mercoledì 26 marzo 2014

LA PAGLIUZZA DI NACCARI E LA TRAVE DI SCOPELLITI

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “...Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, mentre tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”. (Dal Vangelo secondo Luca 6,39-42).
Non c'è cosa peggiore di quando metti il Vangelo nelle mani di un ateo comunista, ogni volta che mi capita di sfogliarlo, scatta un riflesso pavloviano che inevitabilmente porta a radicalizzare le mie posizioni. Stamattina, per esempio, leggendo le locandine dell'edizione di Reggio del Quotidiano, la mia mente è andata subito a quella parabola e, di riflesso, a quel "Modello Reggio" di scopellitiana memoria che, dopo aver annientato il tessuto sociale e civile della mia città, ha finito con l'infettare l'intera regione. La vicenda strillata dalla locandina, riguarda la storia della dottoressa Valeria Falcomatà in Naccari, accusata di aver brigato, assieme al marito, per vincere un concorso pubblico di dirigente medico. Partendo dal presupposto che i due coniugi non hanno certo bisogno di un giornalista dilettante quale il sottoscritto che si erga a loro avvocato difensore, quello che mi preme sottolineare è l'evidente disparità di trattamento che viene riservata da alcuni autorevoli organi di informazione, tra cui il Quotidiano, a due politici come Naccari e Scopelliti che, ormai da un decennio, sono i protagonisti indiscussi della politica reggina, per non dire calabrese. Tanta acqua è passata sotto i ponti da quando Naccari, con il valido sostegno dell'attuale segretario provinciale del PD Seby Romeo, ha demolito il "modello Scopelliti" consegnando le inoppugnabili prove dei suoi disastri alla Procura della Repubblica ed al Prefetto. Purtroppo tutto questo tempo non è ancora risultato sufficiente al sistema giudiziario per chiudere conseguentemente la vicenda; è indiscutibile, però, che i fatti succedutisi, dal suicidio della Fallara allo scioglimento del Comune, hanno parlato, per chi ha avuto voglia di ascoltare, più chiaramente di mille sentenze. Attenzione che qui non siamo al cospetto della solita schermaglia tra politici antagonisti, ci troviamo invece davanti ad un caso più unico che raro di un politico di opposizione che, stanti le difficoltà di ottenere le riposte ai suoi dubbi dagli organi politici istituzionali, ha raccolto documenti e prove e li ha consegnati alle autorità giudiziarie. Questa azione ha provocato un vero e proprio terremoto che, nonostante l'incredibile e sospetta prudenza investigativa, ha portato al crollo di un sistema che sembrava inattaccabile. Proviamo ora a mettere sul piatto destro della bilancia, magari quella simbolica della Giustizia, le tonnellate di spazzatura riversate sulle nostre strade, le disastrose condizioni in cui versa il sistema sanitario, il clamoroso dissesto del Comune di Reggio Calabria, il degrado civile e sociale che simboleggia ormai la Calabria in tutto il mondo e sul piatto sinistro la vicenda della moglie di Naccari; ma mi volete dire di cosa stiamo parlando? Pur non essendo avvezzo a ricorrere ai più vieti luoghi comuni, mi lascio andare anch'io al classico: "Ho fiducia nell'operato della Magistratura", aggiungendo, però, che spero si arrivi agli ultimi gradi di giudizio prima che la situazione sociale diventi irreparabile. Vedremo un domani se Scopelliti è una povera vittima delle macchinazioni di quel demonio di Naccari, e se quest'ultimo non ha i titoli per indossare i panni del moralizzatore o, invece, non è rimasto semplicemente bersaglio del "metodo Boffo" di berlusconiana memoria. Nel frattempo suggerirei agli amici del Quotidiano di stampare per le edicole di Reggio Calabria locandine "a due piazze", al fine di allontanare dai lettori reggini alcuni maligni sospetti.
Franco Arcidiaco

lunedì 17 marzo 2014

ROSARIO D'AGATA E L'ARTE DEL ROMANZO INCHIESTA. LA STORIA DI ENRICO MATTEI.

Il romanzo-inchiesta è un genere non troppo praticato in italia, anche se il successo di "Gomorra" di Roberto Saviano ha contribuito in qualche modo a riportarlo in auge. Rosario D'Agata è un grande maestro in questa materia e lo ha dimostrato quando, nel 2009 alla tenera età di 74 anni, ha deciso di dare alle stampe la sua poderosa e ponderosa (ben 474 pagine) ricostruzione della vicenda umana e professionale di Enrico Mattei, del suo "cane a sei zampe" e della "Supercortemaggiore, la potente benzina italiana". "Il prezzo del coraggio", questo è il titolo di quel suo primo romanzo, consegna su un piatto d'argento ai lettori quel periodo della storia d'Italia che va dalle speranze e gli entusiasmi del dopoguerra, all'avvio della tragica fase della "strategia della tensione" e dei cosiddetti "anni di piombo". E' sorprendente, anche per il lettore più avveduto, scoprire come l'attenta ricostruzione (sia pur romanzata) di una vicenda, possa contenere le giuste chiavi di lettura per interpretare le sconcertanti manovre internazionali che hanno segnato in modo indelebile la Storia contemporanea del nostro Paese. Rosario è ben consapevole di questo e l'incipit della sua prefazione parla chiaro: "Sembra impossibile che la vicenda narrata in questo romanzo possa riferirsi a fatti realmente accaduti nel nostro Paese non molti anni or sono e che solo in parte sono stati resi noti al grande pubblico...". La spiegazione ce la fornisce un po' più avanti lui stesso: "Viviamo in un periodo nel quale parlare di impresa pubblica può sembrare una bestemmia e quindi potrebbe apparire anacronistico, oltre che politicamente scorretto, raccontare la storia di un imprenditore di Stato che operò a vantaggio del Paese senza cercare il proprio profitto personale, suscitando sorrisi di compatimento da parte degli ammiratori dei nuovi capitani d'impresa tutti presi dall'obiettivo supremo di far soldi". Rosario D'Agata ha lavorato all'ENI dal 1968 (sei anni dopo la scomparsa di Mattei) al 1995, all'Ufficio studi, alla Direzione relazioni esterne e infine come responsabile dell'immagine dell'Agip; fervente ammiratore di Enrico Mattei, ha curato molte pubblicazioni sulla sua figura e sulla storia del Gruppo. Le sue sono, dunque, fonti di primissima mano che conferiscono un'intaccabile patente di credibilità all'impianto narrativo del suo "romanzo". La Storia della seconda metà del '900 è ancora tutta da scrivere; bisogna essere consapevoli che, fino ad oggi, quelli che sono stati spacciati come fatti storici, altro non sono che gli alibi precostituiti dalle potenze economiche occidentali per giustificare le loro nefande manovre di consolidamento delle posizioni di dominio conquistate dopo la Seconda Guerra Mondiale. Gli accordi internazionali siglati nel febbraio del 1945 durante la Conferenza di Yalta, segnarono sì ufficialmente la fine delle ostilità ma diedero, a tutti gli effetti, l'avvio ad una guerra ancora più spietata, poiché subdola e segreta, che ancora oggi determina i destini del mondo: la Guerra Fredda. Il gioco rimase saldamente nelle mani degli USA e le regole furono determinate dai canoni del più ferreo Capitalismo; d'altra parte gli americani non persero tempo a sfoderare il loro biglietto da visita. Erano passati appena sei mesi dagli accordi di Yalta, quando, il 6 agosto 1945, gli USA inaugurarono la lunga stagione del "Terrorismo di Stato" con il lancio della Bomba Atomica sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Da quel momento non ci fu un angolo del mondo (Italia compresa) che non si trovò costretto a fare i conti con la legge inumana e sanguinaria dettata dal potere economico sovranazionale, guidato con pugno di ferro dagli americani. La vicenda di Enrico Mattei e dell'ENI s'inquadra in questo incredibile e complicato scenario; grande è l'abilità con la quale Rosario D'Agata riesce a renderla fruibile anche a lettori non avvezzi ad argomenti di politica e economia. La narrazione, infatti, procede spigliata e fluente con un ritmo da Spy Story, per non dire da fiction. Mattei, anche se aveva partecipato alla Resistenza, non era un Comunista; il suo intendimento non era, dunque, sconvolgere la politica economica imperante. Alla base del suo operato c'era solo un grande amore per il nostro Paese e la voglia di dimostrare che anche da noi esisteva una sana classe di imprenditori e di manager e tante valide maestranze, in grado di fare dell'Italia una potenza economica indipendente dalle altre nazioni. Mattei era convinto che l'intervento dello Stato nell'economia fosse per l'Italia la sola strada per impedire che la debolezza politica di un Paese uscito sconfitto dalla guerra, praticamente alla mercé dei potenti vincitori, lo facesse diventare una vera e propria colonia da sfruttare. Non negava il valore dell'iniziativa privata ma era altrettanto convinto che taluni comparti essenziali per l'autonomia di un Paese dovessero essere gestiti direttamente o indirettamente dallo Stato. Nel libro l'Autore prefigura l'esistenza di un Direttorio sovranazionale che regge le sorti del Mondo: "Quelle persone, sette uomini e una donna, rappresentavano il Potere, il potere economico e finanziario che da sempre ha governato il mondo.(...) Presidenti, generali, dittatori, politici, statisti, grandi industriali, pensatori e tutti coloro che appaiono in possesso, pur non essendone, del potere di determinare i destini dell'umanità -o di influire su di essi-, sono sempre stati inconsapevolmente pedine di una specie di direttorio invisibile in grado di servirsi di volta in volta di eserciti, di tecnologie, di demagoghi, di movimenti, per finalità legate solo agli immensi interessi di coloro che ne fanno parte". Solo un artificio narrativo quello di D'Agata?, al lettore la risposta; quel che è certo, è che non sembra affatto fantascienza la risposta data da uno dei membri del fantomatico direttorio a chi gli chiedeva come mai non ritenesse semplice sottomettere l'Italia: "Non è così semplice, bisogna tener conto del peso politico dei comunisti italiani, della vicinanza con l'Est, della necessità, quindi, di non sbagliare misura." Sembra proprio l'avvio di quella barbara "strategia della tensione" che non avrebbe esitato a insanguinare le piazze italiane pur di tenere lontano il PCI dal governo del Paese. Il libro è disseminato di frasi, abilmente contrassegnate dai caratteri in corsivo, che riportano espressioni reali di vari funzionari americani reperite da D'Agata grazie ai suoi canali di informazione; fa tremare le vene ai polsi il seguente passaggio (occhio al corsivo): "Mr. Van Haas specificò innanzitutto che quell'ufficio, che si occupava ufficialmente di rapporti commerciali a latere dell'addetto commerciale dell'Ambasciata degli Stati Uniti, non era in realtà una emanazione diretta né del governo americano né di qualsiasi altro governo, ma che faceva capo a istanze decisionali dalle quali dipendeva la sopravvivenza e lo sviluppo del Sistema Occidentale." Scrive D'Agata: "Quello che importava era sempre e in ogni caso, la difesa e l'incremento di quel potere che il controllo dell'economia mondiale poteva dare. Era il loro un cartello assoluto, senza morale, senza sentimenti, ma teso solo a consolidare quel potere con ogni mezzo, al di fuori di qualsiasi remora e di qualsiasi regola." "E ora un piccolo italiano osava seminare in giro idee pericolose che, pur non potendo recare danni di qualche rilievo al meccanismo di potere del Direttorio, avrebbero potuto procurare dei fastidi alimentando qualche esaltato con sogni rivoluzionari e costringendo il Direttorio stesso a perdere tempo e soldi per tamponare qualche iniziativa di disturbo." Per fermare Mattei fu tentato di tutto, dalle pressioni politiche, alle campagne di stampa falsamente ambientaliste, alle lotte sindacali prezzolate, ai sabotaggi degli impianti, fino alla classica arma della diffamazione personale; la sua irriducibilità e la sua fermezza costrinsero il "direttorio" a fare ricorso alla soluzione finale: l'attentato al suo aereo, precipitato il 27 ottobre 1962 sui monti lombardi di Bascapé, di rientro da una missione in Sicilia. Quasi certamente la condanna a morte di Mattei fu decretata dopo la storica conferenza dei petrolieri mondiali, tenutasi al Grand Hotel di Roma, durante la quale fu lanciato un vero e proprio atto d'accusa verso quel petroliere senza petrolio "colpevole" scrive D'Agata "di pretendere di poter far parte di un monolitico e collaudato consorzio di operatori senza avere esperienze e risorse ma al contrario creando confusione e facendo il gioco del Comunismo internazionale con i suoi flirt con i paesi del cosiddetto Terzo Mondo e delle forze sovversive che vi fioriscono." Fu in quell'occasione che Mattei pronunciò quella che passò alla storia come "la parabola del gattino affamato": " C’era una volta un gattino gracile e smunto, che aveva fame. Vide dei cani grossi e ringhiosi che stavano mangiando e, timidamente, si avvicinò alla ciotola. Ma non fece nemmeno in tempo ad accostarsi che quelli, con una ‘zampata’, lo allontanarono. Noi italiani siamo come quel gattino: abbiamo fame e non sopportiamo più i cani grossi e ringhiosi, anche perché, in quella ciotola, c’è petrolio per tutti"; ma la ciliegina sulla torta doveva ancora arrivare: "Non passerà molto tempo che dovrete accorgervi, a vostre spese, che non potete fermare la storia. I Paesi che detengono le risorse petrolifere, e che oggi sfruttate, diventeranno loro stessi i gestori diretti delle loro risorse e voi dovrete adeguarvi, volenti o nolenti!" Da quel momento Enrico Mattei intensificò una campagna di sensibilizzazione, di sostegno e di affiliazione all'ENI dei Paesi del Terzo Mondo (Iran, Libia e Egitto in testa) che possedevano giacimenti petroliferi; era veramente troppo, la misura per il Direttorio era colma, quell'italiano fastidioso doveva essere fermato. E, con buona pace di chi veramente ha creduto alla favoletta dell'implosione e del fallimento dell'Unione Sovietica, e alla sua caratteristica di Impero del male, sentite come Mattei rispondeva a chi si meravigliava della sua decisione di acquistare petrolio dall'URSS: "Sì acquisteremo dall'Unione Sovietica, la cui realtà non deve essere intesa, come finora è accaduto, soltanto come una minaccia potenziale, ma anche come un fattore di equilibrio... un elemento in grado di bilanciare lo strapotere dell'economia americana. E vi dico di più... se un giorno l'URSS dovesse sfaldarsi, sarebbe l'inizio di una sciagura per il mondo, perché saremmo tutti alla mercé di una sola superpotenza che governerebbe il mondo a suo piacimento, facendone un unico grande mercato." Profetico, come tutti i grandi uomini, Enrico Mattei arrivò a delineare, con decenni di anticipo, la tragica situazione nella quale ci saremmo catastroficamente venuti a trovare dopo il crollo del Muro di Berlino. Oggi non è più tempo di eroi e di sognatori ma, come fa dire D'Agata a uno dei membri del Direttorio, la spietata Inez: "di figure nuove, uguali e contrarie (a gente come Mattei, ndr) persone da aiutare a diventare imprenditori pigliatutto, che sappiano muoversi con vivacità, disinvoltura e simpatia, che diventino un punto di riferimento, persone che possano essere considerate come esempio da emulare, capaci di crearsi un'immagine che sappia fare sognare tutti gli ingenui fino a trasformarsi in un mito intoccabile per le masse. Dobbiamo creare personaggi che siano anche convinti sostenitori e difensori del mercato e delle sue leggi, esempi irresistibili di imprenditori privati che si sono fatti da sé." Vi viene in mente qualcuno?
Franco Arcidiaco
Rosario D'Agata
Il prezzo del coraggio. Enrico Mattei e il cane a sei zampe tra mistero e realtà.
Edizioni Zines Agra, Roma, 2009
Pagine 476, € 18,00