CERVELLOTICUM?

Sappiamo bene che nell’italiano medio non c’è una gran voglia di andare a votare, se poi aggiungiamo le difficoltà di capire i meccanismi farraginosi della legge elettorale, le prospettive di una larga astensione si allargano a dismisura. Come bene illustra il nostro vignettista Domenico Loddo, il famigerato Rosatellum (che prende il nome dal senatore Ettore Rosato, eletto con il Pd e poi approdato a Italia Viva) diventa un’accetta che taglia la mano dell’elettore. Il 25 settembre andremo a votare con una legge che assegna i seggi in Parlamento secondo un sistema misto: un terzo con meccanismo maggioritario, due terzi con proporzionale. Ma ci sono una serie di anomalie cervellotiche che molti non conoscono e francamente risultano difficili da capire. Ricapitoliamo: un terzo dei seggi viene assegnato col maggioritario: nei collegi uninominali il candidato che prende più voti vince. Nei collegi plurinominali (che riguardano i restanti due terzi dei seggi) invece i candidati sono divisi tra le forze politiche in modo proporzionale, in base ai voti ottenuti. È prevista una soglia di sbarramento al 3% per i singoli partiti e del 10% per le coalizioni. I seggi assegnati con il sistema maggioritario saranno 147 alla Camera (su un totale di 400) e 74 in Senato (su in totale di 200). Infine, 8 seggi alla Camera e 4 al Senato vengono assegnati secondo il voto degli italiani all’estero. I seggi distribuiti con sistema proporzionale sono la maggior parte, 245 alla Camera e 122 al Senato. Nei collegi plurinominali i parlamentari vengono eletti in base ai voti ottenuti a livello nazionale da ogni lista, proporzionalmente ai consensi ricevuti. Ogni listino può essere composto da almeno due e fino a quattro nomi. È prevista una quota di genere: nessun sesso, infatti, può rappresentare oltre il 60% dei candidati rappresentati. Nei collegi plurinominali i seggi vengono assegnati secondo il cosiddetto top-down, dal nazionale al territorio. A livello nazionale vengono cioè designate le liste e a quelle che superano le soglie di sbarramento vengono poi distribuiti i seggi secondo un particolare calcolo di quozienti e resti. Un partito potrebbe vedersi assegnare un tot di seggi in una circoscrizione per dei voti ottenuti in un’altra. Gli elettori di Milano, ad esempio, potrebbero con il loro voto procurare un seggio a Napoli al partito che hanno inteso votare. Chiaro? Per schiarirmi le idee sono andato nel sito dei fidati amici di Kulturiam.it e ho trovato questa sorprendente spiegazione degli esiti pratici del Rosatellum a cura di Jan Datranich: “Chi pensa di votare Civati nel listino plurinominale, in realtà potendo solo barrare la lista che contiene i nomi senza poter votare per lui pena annullamento del voto, vota anche Casini nell’uninominale connesso e così chi pensa di votare Cucchi vota anche per Lorenzin; chi pensa di votare Soumahoro vota anche Cottarelli; chi pensa di votare Schlein vota anche nell’uninominale Marcucci. E viceversa chi vota solo il candidato dell’uninominale vedrà il suo voto ripartito in proporzione tra tutti i partiti o liste collegate nei listini plurinominali. Per di più se nella parte plurinominale del collegio il partito di Civati o degli altri non supera il quorum, per effetto del riparto nazionale dei resti si vedrebbe in parlamento un soggetto a lui ignoto, candidato in un altro collegio. È solo un esempio delle storture del sistema italiano che ha abiurato la democrazia parlamentare rappresentativa. Chi dopo aver concorso a produrre questo sconcio, da ultimo nel silenzio generale e all’unanimità approvando dopo il referendum del taglio dei parlamentari una normativa che ha ridisegnato i collegi rendendoli compatibili e con il taglio e con il Rosatellum, così dimostrando di volerlo tener ben caro, meriterebbe l’ostracismo se vivessimo nella Grecia periclea”. Morale della favola, ci troviamo al cospetto di un sistema che non agevola certo gli elettori scettici o svogliati e che favorisce certamente i grossi partiti e/o le grosse coalizioni. Se poi aggiungete che in avanzata era digitale, ancora utilizziamo il sistema obsoleto della scheda e della matita (bloccando l’attività scolastica per 15 giorni) e non consentendo di votare a lavoratori e studenti fuori sede, vi renderete conto che ancora una volta le regioni più penalizzate sono quelle del Sud… a proposito di Questione Meridionale!

giovedì 18 agosto 2022

PALMA DEL TRASH PER GIANNI RIOTTA

Deriva scatologica per il giornalismo italiano. Gianni Riotta conquista la palma del trash con un incredibile articolo dedicato all'intasamento del water della Casa Bianca. Se veramente ambisce al premio Pulitzer, Riotta non si può dire che non le stia provando tutte. Ispiratore delle liste di proscrizione dei "filo-putiniani", guerrafondaio, atlantista schierato con i Dem americani evidentemente ritiene di avere tutte le carte in regola. Trump è sempre stata la sua magnifica ossessione, lungi da me prendere le difese dell'ex-presidente USA, ma onestamente oggi sarebbe forse il caso di accendere meglio i riflettori sulle epiche gesta del suo successore Biden. Riotta invece non trova di meglio che approfondire le indagini su dei documenti compromettenti che Trump avrebbe strappato e buttato nel water nell'intento di eliminarli. Se Riotta ha pensato di ripercorrere le orme di Bob Woodward e Carl Bernstein, creando questa versione trash del “Watergate”, più che al Pulitzer potrà ambire al Premio Ignobel, ha realizzato infatti la sceneggiatura di un B-movie che nemmeno Lino Banfi e Alvaro Vitali accetterebbero mai di interpetrare. Della vicenda ne avrete già sentito parlare, il tutto nasce da due foto diffuse da Maggie Haberman giornalista del New York Times e della CNN, verosimilmente per promuovere l’imminente uscita del suo libro “Confidence Man”. La prima mostrerebbe il water di Trump alla Casa Bianca con dentro un fogliettino non risucchiato dallo sciacquone; l’altra è il frammento di uno scritto di Trump che sarebbe finito nella toilette dell’aereo presidenziale. A qualunque persona di buon senso non può che apparire inverosimile sia la violabilità delle toilette di un presidente USA, che la circostanza di un personaggio come Trump che non abbia sempre a portata di mano un trita-documenti. Sui social, che naturalmente si sono scatenati visto il tema pecoreccio, molti hanno fatto notare che la qualità del battiscopa, la sporcizia nel pavimento e la vicinanza del muro al water suggerirebbero una foto scattata in un angusto e povero ambiente mentre la seconda foto contraddirebbe l’iniziale dichiarazione della Haberman secondo la quale le foto le sarebbero state consegnate da “alcuni collaboratori di Trump (costretti a) chiamare gli idraulici per riparare gli igienici intasati”. Gianni Riotta (già membro italiano del “Gruppo alto livello dell’Unione Europea per la lotta alle fake news”) sulle pagine di Repubblica si lancia in un panegirico della “formidabile Maggie Haberman” con una chiosa surreale: “Le foto del bagno occluso da documenti ufficiali e il tentativo di Trump di cancellare la Storia entrano con prepotenza nella memoria”, rivelando che, secondo lui, la memoria di questa fase storica che stiamo vivendo troverà il massimo della sua rappresentazione in due foto di cessi intasati da minuscoli “pizzini”. Per carità di patria, e per spirito di corpo della categoria alla quale appartengo, non vado oltre e lascio a voi la riflessione sullo stato del giornalismo globale.

domenica 7 agosto 2022

AI LETTORI DE LA RIVIERA

Rosario Condarcuri mi ha proposto la direzione ir-responsabile de La Riviera un paio di sere fa a Bova Marina, eravamo attorno al tavolo di un bar famoso per le granite ma, soprattutto, ci trovavamo nella piazza della chiesa dell’ultimo saluto a Pasquino Crupi. A Rosario mi accomunano tante cose, ma penso che il principale punto di congiunzione sia l’ostinazione con la quale continuiamo a credere al ruolo fondamentale dell’editoria e della comunicazione in questa sgangherata società. Facciamo parte della categoria “editore puro” che, beninteso, non si riferisce a una condizione spirituale di innocenza o candore, ma semplicemente alla pervicacia con la quale assolviamo alla nostra missione di produrre una comunicazione scevra da asservimenti di qualsiasi natura. La follia consiste nella caparbietà con la quale da decenni continuiamo a considerare questa attività una possibile fonte di reddito per le nostre famiglie. Quando, nell’agosto del 1990, ho fondato Laltrareggio mio padre, sul punto di diseredarmi, mi disse: “È arrivato il comandante del vascello pirata!”, miglior complimento non avrebbe potuto farmi, ma probabilmente non era questa la sua intenzione… Per lui, i giornali erano delle istituzioni a sé stanti e non concepiva nemmeno lontanamente l’idea della fanzine libera e fuori dagli schemi. Sono passati tanti anni, quel vascello, ormai ormeggiato, osserva sornione l’evoluzione networkiana della sua attività, e io, nel frattempo, prendo al volo l’occasione che mi viene offerta di agguantare il timone di un altro vascello pirata o, per usare un’espressione di Pasquino, di una “goletta anarchica”. Rosario mi ha ricordato di quando qualcuno chiese al neo direttore de La Riviera, Pasquino Crupi, quale linea politica intendesse dare al giornale e lui rispose: “La Riviera è un giornale anarchico meridionalista e tale resterà!”. Prima e dopo Pasquino Crupi tante mani si sono avvicendate al timone de La Riviera, ricordo per esempio Nicola Zitara e Pietro Melia, tutti direttori di straordinario livello compreso l’attuale Ilario Ammendolia che mi ha accettato fraternamente al suo fianco, lo ringrazio con orgoglio. Rosario Condarcuri, sapientemente, ha fatto della sua Riviera un “giornale grandi firme” e a breve sarà capace di stupirci ancora con una straordinaria nuova iniziativa in cantiere. Insomma, mi ritrovo circondato da tanti valorosi amici e colleghi e da un gruppo di giovani seri e volenterosi, meglio di così non potevo aspettarmi. C’è una bellissima frase dello scrittore Haruki Murakami che mi piace ricordare e che credo racchiuda il senso più profondo dell’ormai lunga storia che lega La Riviera alla provincia reggina: “Ognuno lascia la sua impronta nel luogo che sente appartenergli di più”. Ho sempre creduto nel ruolo importante, imprescindibile dell’informazione locale, come strumento per avere sempre il polso della situazione. Sono tanti quelli che guardano con sufficienza i magazine locali, sappiano che grande non è sinonimo di qualità. In un Paese come il nostro che ha fatto della piccola impresa artigianale una cifra distintiva universalmente apprezzata, anche un organo di informazione locale può racchiudere un concentrato di qualità e innovazione esemplare. Essere vicini al proprio territorio, interpretarne e spiegarne il vissuto quotidiano, non è roba da dilettanti o improvvisatori, richiede competenza, sensibilità e abnegazione. La Riviera continuerà ad essere un giornale meridionalista ma non campanilista, attivo, vivo e curioso ma alieno da derive gossipare e da attacchi proditori; non rinunceremo mai alla nostra identità ma non abbiamo alcuna intenzione di farla prevalere con metodi prevaricatori. Buon viaggio, dunque, a tutti noi e alla nostra Calabria.

PERCHÈ FU SCELTA HIROSHIMA

Nell’indifferenza generale e nel silenzio ipocrita e imbarazzato degli atlantisti di ogni risma, in questi giorni ricorre il tragico anniversario (77°) del bombardamento atomico, da parte degli americani, delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Nelle anime belle che si stracciano le vesti per le minacce più o meno atomiche di quel cattivone di Putin, in prossimità di questo anniversario scatta regolarmente il processo di rimozione che tanto bene ha descritto Freud: “espellere o tenere lontano qualcosa di insopportabile dalla coscienza, evitando in tale modo il dispiacere”. Nei giorni scorsi il Corriere della Sera, inopinatamente e forse con un sussulto di dignità, ha pubblicato un bellissimo articolo del fisico saggista Carlo Rovelli (L'occidente e l'ipocrisia, serve un nuovo soggetto politico, l'umanità di Carlo Rovelli, Corriere della Sera, 31 luglio 2022). Rovelli dice: “Mi unirei al coro contro il riconoscimento del Donbass che ha innescato la guerra ucraina, se aggiungessimo che ci siamo sbagliati riconoscendo Slovenia e Croazia, innescando la guerra civile Iugoslava. O per i bombardamenti su Kiev, dove la scusa era che Kiev massacrava il Donbass, se la Nato si impegnasse a non fare più nulla di simile, come ha fatto bombardando Belgrado, dove la scusa era che Belgrado massacrava il Kosovo. Mi unirei al coro contro la Russia che cerca di cambiare il regime di Kiev, se l'Occidente si impegnasse a non fare più la stessa cosa, come ha fatto abbattendo e destabilizzato governi democraticamente eletti dal Medio Oriente al Sud America, dal Cile all'Algeria, dall'Egitto alla Palestina. Mi unirei al coro che si commuove per i profughi ucraini, se si commuovesse anche per yemeniti, siriani, afghani e altri con pelle di tonalità diverse. Ipocrisia senza limiti. I giornali gridano sulle politiche «imperiali» di Cina e Russia. Il lupo e l'agnello. La Cina non ha quasi soldati fuori dei suoi confini, se non in missioni Onu. La Russia ne ha a pochi chilometri, in Siria e Transnistria. Gli americani hanno centomila soldati in Europa, basi militari in Centro e Sud America, Africa, Asia, Pacifico, Giappone, Corea ovunque, eccetto in Ucraina dove stavano insediandosi. Hanno portaerei nel mare della Cina. Dalle coste cinesi si vedono navi da guerra Usa, non si vedono navi da guerra cinesi da New York. Chi è l'impero? Si paventa, non abbastanza, l'uso dell'atomica. L'Occidente è l'unico ad averla usata. A guerra vinta, per affermare il dominio con la violenza; nessun altro lo ha fatto. Si scrive che la Cina è aggressiva; non ha fatto guerre dopo Corea e Vietnam; l'Occidente ne ha fatte in continuazione ovunque. Chi è l'impero?”. Questo lucido e coraggioso intervento di Rovelli purtroppo, e direi naturalmente, non ha aperto nessun dibattito e non ha modificato di un millimetro la percezione dell’italiano medio delle dinamiche geopolitiche condizionate dagli interessi degli atlantisti. Qualche anno fa Ben Rhodes, consigliere di politica estera, speechwriter e confidente di Barack Obama, nel suo memoriale riferì che Obama un giorno gli chiese: “Perché scegliemmo Hiroshima?”, “È venuto fuori nelle mie ricerche per il discorso”, dissi. “Decidemmo piuttosto in anticipo di risparmiare Hiroshima da ogni bombardamento convenzionale, in modo da poter poi dimostrare l’impatto della bomba atomica su una città intatta”. “Volevamo dimostrare ai giapponesi di che cosa eravamo capaci”, aggiunse Caroline (Kennedy, figlia di John, ambasciatrice in Giappone ai tempi di Obama). “I giapponesi erano così abituati alle sirene dei raid che non andarono nei bunker quando le sentirono -dissi- soprattutto perché gli aerei non erano tanti” … Sono dichiarazioni da brivido che sono passate assolutamente inosservate soprattutto alle nostre latitudini, dove l’asservimento agli USA ha annichilito il libero pensiero; dichiarazioni che dimostrano la protervia e la crudeltà dell’impero dominante a livello globale. Tra l’altro trovo sconvolgente che Obama, la cui elezione aveva suscitato un’ondata di speranza per un auspicabile cambiamento di rotta, si sia rivelato un vero sepolcro imbiancato che ha proseguito, senza soluzione di continuità e con un’ipocrisia senza limiti, la politica imperiale dei suoi predecessori.

domenica 24 luglio 2022

THE FINAL DRAGHI DAL DISCORSO DEL BIVACCO AL PRINCIPIO DI PETER

Nell’ultimo intervento in Senato il “Draghi calato dall’alto” ha dimostrato di non aver alcun senso della dialettica politica: si va avanti, voi parlamentari non siete nulla, dovete solo firmarmi una cambiale in bianco e poi scomparire, faccio tutto io. Brandiva dei fogli con mani strette e tremolanti, un segno che quel fastidioso orpello del dover andare in Parlamento a chiedere qualcosa lo rendesse furente, come un Ad che ordina ai suoi sottoposti incolpevoli un resoconto dello scarso andamento in borsa dei titoli dell'azienda. La prima parte del discorso è distopica, rivendica con orgoglio una fallimentare gestione della pandemia, una gestione disastrosa delle finanze, una gestione assurda della vicenda ucraina: fallimenti sbandierati come successi, senza pudore alcuno. Lungi da me scadere nella demagogia populista, ma basterebbe solo quella proditoria rapina perpetrata sulle spalle di tutte le famiglie e tutte le aziende italiane con il raddoppio delle bollette dell’energia elettrica: “Il caro energia ha reso ricco lo Stato. Nei primi quattro mesi del 2022, tra Iva e accise sui prodotti energetici, l’Erario ha incassato circa 3,7 miliardi di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2021.” (Quifinanza.it). Se ricordate, super Mario ha reagito come un cittadino qualunque all’arrivo della bolletta, si è dimostrato stupito e si è riservato di intervenire in qualche modo, ha intascato il malloppo e ci ha fatto una carezzina sulle bollette successive, grande economista non c’è che dire! Monti era stato più elegante quando, era il 2011, ha riscosso il pizzo sui conti corrente (depositi sopra i 5mila però) e poi ha aumentato l’imposta di bollo che ancora oggi grava in modo esagerato. Sull’Ucraina poi, basta ricordare di quando, appena giunta a Washington l’eco di qualche tentennamento, si è fatto convocare alla Casa Bianca per sentirsi strapazzare come si fa con un maggiordomo neghittoso. La seconda parte del discorso ha virato sul tono eversivo e ha rievocato a tratti il celeberrimo “Discorso del bivacco” del Duce; ricordate? “Signori, quello che io compio oggi, in questa Aula, è un atto di formale deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato di speciale riconoscenza…” “…Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ci abbandona dopo la vittoria. Con 300 mila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costruire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.” Certo Draghi si è limitato a dire: gli italiani sono con me (riferimento a quei quattro gatti che manifestavano a suo favore, devo supporre), se si deve andare avanti con questo governo si deve fare come dico io. Mettiamo che un discorso del genere l’avesse fatto all’epoca Berlusconi, avrebbe provocato manifestazioni di sdegno del PD e indagini della magistratura; lo ha fatto Draghi e il PD in aula ha applaudito e la magistratura si è limitata al battito di sopracciglio della Cartabia. D’altra parte, ormai da decenni il PD (e con lui quel che resta della Sinistra) dimostra di avere superato la fase psichica infantile del “principio di piacere” per avventurarsi in quella adulta del “principio di realtà” e, consapevole che al peggio non c’è mai fine, continua ad optare per il male minore… A seguito di questa vicenda mi è venuto in mente un prezioso libretto pubblicato nel 1969: “Il principio di Peter” è una tesi solo all’apparenza paradossale, che riguarda le dinamiche di carriera su basi meritocratiche all'interno di organizzazioni gerarchiche. La teoria è nota anche come “Principio di incompetenza” e fu formulata dallo psicologo canadese Laurence J. Peter in collaborazione con l'umorista Raymond Hull. Il saggio ebbe una notevole fortuna letteraria e ha conosciuto numerose edizioni e traduzioni. Il principio illustrato dal saggio descrive in termini satirici gli effetti dei meccanismi che governano la carriera aziendale dei dipendenti, evidenziandone i risultati paradossali. «In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza» Il principio di Peter va inteso nel senso che, in una gerarchia, i membri che dimostrano doti e capacità nella posizione in cui sono collocati vengono promossi ad altre posizioni. Questa dinamica, di volta in volta, li porta a raggiungere nuovi livelli, in un processo che si arresta solo quando accedono a una posizione poco congeniale, per la quale non dimostrano di possedere le necessarie capacità: tale posizione è ciò che gli autori intendono per «livello d'incompetenza», raggiunto il quale la carriera del soggetto si ferma definitivamente, dal momento che viene a mancare ogni ulteriore spinta per una nuova promozione. Morale della favola: ognuno di noi ha un livello d’incompetenza e Draghi scalando scalando lo ha inesorabilmente raggiunto. Adieu!

martedì 3 maggio 2022

IL CORAGGIO DI PERTINI E IL PANICO DI BERLINGUER

In questi giorni molti esponenti del PD, per cercare di giustificare l’ingiustificabile, vale a dire l’adesione del più grande partito del Centrosinistra alla chiamata alle armi degli USA, si sono rifugiati nella famosa (quanto scellerata) sortita di Enrico Berlinguer che, in una Tribuna Politica di molti decenni fa, non aveva trovato di meglio che dichiarare di sentirsi più al sicuro “sotto l’ombrello protettivo della Nato”. Quel giorno Berlinguer decretò la condanna a morte del Partito Comunista Italiano ed avviò quella deriva atlantista che avrebbe trovato anni dopo il suo degno coronamento con il vile bombardamento di Belgrado da parte di Massimo D’Alema, presidente del Consiglio per una breve e sciagurata stagione. Che differenza di stile tra questi due rinnegati demolitori della sinistra italiana e quel gigante di Sandro Pertini, che il 7 marzo del 1949 ebbe il coraggio di votare contro l’adesione dell’Italia alla Nato. Leggere il suo intervento al Senato di quel giorno, oltre a impressionare per i segnali premonitori che emana, aiuta a liberare la memoria (almeno di chi è in buona fede) dalle scorie venefiche seminate in questi decenni dalla Guerra fredda degli americani contro i Paesi comunisti. Sandro Pertini, Discorso al Senato del 7 marzo 1949 (in cui votò contro l'adesione dell'Italia alla Nato). "Noi siamo contro il Patto Atlantico, prima di tutto perché questo Patto è uno strumento di guerra. [...] Ma il nostro voto è ispirato anche ad un'altra ragione. Questo Patto Atlantico in funzione antisovietica varrà a dividere maggiormente l'Europa, scaverà sempre più profondo il solco che già separa questo nostro tormentato continente. [...] Una Santa Alleanza in funzione antisovietica, un'associazione di nazioni, quindi, che porterà in sé le premesse di una nuova guerra e non le premesse di una pace sicura e duratura. Noi siamo contro questo Patto Atlantico dato che esso è in funzione antisovietica. Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l'Unione Sovietica ha fatto durante l'ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. Senza il suo sforzo eroico le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l'Europa dalla dittatura nazifascista. [...] E noi socialisti sentiamo che se domani per dannata ipotesi dovesse crollare l'Unione Sovietica sotto la prepotenza della nuova Santa Alleanza, con l'Unione Sovietica crollerebbe il movimento operaio e crolleremmo noi socialisti. [...] Parecchi di voi si rallegrarono quando videro piegata sotto la dittatura fascista la classe operaia italiana e costoro non compresero che, quando in una Nazione crolla la classe operaia, o tosto o tardi con la classe operaia, finisce per crollare la Nazione intera. [...] Oggi noi abbiamo sentito gridare "Viva l'Italia" quando voi avete posto il problema dell'indipendenza della Patria. Ma non so quanti di coloro che oggi hanno alzato questo grido, sarebbero pronti domani veramente ad impugnare le armi per difendere la Patria. Molti di costoro non le hanno sapute impugnare contro i nazisti. Le hanno impugnate invece contadini e operai, i quali si sono fatti ammazzare per l'indipendenza della Patria! Onorevole Presidente del Consiglio, domenica scorsa a Venezia, in piazza San Marco, sono convenuti migliaia di partigiani da tutta l'Italia ed hanno manifestata precisa la loro volontà contro la guerra, contro il Patto Atlantico e per la pace. Questi partigiani hanno manifestato la loro decisione di mettersi all'avanguardia della lotta per la pace, che è già iniziata in Italia, essi sono decisi a costituire con le donne, con tutti i lavoratori una barriera umana onde la guerra non passi. Questi partigiani anche un'altra volontà hanno manifestato, ed è questa: saranno pronti con la stessa tenacia, con la stessa passione con cui si sono battuti contro i nazisti, a battersi contro le forze imperialistiche straniere qualora domani queste tentassero di trasformare l'Italia in una base per le loro azioni criminali di guerra. Per tutte queste ragioni noi voteremo contro il Patto Atlantico". Sandro Pertini in Atti parlamentari. I Legislatura, Senato. Vol. V: Discussioni 1948-49, Seduta CLXXXIII 27 marzo 1949.

domenica 27 marzo 2022

ALEXANDR DUGIN, MASSIMO FILOSOFO RUSSO CONTEMPORANEO, SULLA GUERRA IN UCRAINA

Aleksandr Dugin è un filosofo e politologo russo. La sua dottrina sviluppa il pensiero di Martin Heidegger e lo coniuga con il pensiero della scuola tradizionalista di René Guénon e Julius Evola. Dugin ha svolto un ruolo importante nella filosofia russa dopo il crollo dell’URSS, traducendo e contestualizzando i succitati autori. Secondo Dugin le forze della civiltà occidentale liberale e capitalista rappresenterebbero quella che gli antichi greci chiamavano hybris, ovvero l'orgogliosa tracotanza che porta l'uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l'ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina. Dugin la definisce "la forma essenziale del titanismo", dell'anti-misura emergente dalla Terra, che osteggia il Cielo. In altre parole, l'Occidente sintetizzerebbe "la rivolta della Terra contro il Cielo". Il pensiero dughiniano è caratterizzato da un approccio escatologico per cui, nelle sue parole, "una volta che il Cielo reagisce, gli dèi restaurano la misura". Dugin contrappone all’ “unipolarismo omologante” dell’Occidente, l’“Uno” platonico che egli traduce nell’idea di “Impero”. Dugin ha stretti legami con il Cremlino e le forze armate russe ed è unanimemente riconosciuto come "il Rasputin del Cremlino" e "l'ideologo di Putin"; in effetti Dugin, pur criticando le passate collaborazioni di Putin con l’Occidente, si può considerare suo consigliere e ispiratore filosofico. Dugin è inoltre noto per aver teorizzato la creazione di un "impero eurasiatico" fondato su principii di ordine spirituale in grado di combattere l'Occidente guidato dagli Stati Uniti d'America, visti come epicentro delle forze dissolutrici, occulte e antispirituali. Dugin è stato l'organizzatore assieme a Ėduard Limonov (l’agitatore politico reso celebre dalla biografia romanzata scritta da Emmanuel Carrère) del Partito Nazional Bolscevico, e successivamente del Fronte Nazionale Bolscevico e del Partito Eurasia, trasformatosi poi in associazione non governativa. L'ideologia eurasiatista di Dugin mira all'unificazione di tutti i popoli di lingua russa in un unico paese attraverso lo smembramento territoriale coatto delle ex–repubbliche sovietiche, concetto questo che sta chiaramente alla base di questa fase della politica putiniana. Per questa sua caratteristica, Dugin ha seguaci su ogni sponda politica, anche se, a mio avviso pretestuosamente e superficialmente, viene perlopiù etichettato come fascista e reazionario. In occasione della crisi Ucraina, alta si è levata la sua voce che, però, è stata una delle prime ad essere oscurata dai padroni del pensiero unico occidentale. Vale la pena, pertanto, leggere alcune sue dichiarazioni: “…Questa non è una guerra con l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. È un confronto a tutti i livelli – geopolitico e ideologico. La Russia rifiuta tutto del globalismo – unipolarismo, atlantismo, da un lato, e liberalismo, anti-tradizione, tecnocrazia, Grande Reset in una parola, dall’altro. È chiaro che tutti i leader europei fanno parte dell’élite liberale atlantista. E noi siamo in guerra esattamente con questo. Da qui la loro legittima reazione. La Russia viene ormai esclusa dalle reti globaliste. Non ha più una scelta: o costruire il suo mondo o scomparire. La Russia ha stabilito un percorso per costruire il suo mondo, la sua civiltà. E ora il primo passo è stato fatto. Ma sovrano di fronte al globalismo può essere solo un grande spazio, un continente-stato, una civiltà-stato. Nessun paese può resistere a lungo a una completa disconnessione. La Russia sta creando un campo di resistenza globale. La sua vittoria sarebbe una vittoria per tutte le forze alternative, sia di destra che di sinistra, e per tutti i popoli. Stiamo, come sempre, iniziando i processi più difficili e pericolosi. Ma quando vinciamo, tutti ne approfittano. È così che deve essere. Stiamo creando i presupposti per una vera multipolarità. E quelli che sono pronti ad ucciderci ora saranno i primi ad approfittare della nostra impresa domani. Scrivo quasi sempre cose che poi si avverano. Anche questo si avvererà” … E ancora: “Cosa significa per la Russia rompere con l’Occidente? È la salvezza. L’Occidente moderno, dove trionfano i Rothschild, Soros, Schwab, Bill Gates e Zuckerberg, è la cosa più disgustosa della storia del mondo. Non è più l’Occidente della cultura mediterranea greco-romana, né il Medioevo cristiano, e nemmeno il ventesimo secolo violento e contraddittorio. È un cimitero di rifiuti tossici della civiltà, è anti-civilizzazione. E quanto prima e più completamente la Russia se ne stacca, tanto prima ritorna alle sue radici. A cosa? Cristiano, greco-romano, mediterraneo-europeo… Cioè, alle radici comuni al vero Occidente. Queste radici – le loro! – l’Occidente moderno le ha tagliate fuori. E sono rimaste in Russia. Solo ora l’Eurasia sta alzando la testa. Solo ora il liberalismo in Russia sta perdendo il terreno sotto i piedi. La Russia non è l’Europa occidentale. La Russia ha seguito i greci, Bisanzio e il cristianesimo orientale. E sta ancora seguendo questa strada. Sì, con zig-zag e deviazioni. A volte in vicoli ciechi. Ma si sta muovendo. La Russia è sorta per difendere i valori della Tradizione contro il mondo moderno. E l’Europa deve rompere con l’Occidente, e anche gli Stati Uniti devono seguire coloro che rifiutano il globalismo. E allora tutti capiranno il significato della moderna guerra in Ucraina. Molte persone in Ucraina lo capivano. Ma la terribile propaganda rabbiosa liberal-nazista non ha lasciato nulla di intentato nella mente degli ucraini. Torneranno in sé e combatteranno insieme a noi per il regno della luce, per la tradizione e una vera identità cristiana europea. Gli ucraini sono nostri fratelli. Lo erano, lo sono e lo saranno. La rottura con l’Occidente non è una rottura con l’Europa. È una rottura con la morte, la degenerazione e il suicidio. È la chiave del recupero. E l’Europa stessa – i popoli europei – dovrebbero seguire il nostro esempio: rovesciare la giunta globalista antinazionale. E costruire una vera casa europea, un palazzo europeo, una cattedrale europea”. Nella penosa deriva ideologica che stiamo vivendo da oltre un trentennio, il pensiero di Dugin si erge come un faro che apre una relazione con la lontananza, simbolo di conoscenza; come un faro, il pensiero di Dugin illumina le cose e poi le restituisce al buio, una sentinella che si oppone al dilagare del nulla, allo smarrimento del vuoto, al disagio esistenziale, all’indifferenza del cielo.

domenica 6 marzo 2022

BARBARA SPINELLI, FIGLIA DI ALTIERO, VOCE FUORI DAL CORO ANTI-PUTIN

Nonostante i media europei, miseramente asserviti al mainstream atlantista, facciano di tutto per negarlo, in Italia e nel mondo è molto diffusa (sui social e sui blog) una contro narrazione della questione Ucraina, di chi sostiene che in fondo Vladimir Putin ha avuto le sue buone ragioni per attaccare, che la Nato abbia ulteriori mire espansionistiche, che la Ue ne è stata complice, che gli americani sono i soliti imperialisti, che gli ucraini sono un po’ nazisti e che, insomma, magari la reazione sarà un tantino sproporzionata, però la Russia è obbligata a salvaguardare il suo spazio vitale. Tra i giornali italiani una voce fuori dal coro è stata registrata dal Fatto Quotidiano con l’autorevole intervento di Barbara Spinelli (e scusate se è poco…) che ha meritato il plauso e il retweet dell’Ambasciata russa in Italia. Da notare che la Spinelli è figlia di Altiero, padre dell’Europa ed è unanimemente riconosciuta come una delle menti più lucide e delle penne più libere del giornalismo. Tesi fondante della Spinelli è che «il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Unione europea non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria. È dall’11 febbraio 2007 che oltre i confini sempre più agguerriti dell’Est Europa l’incendio era annunciato. Quel giorno Putin intervenne alla conferenza sulla sicurezza di Monaco e invitò gli occidentali a costruire un ordine mondiale più equo, sostituendo quello vigente ai tempi dell’Urss, del Patto di Varsavia e della Guerra fredda». Barbara Spinelli sottolinea, inoltre, che né Washington né la Nato né l’Europa sono intenzionate a intervenire militarmente, che alcuni Paesi europei dipendono dal gas russo e che le sanzioni non impensieriranno più di tanto Putin. C’è da ricordare inoltre che l’Occidente aveva promesso, con un impegno non scritto ma verbale, di bloccare l’espansione della Nato a Est ma la promessa «finì in un cassetto, e senza batter ciglio Clinton e Obama avviarono gli allargamenti». In pochi anni, tra il 2004 e il 2020, la Nato passò da 16 a 30 Paesi membri. E quindi «non stupiamoci troppo se Putin, mescolando aggressività, risentimento e calcolo dei rischi, parla di impero della menzogna». L’Occidente non è stato in grado di costruire un «ordine multipolare». Americani e europei erano certi di aver vinto, di aver fatto diventare il mondo capitalista e gli Usa egemoni. «La hybris occidentale, la sua smoderatezza, è qui». Ancora, la Spinelli ricorda come Putin non sia stato il primo a violare il rispetto dei confini e cita l’intervento Nato in favore degli albanesi del Kosovo che lo violò per primo nel ’99. Spinelli, inoltre, aggiunge: «Eravamo noi a dover neutralizzare l’Ucraina, e ancora potremmo farlo. Noi a dover mettere in guardia contro la presenza di neonazisti nella rivoluzione arancione del 2014 (l’Ucraina è l’unico Paese europeo a includere una formazione neonazista nel proprio esercito regolare). Noi a dover vietare alla Lettonia – Paese membro dell’Ue – il maltrattamento delle minoranze russe». «Nel 2014, facilitando un putsch anti-russo e pro-Usa a Kiev, abbiamo fantasticato una rivoluzione solo per metà democratica». Per finire la Spinelli ricorda che la Storia dà torto solo agli sconfitti e che, se la guerra dovesse risolversi positivamente per lui, le ragioni di Putin sarebbero le ragioni della Storia. La presa di posizione di Barbara Spinelli è per molti versi sorprendente; Gianni Riotta su Twitter sottolinea: «Durante la guerra in Jugoslavia, su La Stampa, Barbara Spinelli era così ferocemente filo Nato e Occidente da firmare appelli in stile Henry Levy e Glucksmann sui nostri valori. Adesso scrive sul Fatto e diventa anti Usa e Occidente. Peccato!». Potremmo considerare la sua come una deriva situazionista, specchio dei nostri tempi, ma ciò non toglie che l’appiattimento dei media sulla condanna a Putin non stia scrivendo una grande pagina nella storia del giornalismo.

sabato 22 gennaio 2022

IL VACCINO CUBANO FUNZIONA MA L’OMS (NELLE MANI DEGLI USA) NE OSTACOLA LA DIFFUSIONE

Il vaccino cubano funziona alla grande a Cuba dove si registra uno dei più alti tassi di vaccinazione al mondo e i preparati cubani sono in grado di aiutare molti Paesi a basso reddito nella prevenzione del Covid; ma non sono ancora stati autorizzati dall’Organizzazione mondiale della sanità per il timore (pretestuoso) che l’industria cubana non sia in grado di mantenere gli standard richiesti dall’Oms. In tutto questo c’è il solito zampino degli americani che continuano a imporre il criminale embargo a Cuba e condizionano l’operato dell’Oms. «È un’impresa incredibile» ha dichiarato Helen Yaffe, un’esperta di Cuba e docente di storia economica e sociale all’Università di Glasgow, in Scozia. «È il risultato di una consapevole politica governativa di investimento statale nel settore, sia nella salute pubblica che nella scienza medica» ha aggiunto. La tecnologia cubana è a basso costo. Tutti e cinque vaccini sviluppati da Cuba (tra cui Abdala, Soberana 02 e plus) sono vaccini a sub unità proteica, cioè usano «composti proteici» del coronavirus. Un altro vaccino di questo tipo è lo statunitense Novavax, già approvato dall’Agenzia europea del farmaco. Questi vaccini oltre ad essere economici da produrre possono essere fabbricati su vasta scala e non richiedono il congelamento elevato. Distribuire e somministrare un vaccino che non richiede basse temperature è più facile rispetto a uno che deve essere conservato a meno 25 gradi e può resistere solo poche ore al decongelamento (è il caso del Pfizer). Cuba ha già iniziato a esportare Abdala per ora solo in Vietnam e tra qualche mese dovrebbe aggiungersi il Messico.

BERLUSCA DISPERATO DISTOPICO POP

Diavolo d’un cavaliere, è la mia ossessione, da quel dannato 26 gennaio 1994 in cui annunciò urbi et orbi la sua “discesa in campo”. Se ci pensate bene è una data che fa quasi il paio con quella (un tantinello più tragica) del 20 ottobre 1922 (a proposito quest’anno sono 100) che segnò la scesa in campo dell’altro cavaliere. Aldilà del giudizio politico, che non può essere che impietoso, non si può negare che la figura di Silvio Berlusconi sia ormai elevata sugli altari della cultura Pop al ruolo di irraggiungibile e impareggiabile Icona. La nomina a Presidente della Repubblica è vissuta dal Cav e dai suoi adoranti come il giusto compimento del percorso miracoloso intrapreso ben 28 anni orsono e c’è da giurare che l’acme sarebbe il posizionamento del suo ritratto dietro le scrivanie di tutti i capi delle Procure d’Italia. Sono pronto a scommettere che non esiste al mondo uno scrittore distopico capace di immaginare un momento del genere. Oggi mi piace celebrare questo disperato tentativo del Cav con le pagine dei primi due numeri di una delle mie follie editoriali: IL BERLUSCONIERE un mensile a diffusione nazionale, ideato e realizzato con la mia indimenticabile e geniale amica Daniela Pellicanò, nel 2004. Di seguito l’editoriale del primo numero datato Giugno 2004: PAR CONDICIO… MA NON È Un giornale di parte? Un giornale che viola la par condicio? Un giornale fazioso? Si! Il Berlusconiere è tutto questo e anche di più; è il grido di dolore di chi non si rassegna a morire berlusconiano e spera in un ravvedimento, magari in zona Cesarini, del popolo-bue stregato dall’incredibile tycoon di Arcore. Ci vorranno decenni per recuperare la credibilità e il decoro della nostra nazione, distrutte dalle performance, al limite tra il guittesco e il demenziale, del nostro cosiddetto premier. Non so se avete notato, ma Berlusconi il meglio (quindi il peggio) di sé stesso lo da quando si trova all’estero, oppure in Italia ma al cospetto di leader stranieri. Questo la dice lunga sul provincialismo e sul complesso d’inferiorità che permeano tutte le sue azioni. Una politica estera fatta di pacche sulle spalle, abbracci, battute e barzellette cretine, esibizioni da guitto di terz’ordine, ostentazione di presunti rapporti confidenziali, è diventata la favola delle cancellerie di tutto il mondo. Sulle linee del fax e lungo le fibre ottiche della rete c’è un frenetico scambio di aneddoti e storielle che narrano le gesta, al limite della leggenda metropolitana, del capo del governo italiano. In Italia il modo di fare di Berlusconi scandalizza un po’ meno e anzi una congrua parte dell’elettorato del centrodestra manifesta una sorta di preoccupante (per le sorti della nazione) compiacimento. La famosa predizione di Indro Montanelli circa il dissolvimento del fenomeno Berlusconi, grazie a un meccanismo di autoannientamento, provocato dal diffondersi di una sorta di rimedio omeopatico (“lasciamolo operare con i suoi metodi, si distruggerà con le sue mani…”) si è rivelata infondata; anche il guru del giornalismo aveva peccato di ottimismo nel giudicare le capacità di ravvedimento dell’elettorato italiano. Questo nostro giornalino è un donchisciottesco tentativo di affrontare mulini a vento che si chiamano Mondadori, Mediaset, Rai 1, Rai 2 e… quanto è lunga ‘sta lista! Siamo ansiosi di scoprire se qualcuno avrà la spudoratezza di accusarci di aver violato la par condicio: i Bondi, gli Schifano, i Tajani, i Vito sono sempre all’erta pronti a ringhiare in difesa del proprio padrone, loro non hanno il senso del ridicolo, quindi, rimarranno stupiti come cherubini ebeti, quando una risata li seppellirà.