domenica 8 marzo 2009

UN FUTURO SOTTO IL PONTE?

L’ultima balla di Berlusconi & C. prefigura per reggini e messinesi un futuro da barboni, centinaia di migliaia di persone costrette a passare il resto della propria vita sotto un ponte; con la prospettiva, come ha autorevolmente ammonito il geologo del CNR Mario Tozzi, di godere della meravigliosa struttura (sicuramente antisismica) dall’interno di due immense aree cimiteriali (tali sono destinate a diventare Reggio e Messina senza un seria programmazione antisismica).
Ponte o case antisisma? La domanda non è peregrina se rivolta agli amministratori di due città che hanno sicuramente problemi più urgenti. Non è necessario essere dei grandi strateghi per capire che il rapporto costi-benefici è largamente sfavorevole e che il ponte potrebbe essere deleterio in caso di sisma, anche in considerazione del fatto che si distoglierebbero fondi ingenti per la sua costruzione e ciò costituirebbe una grave colpa in caso di catastrofi naturali. A ciò si aggiunga la preoccupazione per l'ambiente, che è il capitale più prezioso e deperibile del nostro Paese: nessuna valutazione d’impatto ambientale è stata allegata al progetto (i progettisti ne hanno presentata una ma poi l´hanno ritirata a causa della sua inadeguatezza). Tralasciando l'aspetto economico (su cui molti hanno già scritto mettendo in luce che l'opera non sarà mai in grado di remunerare il capitale investito) e quello politico (la schiacciante maggioranza di cui dispone Berlusconi si traduce, inevitabilmente, in consenso verso il Ponte), da un punto di vista geologico i dubbi sono parecchi. Alcuni geologi temono che il rischio di costruire una struttura del genere nella zona a più elevata sismicità del Mediterraneo sia sufficientemente alto. Reggerà al terremoto prossimo venturo un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter sulla base del sisma di Messina e Reggio del 1908, visto che - non essendoci al tempo rilevamenti strumentali adatti - si può trattare di una stima approssimativa e che, quindi, quello futuro potrebbe essere di magnitudo più elevata? Va inoltre ricordato che il ponte risulta efficacemente difeso da un terremoto 7,1 Richter solo una volta interamente realizzato: nulla è assicurato per le fasi costruttive, durante le quali le strutture sarebbero assolutamente vulnerabili. Ma a cosa servirebbe un ponte che rimane in piedi se il terremoto è veramente "solo" 7,1 Richter? Invece di unire due future aree cimiteriali non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri fondi (pubblici e privati, occupazione e profitti, sarebbero comparabili) nella ristrutturazione di città che hanno solo il 20 per cento di costruzioni antisismiche? La Sicilia nord-orientale e la Calabria meridionale sono notoriamente le regioni a più alto rischio dell'intero Mediterraneo.
Ma prima di scampare al prossimo terremoto, il ponte va costruito e per farlo bisogna prima di tutto impiantare, a oltre 50 metri di profondità, due piloni alti quasi 400 metri (più dell'Empire State Building) per un totale di oltre 500.000 metri cubi di cemento. Per fabbricare tutto quel cemento è necessario l'approvvigionamento di calcari, ciò significa aprire decine di nuove cave nell'area dello stretto con sfregio ambientale irreversibile di colline e versanti, fino allo stravolgimento vero e proprio del rilievo esistente. Nello scavare le due fosse si tirerebbero fuori oltre 8 milioni di metri cubi di terra, sabbia, ghiaia e detriti rocciosi che andrebbero comunque trattati. Lo scavo altererebbe completamente ogni equilibrio idrogeologico delle aree di appoggio, ivi compreso il prosciugamento del lago Ganzirri (nel Messinese) e la Costa Viola (nel Reggino), aree già normalmente interessate da frane. In questi casi è lecito domandarsi se la messa in sicurezza (naturalistica) del territorio non dovrebbe venire prima della costruzione di qualsiasi opera.
Ci sono infine i dati geodinamici recentemente messi in luce dall' ENEA (ma da altri contestati), che indicano un allontanamento tra le sponde di un centimetro all´anno e un sollevamento verticale differenziale della costa calabrese rispetto a quella sicula: problemi che, come minimo, comporteranno un incremento di spesa.
Insomma, non esiste oggi una persona di buon senso e in buona fede (non parliamo evidentemente di Ciucci, nomen omen…) che possa ancora credere alla favoletta del Ponte, figuratevi che finanche quello che è stato per anni il coordinatore del comitato tecnico-scientifico del progetto Ponte, il prof. Remo Calzona ha finito con l’esprimere di recente grandissimi dubbi sulla costruibilità. Ma se ancora dovesse esservi rimasto qualche dubbio, cari amici strilloni, eccovi la ciliegina sulla torta, sotto forma di ingenua domanda: ma, prima di costruire, non bisogna espropriare le aree interessate? Bene, ascoltate in proposito cosa dice il prof. Alberto Ziparo, nostro concittadino docente dell’Università di Firenze e coordinatore degli studi sull’impatto ambientale del Ponte sullo Stretto: “ Gli espropri di cui si parla nella delibera con cui il CIPE ha dato il via libera al manufatto, non riguardano le opere del Ponte ma interventi, definiti collaterali, che in realtà interessano opere di sistemazione stradale e ferroviaria nei comuni di Villa San Giovanni e Messina, già decise e da realizzare a prescindere dal Ponte. Gli espropri delle strutture relative al manufatto, infatti, non possono essere eseguiti prima dell’approvazione del progetto definitivo.”
A questo punto la domanda sorge spontanea: ma chi credono di prendere in giro? Ma lo sanno che nell’area di Ganzirri e Torre Faro sorgono, oltre a migliaia di abitazioni ed esercizi commerciali, un paio di centinaia di ville megagalattiche di proprietà di tutto il notabilato messinese? E tra Villa e Cannitello, avete idea di quello che significa espropriare e traslocare centinaia di famiglie? Ma vi rendete conto che basta il minimo ricorso del proprietario di un pollaio per bloccare l’esproprio per anni? Qualcuno ricorda la vicenda dell’abbaino che ha bloccato per decenni lo sviluppo dell’aeroporto di Reggio?
E per finire, perché nessuno tira fuori quello studio commissionato un paio di anni fa dal Comune di Messina (e subito secretato), che stabiliva che un buon 50% del territorio comunale sarebbe interessato permanentemente dalla proiezione dell’ombra del manufatto rimanendo perennemente in penombra?
Ci sarebbe poi ancora da parlare dell’effettiva utilità per i pendolari reggini e messinesi, vi dico solo che, pedaggio a parte, dal centro di Reggio per raggiungere il centro di Messina ci saranno da percorrere una cinquantina di km, a meno che qualcuno non pensi di raggiungere la quota di 180 metri con una rampa unica.
Comunque, conoscendo il soggetto, non ho alcun dubbio che il Caimano a breve si rechi tra le nostre povere sponde a posare la prima pietra, stia pur certo che quel giorno saremo in tanti disposti a ritirargliela in testa!
Franco Arcidiaco

lunedì 2 marzo 2009

TUTTO A POSTO

Non so quante volte al giorno vi capita di usare questa frase, penso che sia una delle espressioni più usate nelle conversazioni tra reggini; può essere in forma interrogativa ed in questo caso diventa un saluto vero e proprio (tuttuapostucumpari?), viene usata altresì per rispondere alla classica domanda: come va? In ogni caso dalle nostre parti è quasi sempre tutto a posto. Se devo essere sincero non mi ricordo più dove volevo andare a parare con questo incipit filologico, ma in ogni caso, siccome mi sembra venuto bene, cerchiamo di andare avanti lo stesso. In realtà sono un po’ in confusione, il mio strizzacervelli ha rinunciato miseramente al suo incarico; glielo avevo conferito l’indomani della caduta del Muro di Berlino, ma già qualche mese dopo, al crollo dell’ Unione Sovietica, mi aveva, con molta onestà, dichiarato incurabile (è ‘nutili mi ti futtu i sordi, ccà non ncunchiurimu nenti…). Oggi, poiché alla politica non riesco proprio a rinunciare, mi ritrovo su una, mi dicono bizzarra, posizione stalinista-naccariana (di rito brezneviano), ne ho parlato l’altra sera a Demetrio davanti a una buona bottiglia di vino e, dopo qualche bicchiere, mi è sembrato benedire la mia tesi. Il problema è, miei cari strilloni, che trovo veramente ridicoli quelli che, dopo aver buttato il bambino assieme all’acqua sporca, pretendono ancora di aggregare la gente attorno a concetti come: antifascismo, classe operaia, lotte sindacali, rispetto dei valori costituzionali e via discorrendo. La storia della Sinistra in Italia è finita il 12 novembre 1989, quando un politico fallito e screditato di nome Achille Occhetto, dettò la cosiddetta “svolta della Bolognina” che da lì a poco avrebbe portato allo scioglimento del PCI, ovvero dell’unico partito che era uscito a testa alta dalla cosiddetta prima repubblica e, a tutti i livelli, aveva dato sempre dimostrazione di serietà, onestà, capacità di governo e fedeltà alle istituzioni. Con un colpo di spugna si azzerò non solo un partito che era arrivato al 30% di suffragi, ma si spazzò via un’intera classe politica che, da quel giorno in poi, si sarebbe dispersa tra i vari rivoli contrassegnati da sigle improbabili (Pds, Ds, Rc, Pdci) che, nemmeno messe tutte assieme, sarebbero mai riuscite ad arrivare al livello dei consensi del vecchio PCI. Oggi, per tornare al nostro incipit, tutto è a posto: i comunisti non ci sono più, il partito degli affari è al governo a tutti i livelli, la chiesa spadroneggia con un papa al cui cospetto l’ayatollah Ali Khamenei sembra un laico gaudente e Berlusconi continua a sputtanarci a livello planetario con le sue incredibili gaffes. Si ritorna a parlare di ponte sullo Stretto, nel mezzo di una crisi economica micidiale (ma nessuno parla di crisi del capitalismo…), ed anche le opere d’arte rischiano la cartolarizzazione sull’altare del rapporto deficit/Pil. Nel frattempo quel che rimane dei partitini cosiddetti comunisti continua ad accapigliarsi pateticamente su ipotesi di nuove sigle e nuovi schieramenti usando frasi trite e ritrite mutuate da un frusto bagaglio di polverosa tradizione politichese. Tutto è a posto dunque, così ha voluto il popolo italiano, così vuole il popolo reggino, salvo poi lamentarsi delle strade che franano, dei treni che non funzionano, della sanità che va in pezzi, del lavoro che manca, della criminalità dilagante; non importa nulla, cari strilloni, il vero problema era il comunismo, ora abbiamo la democrazia e il capitalismo trionfanti e tanto basta per dichiararci soddisfatti. Tanto, Berlusconi garantisce anche il diritto di lamentarci: a Palazzo Chigi governa e a Mediaset fa l’opposizione con Striscia la notizia e Le Iene, e gli italiani continuano a votarlo. Malanova o suffraggiu universali…
Franco Arcidiaco

IL GRANDE BLUFF POLITICA, CREDITO E FINANZA

Nello scorso mese di ottobre ho pubblicato alcuni articoli (su "il Manifesto" e "Carta") in cui denunciavo l'anomalia del caso italiano in merito al default del sistema bancario. Infatti, mentre tutti gli altri paesi europei scoprivano le carte e annunciavano le misure governative necessarie per impedire il crollo del sistema creditizio, il governo Berlusconi, coadiuvato dal silenzio del governatore Draghi, rassicurava gli italiani con messaggi del tipo: le nostre banche sono state più prudenti, il nostro sistema è il più solido di tutti, ecc. E così gli italiani non si sono fatti prendere dal panico, non hanno ritirato i propri risparmi dalle grandi banche, non si sono messi in fila, com’è accaduto in Inghilterra con il fallimento della Northen Rock ( poi nazionalizzata). Insomma, nell'immagine che abbiamo di noi stessi, nello specchio su cui ci fanno riflettere i mass media, ci siamo sentiti gratificati dal fatto di vivere nell'unico paese al mondo dove i grandi istituti bancari (Intesa S. Paolo, Unicredit, MpS, ecc.) sono governati da saggi manager che non hanno inseguito gli extraprofitti generati per anni dai famigerati hedge fund, ma si sono accontentati dello spread che si realizza tra acquisto -dalla BCE- e vendita al pubblico del denaro.
Niente di più falso, ma il bluff fino ad oggi ha funzionato. Grazie ad un'altra, decisiva, anomalia italiana: la privatizzazione della Banca d'Italia. Questo fatto, conosciuto solo dagli addetti ai lavori, è di una gravità inaudita. Come volete che operi il Governatore Draghi che, a parte il nome che incute timore, deve dare conto ad un consiglio di amministrazione in cui le quote di maggioranza sono in mano alle tre più importanti banche italiane? Controllori e controllati si scambiano le parti, un vizio non solo italico, ma a cui questo paese è molto affezionato.
Ma adesso che usciranno allo scoperto i bilanci del 2008, che qualcuno farà notare che negli attivi ci sono ancora montagne di crediti inesigibili e titoli spazzatura, allora che cosa succederà? Sicuramente il nostro governo non dispone dei 500 miliardi messi sul tavolo dalla Merkel per sostenere il sistema creditizio teutonico, o dei 320 miliardi che ha tirato fuori il governo Sarkozy, e neanche dei 150 miliardi di euro che Zapatero ha dovuto mettere a disposizione del sistema creditizio spagnolo.
Con il rapporto Debito/Pil più alto della UE, con un rapporto Deficit/Pil che ha già sfondato abbondantemente la soglia del 3%, l’unica cosa che può fare il governo è quella di fare l’assuntore del fallimento delle banche che falliranno. In questo modo potrà pagare i crediti con tagli del 60-70%, ridurre drasticamente il personale, senza naturalmente parlare di nazionalizzazione delle banche, fenomeno che sta investendo tutti i paesi occidentali. No, ha ragione il governo Berlusconi, in Italia nessuna nazionalizzazione di banche, solo sciacallaggio e distribuzione delle spoglie ai soliti amici del presidente “asso pigliatutto”. Di fronte a questo scenario inquietante è mancata totalmente una voce dell’opposizione, un pensiero di Sinistra, chiaro e lucido, che spiegasse ai lavoratori, ai piccoli imprenditori che ormai faticano a trovare due spiccioli di credito, quale fosse la realtà e quale fosse l’inganno. La questione del credito e della finanza è diventata una questione di primaria importanza sul piano politico. La SE dovrebbe presentare una sua posizione unitaria sul sistema del credito e della finanza, affinché si eviti di rattoppare il sistema, di drenare ricchezza monetaria ai lavoratori ed alle piccole e medie imprese, e si ripensi su altre basi la gestione sociale e politica del denaro. In Italia, poi, la questione politica più urgente, l’emergenza negata è lo scandalo della privatizzazione della Banca d’Italia. Un disastro per la gestione del risparmio di milioni di persone. Stiamo cominciando a capire che da questa Crisi Globale non si esce con la politica dei piccoli passi, con un po’ più di interventi pubblici, con qualche nazionalizzazione di banche o grandi imprese. E non basta nemmeno la sacrosanta redistribuzione del reddito nazionale, né dare un po’ più di soldi ai lavoratori ed ai pensionati, come propone Die Linke. Pur essendo necessario è insufficiente. Ci vuole un cambiamento nel modo con cui usiamo il denaro, e quindi il credito, nella gestione sociale e politica di questo strumento che da mezzo, utile all’umanità, è diventato un fine che distrugge la società.
Tonino Perna, Liberazione 25 febbraio 2009