mercoledì 13 ottobre 2010

LA PRIMA SEDE DI GOOGLE ERA IN CAFFE’ VIENNESE DEI PRIMI DEL ‘900

Stefan Zweig, scrittore austriaco (1881-1942), è uno dei protagonisti della vita culturale di Vienna nei primi anni del Novecento, accanto a Freud, Klimt, Schiele e Schnitzler. Ed è proprio a quest’ultimo, autore di “Girotondo”, “La signorina Else” e “Doppio sogno”, che Zweig viene spesso accostato, per l’attenzione data nelle sue opere alla psiche umana, indagata sotto la lente della psicoanalisi che nasceva e si diffondeva proprio in quegli anni. In questo delizioso libriccino pubblicato nel 2008 da Adelphi nella Biblioteca Minima, Zweig ci offre, in appena quarantaquattro mirabili paginette, il ritratto di un personaggio affascinante e surreale come pochi altri. “Mendel dei libri” è la storia di Jakob Mendel, un vero e proprio antesignano di Google, che aveva installato nel tavolo di un classico caffè viennese, la sua attività di “rivendugliolo” di libri preziosi, rari e introvabili. Probabilmente non aveva letto ogni volume ma era a conoscenza dell’esistenza di tutti e sapeva dove trovarli. Seduto dalle sette e trenta del mattino fino alla chiusura serale al Caffè Gluck, a Vienna, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, non si occupava della politica, delle relazioni internazionali o di chi gli stava attorno. Era sempre immerso nella lettura di qualche libro o catalogo e alzava la testa solo se qualcuno gli chiedeva di trovare un’opera per lui.
“Lì a quel tavolo, e solo a quel tavolo, leggeva i suoi cataloghi e i suoi libri, così come gli avevano insegnato a leggere nella scuola talmudica, salmodiando e dondolandosi, nera culla che beccheggia. Perché, come un bambino cade addormentato e scivola via dal mondo al ritmo ipnotico di quel su e giù, allo stesso modo -secondo l’opinione di quegli uomini devoti- lo spirito si cala più facilmente nello stato di grazia della contemplazione quando il corpo inattivo si culla e si dondola. E in effetti Jakob Mendel non vedeva e non sentiva niente di ciò che gli accadeva attorno”. Quello che rendeva Mendel assolutamente unico era “la sua capacità di concentrazione assoluta” e la ferrea memoria che gli consentiva di immagazzinare qualsiasi informazione relativa a saggi, trattati, romanzi, insomma ogni cosa che avesse una forma cartacea. Studiosi e ricercatori si recavano al Caffè Gluck per consultare Mendel certi di ottenere una risposta esauriente. E che questa capacità di concentrazione in situazioni comunemente ritenute non ideali, sia tipica della cultura del popolo ebraico (anche se in parte ascrivibile ad abitudini contratte in età scolare) me lo dimostrano altri due esempi; uno riguarda il grande Joseph Roth (ammiratissimo da Zweig) che scrisse molte delle sue opere al tavolo di un affollato caffè parigino, l’altro niente meno che il Mossad (il famigerato o celebre, lascio a voi la scelta dell’aggettivo, servizio segreto israeliano), un amico appassionato d’intelligence mi ha parlato di severi addestramenti degli agenti, tendenti a perfezionare la capacità di concentrazione in situazioni di estremo caos ambientale.
La grande lezione che Zweig trae dall’incontro con Mendel è fulminante: “Grazie a lui mi ero avvicinato per la prima volta al grande mistero, ovvero al fatto che, se mai nella nostra esistenza riusciamo ad attingere qualcosa di speciale, qualcosa di più elevato, ciò accade solo al prezzo di una particolare concentrazione interiore, di una paranoia sublime e, nella sua sacralità, affine alla follia”. Destino volle che Mendel, proprio lui che sublimando la sua astrazione non si era mai interessato di alcuna vicenda umana, venisse travolto dall’odio disseminato in Europa dalla Prima Guerra Mondiale. La sua memoria si perse quasi subito, una legge del contrappasso beffarda cancellò repentinamente la storia di un uomo che aveva dedicato la sua vita al simbolo della lotta degli uomini contro la caducità: il libro.
“Mendel dei libri” si chiude proprio con il rammarico di Zweig circa la fragilità della memoria: “Proprio io che avrei dovuto sapere che i libri si fanno solo per legarsi agli uomini al di là del nostro breve respiro e difendersi così dall’inesorabile avversario di ogni vita: la caducità e l’oblio”.
Franco Arcidiaco
Stefan Zweig, MENDEL DEI LIBRI, Adelphi 2008, pagg. 56 Euro 5,50

venerdì 8 ottobre 2010

LE FAVOLE ALLEGORICHE DI JOSEPH ROTH

HO LETTO... UN SOGNO di VANIA D'ANGELO

La presenza a Reggio Calabria del giornalista ed editore Franco Arcidiaco è una di quella certezze che quotidianamente vivifica l’amore per la lettura e l’acculturazione. “Passeggiare per i boschi” della sua scrittura, come in un’immagine echiana, è esperienza di cammino verso un orizzonte di luce. Il saggio “Le favole allegoriche di Joseph Roth” pubblicato a luglio 2010, è uno scrigno di suggestioni e bagliori dall’eleganza sempre discreta e algida di un osservatore raffinato con levità.
Interessantissimo per gli appassionati e studiosi di germanistica. Non meno accattivante per i critici letterari impegnati nello studio dei topoi di matrice ebraica. Incredibilmente fascinoso per i lettori amanti del bello scritturale.
Vania D'Angelo
http://www.cdse.it/libro.php?id=408