mercoledì 25 giugno 2014

LETTERA NON PUBBLICATA DA "ZOOMSUD"

Caro Aldo, consapevole di correre il rischio di finire nella “colonna infame” del “riceviamo e pubblichiamo”, ti chiedo di pubblicare questa mia nota volta a chiarire al tuo collaboratore Massimo Acquaro alcuni aspetti della politica reggina che lui ama interpretare a suo piacimento. Seguendo il tuo illuminante metodo (salvo stabilire se sei stato tu o Eugenio Scalfari ad inventarlo) passo a schematizzare numericamente i vari passaggi.
PRIMO: La circostanza che la campagna elettorale si svolga d’estate, fa temere ad Acquaro che finisca con lo svuotarsi di contenuti o peggio si deteriori al punto tale di “puzzare di stantio”. Desidero tranquillizzarlo su questo aspetto, alle nostre latitudini il timore che il caldo possa bloccare o deteriorare l’attività politica mi sembra un’argomentazione francamente risibile. Basterebbe solo ricordare la data d’inizio della rivolta (luglio 1970) per capire come i reggini non sono certo un popolo che va in letargo d’estate.
SECONDO: Secondo Acquaro, bontà sua, il Csx “schiera persone autorevoli” subito dopo però le seppellisce sotto una caterva di “ex”, a questo proposito mi piacerebbe capire cosa intende quando parla di “ex-famiglie”. Non so dove abbia vissuto nel periodo del “Modello Scopelliti”, sono costretto pertanto a informarlo che i consiglieri comunali del Csx, unitamente a Demetrio Naccari Carlizzi, non solo hanno tamponato lo tsunami Scopelliti ma, dopo aver invano chiesto conto e ragione nel civico consesso, hanno raccolto documenti inoppugnabili e li hanno portati alla Procura della Repubblica. Sappiate cari amici di ZoomSud che senza quell’intervento, il “pignatone” non avrebbe mai iniziato a bollire e il sistema Scopelliti-Fallara si sarebbe perpetuato per chissà quanto tempo ancora. E quando dice che “nessuno disturbava il manovratore” parli per lui, ci sono state decine di militanti e giornalisti liberi, compreso il sottoscritto, che si sono guadagnati proprio per il loro attivismo l’infamante epiteto di “nemici di Reggio”.
TERZO: Fa bene Acquaro a dire che alla guida della città conta innanzitutto la leadership morale, così facendo tratteggia praticamente le figure di Mimmo Battaglia e Peppe Falcomatà.
QUARTO: In quanto alle idee lo informo che ne abbiamo da vendere, se mi fornisce un indirizzo email gliene rovescio una vagonata.
QUINTO: Apprendo che porzioni importanti dell’intellighenzia reggina si sarebbero compromesse col “sistema Scopelliti”; mi domando per quale motivo, essendo in possesso di informazioni così gravi e devastanti, non le abbiate esposte sulle colonne di “ZoomSud”. Nel frattempo suggerisco di dare una guardatina agli archivi di “Strill.it”, “Il Quotidiano” e “TeleReggio” per vedere cosa scriveva e denunciava il sottoscritto.
SESTO: Sull’ultimo capoverso stendo un velo pietoso, anche perché commentarlo significherebbe dover prendere atto tristemente della deriva grillina del mio amato “ZoomSud”.
Franco Arcidiaco, militante del PD, orgogliosamente di parte.

martedì 24 giugno 2014

IL PD REGGINO TRA OSSIMORI, PAPI NERI E GUASTATORI

L’incontro organizzato da Leo Pangallo, sotto le insegne dell’Associazione Nuova Polis della quale mi onoro di esser socio della prima ora, ha portato a compimento un percorso che era stato avviato con la messa in circolazione del famoso “Foglio Excel”; un documento che cittadini di buona volontà e di provato senso civico, avrebbero dovuto riempire di contenuti e di stimoli utili a posare i binari sui quali dovrebbe sfrecciare il treno della rinascita e della riscossa della città. Effettivamente nella calda sala dell’Università Mediterranea, appena colpita dal fatale disastroso bilancio del Sole 24 Ore che misura impietosamente le performance dei vari atenei, è convenuta buona parte dell’intellighenzia reggina schierata più o meno con il Centrosinistra, ma sicuramente ascrivibile al “cerchio magico” che ruota attorno a quel florido pensatoio che è diventato negli ultimi anni il sito “ZoomSud” diretto da Aldo Varano. Non ho il compito ingrato del cronista, pertanto mi astengo dal tracciare la sintesi dei vari interventi che mi limito a definire: appassionati, documentati, compilativi, argomentati, pertinenti, superflui, noiosi, lobbystici, scontati, stilisticamente sempre in bilico tra i “cahiers de doléances” e le cronache del day after. Questa è la Democrazia signori e bisogna farsene una ragione, d’altra parte proprio in nome di questa presunta (direi malintesa) democrazia, tra quindici giorni esatti si celebreranno in città le primarie del PD e del CSX per la scelta del candidato a sindaco. Sono in una fase di profonda riflessione, l’età che avanza e le innumerevoli ferite da leccare fanno vacillare le mie dogmatiche certezze. Mi crescono un sacco di scrupoli; scuola comunista sovietica ma di osservanza renziana, sono un ossimoro che cammina. Figuratevi se devo essere proprio io a parlarvi di elezioni e per giunta di un istituto, quello delle primarie italiane, adattato sull’esempio di altre culture politiche, che trasforma in burletta alcuni dei temi che sono la polpa di una democrazia. Trovo sorprendente, pertanto, che all'assise di Nuova Polis si sia voluto completamente ignorare questa fondamentale e ineludibile circostanza. Tutte le belle intenzioni scaricate sul "Foglio Excel" se ne andranno praticamente a ramengo, se il prossimo 6 luglio dalle urne delle primarie non dovesse uscire il candidato sindaco "giusto". "Madamina il catalogo è questo", avrebbe detto il buon Leporello, fedele servitore di Don Giovanni. E il catalogo sciorina 4 nomi, di cui due organici del PD nonché figli d'arte e due valenti e stimati medici, dal passato politico indecifrabile, che finiranno inevitabilmente col rivestire il ruolo di guastatori. Enzo Amodeo e Filippo Bova sono infatti emanazione di due politici a lunga conservazione, Pasquale Tripodi e Peppe Bova, che stanno al nuovo corso renziano come io alla superiora di un convento di Carmelitane scalze. Mimmo Battaglia e Giuseppe Falcomatà sono dunque i candidati ufficiali di un partito che ancora a Reggio non ha una forma definita, con l'aggravante che questo scetticismo disfattista alligna proprio tra le fila della parte nobile della sinistra reggina. E via dunque con sciocchi luoghi comuni: "Peppi Falcomatà è figghioleddhu e Mimmettu Battaglia non avi carisma"; il tutto condito da una sovrana indifferenza nei confronti di una campagna elettorale che i due stanno conducendo con ardore e passione. Mi domando a chi possa giovare questo atteggiamento che non ho alcuna esitazione a definire irresponsabile e deleterio e porta a delegittimare due validissimi candidati. Molto probabilmente qualcuno di questi cervelloni avrà in mente la carta del "Papa Nero", sappia allora che con uno di essi ho parlato spesso in questi giorni, ma più che nero l'ho trovato livido, livido di rabbia per questo modo di condurre il gioco che sta portando la coalizione a sbattere contro il muro di una nuova e drammatica sconfitta. Sto seguendo dall'inizio la campagna di Peppe Falcomatà, mi hanno molto colpito la disinvoltura con la quale si porge alla gente, la capacità oratoria e la competente semplicità delle argomentazioni. Da questo giovane, che sprezzatamente i professionisti del fuoco amico continuano a definire giovane e inesperto, sta arrivando in questi giorni una grande lezione di maturità e serietà: più di una volta ha ripetuto infatti che in caso di sconfitta alle primarie non esiterà a schierarsi a fianco del vincitore per sostenerlo in una battaglia che da quel momento in poi sarà comune. Mimmo Battaglia ha confermato la stessa intenzione, insomma il PD a Reggio ha finalmente trovato due leader, entrambi credibili, che vanno sostenuti con convinzione e soprattutto lealtà.
Franco Arcidiaco
PS La pubblicazione di questo articolo è stata rifiutata dal direttore di "ZoomSud" Aldo Varano ed è stata invece accettata da "Il Quotidiano".

IL TRIONFO DEL NIENTE

Sciorinare metafore sulla Calabria e i calabresi è come sparare sulla Croce Rossa; quella del “Caciocavallo di bronzo”, ideata da Peppe Voltarelli, è assolutamente geniale. Immaginate un paese della nostra regione la cui economia è basata essenzialmente sull’attività casearia e un comitato di volenterosi cittadini che decide di rendere omaggio e santificare il formaggio più famoso tra quelli prodotti: il caciocavallo appunto. “Una specie di obelisco di tre o quattro metri di altezza e sopra un Caciocavallo di bronzo. Santificare il formaggio più famoso della nostra terra, renderlo immortale…”, è questa la semplice idea che nel giro di poco tempo finisce con lo sconvolgere la vita dell’intero paese. Si creano subito due fazioni contrapposte; gli stessi politici, manco a dirlo, cavalcano strumentalmente la vicenda. Ben presto si scatenano tutte le dinamiche ben conosciute da chi decide di intraprendere una qualunque iniziativa a queste latitudini, “si stava materializzando uno dei punti fermi del pensiero calabro: se non ci sono io non ci deve essere niente e nessuno, risultato trionfo del niente…”. Alla fine la spuntano quelli che ritengono che il monumento sarebbe potuto diventare fonte di dileggio per la comunità, quindi dalle “Istituzioni” arriva il solenne comunicato: “In presenza di una effettiva e palese turbativa dell’ordine pubblico si fa divieto di costruire il monumento denominato Caciocavallo di Bronzo”. Le polemiche sono chiuse e, per usare la geniale chiosa di Voltarelli, “Il niente era salvo”. Peppe Voltarelli è certamente il più celebre “Bluesman” calabrese, d’altra parte ricevere la “Targa Tenco”equivale, per la musica popolare, al conseguimento di una laurea. Con questo libro, anzi con questo “Romanzo cantato e suonato” come lo definisce in copertina, la casa editrice “Stampa Alternativa” manda in libreria un autore degno di affiancare i migliori nomi della cultura popolare italiana. E badate bene ci troviamo al cospetto di un lavoro assolutamente originale nel quale Voltarelli intreccia i brani delle sue canzoni più belle, come in una tela pittorica solida ma al contempo delicata, con la sua trama ed il suo ordito, che coinvolgono il lettore con continui rimandi alla realtà della vita quotidiana nella nostra terra. Un grande cantautore, che non nomino per carità di patria, forse il più amato dalla mia generazione e sicuramente da me, in piena crisi artistica dovuta, pare, a astinenza da nicotina, spopola da un paio d’anni nelle librerie con una serie di volumetti che sono una via di mezzo tra gli sciocchezziari modello “Selezione dal Reader’s Digest” e i sussidiari “amarcord” buoni per le case di riposo per vecchi artisti; in questi giorni addirittura il suo editore ha prodotto una versione tascabile, non si sa mai scappi il bisogno di un ricordino pronto per l’uso. Niente di tutto questo troviamo nel lavoro di Voltarelli, qui siamo in una via di mezzo tra il trattato di sociologia e il canto di dolore di chi sa di aver dato tanto alla propria terra e si ritrova ripagato, nella migliore delle ipotesi, da sciatta indifferenza. Il dialetto è presente ma non in modo gigionesco (alla Camilleri per intenderci): “La mia lingua si difende dagli attacchi degli stupidi, io la proteggo dallo scempio del ridicolo, la incoraggio e la tolgo dal paniere dei prodotti seriali, è una lingua amara e forte e cammina per il mondo con la testa alta…”. E in realtà Peppe porta la sua lingua in giro per il mondo, quel mondo popolato da intere legioni di calabresi che ormai hanno metabolizzato il dolore del distacco e sanno gestire la nostalgia sfoderando una sorta di nobile saggezza, retaggio di antiche culture. Grande è il disincanto del nostro quando parla del suo rapporto con la Calabria “…non facevo mai il bagno davanti casa perché avere l’acqua così vicina mi sembrava una comodità troppo sfacciata…”. E se qualcuno vuole conoscere la fonte d’ispirazione, ecco l’equazione di Peppe Voltarelli: “Il mercato era il mio suono, la mia gente, era ciò che Woody Guthrie era stato per Bob Dylan”.
Franco Arcidiaco