Lo scorso mese di maggio, era di sabato, Antonella ed io abbiamo dato un passaggio in macchina a Gianni Amelio; si trovava a Reggio dalla sera prima per presentare il suo ultimo bel film “La tenerezza” e l’indomani, di buon mattino, doveva essere a Catanzaro, sua città natale, per un impegno di famiglia. Abbiamo fatto “il giro lungo”, in realtà avevamo un impegno a Bovalino nel pomeriggio, ma non ci siamo lasciati scappare l’occasione di conversare un paio d’ore con uno dei più importanti registi italiani.
L’occasione era ghiotta, poiché lo cercavo da tempo e lui purtroppo ha la cattiva abitudine di non rispondere né al telefono né alla posta elettronica; avevo bisogno di notizie su un suo film, girato a Reggio nel 1999 su commissione di Italo Falcomatà, “Uno schermo sull’acqua”.
Il film (una video-inchiesta di 50’, oggi avremmo detto un “docufilm”…) fu presentato in prima nazionale il 5 febbraio 2000 al “Teatro Politeama Siracusa” e raccontava la nostra città “che cambiava” attraverso varie voci: la giovane fotografa della Reggina, che era appena approdata al gotha della serie A, il libraio che animava il dibattito culturale in città, un giovane immigrato albanese, una ragazza nata in Canada tornata nella terra del padre e una giovane colombiana che si era innamorata di un coetaneo reggino “via internet”.
In quell’occasione Italo aveva dichiarato: “La nostra è una città che cambia perché i suoi cittadini hanno trovato fiducia in loro stessi e hanno riscoperto l’orgoglio delle loro radici, delle loro tradizioni, sicuri che un avvenire di sviluppo è concretamente possibile”.
Per raccontare questa “nuova” città, Amelio aveva incorniciato Reggio in uno schermo vero e proprio, quello che era stato allestito nell’estate del 1999 in riva al mare, davanti all’arena dello stretto, in occasione del “Festival Cinematografico del XXI Secolo”. Il regista calabrese pensò bene di usare quello schermo come uno specchio nel quale la città si rappresentava. Ricordo bene quella mattina magica in cui fu sistemato lo schermo, che corrispose anche al momento del primo ciak del film. Italo mi aveva convocato con altri pochi intimi, tra i quali un paio di pescatori di Calamizzi nel ruolo di “consulenti eolici”; i tecnici addetti al montaggio avevano raccomandato al sindaco di individuare una fascia oraria assolutamente priva di vento per non compromettere la stésa dello schermo e Italo chiamò i pescatori, che sapevano esattamente qual era il momento di “cambio di rema” che avrebbe assicurato una fase, sia pur breve, di calma piatta.
Con Laltrareggio seguivo passo passo l’attività del “sindaco della primavera” e, anzi, nell’occasione del Festival arrivai a produrre quello che forse fu il solo e unico esempio di quotidiano cinematografico, il XXI Secolo che per un’intera settimana accompagnò la programmazione del Festival.
Amelio realizzò dunque il film, che dopo aver girato i circuiti dei cineclub passò anche in Rai; il passo successivo sarebbe dovuto essere la produzione di un DVD per una distribuzione più capillare; purtroppo, invece, dopo la morte di Italo, “Uno schermo sull’acqua” subì le conseguenze della damnatio memoriae decretata dal suo successore. Ho cercato invano tracce del film a Palazzo San Giorgio ma, pur trattandosi di una produzione del Comune, non ho trovato alcunché.
Quella mattina in macchina Amelio è stato particolarmente loquace, Antonella ed io ci siamo limitati a qualche timida domanda, destinata ad essere travolta dal fiume di parole che ci riversava addosso, appoggiato con entrambi i gomiti sui sedili anteriori della nostra vecchia Skoda. Mi ha promesso che mi avrebbe aiutato a recuperare la pellicola originale del film o almeno una copia in DVD professionale e che mi avrebbe spedito in omaggio un cofanetto, prodotto dalla RAI in serie limitata, comprendente tutti i suoi film rimasterizzati in DVD.
Non abbiamo avuto più sue notizie, né abbiamo mai ricevuto i doni promessi; anche la sua email ed il suo cellulare hanno ripreso l’antica abitudine del silenzio…
Ha parlato tanto Gianni Amelio e, in due ore, ci ha sciorinato, con accattivante eloquio, la storia della sua vita e le inquietudini e i disagi della sua attuale condizione di anziano che sono, poi, tra i temi chiave de “La tenerezza”. Ci ha parlato della sua infanzia in un paesino di campagna attorniato da madri, zie, comari e nonne; del suo amatissimo figlio adottivo, Luan, di origini albanesi e delle tre adorate nipotine che lui si coccola portandole al cinema e in libreria. Ci ha parlato dell’odio profondo maturato per suo padre il giorno che si rifiutò di comprargli una rivista esposta in edicola, si trattava di Cinemanuovo che recava in copertina l’immagine di Jeanne Moreau tratta da Ascensore per il patibolo; non gli perdonò mai quella frase: “Coi soldi si compra il pane e non la carta”.
Arrivati a Catanzaro gli abbiamo donato un paio di libri di nostra edizione e lui ci ha invitato a leggere il suo ultimo libro Politeama edito da Mondadori salutandoci con queste testuali parole: “Temo, però, che dopo che l’avrete fatto mi toglierete il saluto!”. Forse è per questo che si è dimenticato di noi e delle promesse fatte…
Naturalmente, arrivati a Catanzaro Lido, ci siamo precipitati nella libreria Ubik del carissimo Nunzio Belcaro e abbiamo acquistato il libro.
In Politeama, Amelio racconta la storia di Luigino che vive una difficile infanzia, madre in manicomio e padre sconosciuto, nel Sud disperato degli anni ’50; un romanzo di formazione fuori da ogni schema nel quale l’autore, con chiara evidenza, riversa tutti i fantasmi derivanti dalle inquietudini di una diversità elaborata solo in età avanzata, il suo coming out, dalle pagine di Repubblica, risale infatti al 2014. Il romanzo è ricco di bellissime descrizioni in soggettiva che ci fanno entrare nel personaggio di Luigino, che è una tabula rasa, e viviamo con lui realisticamente la scoperta delle cose e le sensazioni che gliene derivano.
La crudezza di alcune scene di sesso e di violenza può risultare a tratti insopportabile e forse da questo derivava il suo ammonimento… in realtà se una critica mi sento di muovere riguarda invece lo stile di scrittura, tutti i dialoghi sono troppo verbosi e circostanziati al punto di rendere particolarmente noiosa la lettura. Amelio poi si concede il vezzo di porre in epigrafe a ogni capitolo dei versi tratti da canzoni degli anni ’50, francamente non ne ho capito il motivo poiché l’operazione non appare funzionale né a contestualizzare l’epoca storica, né a richiamare delle attinenze narrative.
L’incipit è didascalico e vale la pena di essere riportato: “Quando Luigi aveva sette anni, sua madre lo vestiva da femmina. Al buio, nella casa senza finestre, lo faceva salire su una sedia e gli infilava le mutandine rosa, poi la gonnella a fiori, la camicetta con le maniche corte, le calze e le scarpe bianche della sorella che era morta il mese prima”.
Caro Gianni, il libro l’ho letto e non è certo per questo motivo che ti leverò il saluto, ma tu almeno cerca di leggere questa mia strana recensione, non vorrei che in un angolo remoto della tua mente mi avessi relegato al semplice ruolo di autista…
Franco Arcidiaco
Gianni Amelio, Politeama, Mondadori, Milano 2016, pagg. 176, € 18,00
domenica 8 ottobre 2017
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