mercoledì 13 gennaio 2016

GIOVAN BATTISTA MARINO E IL VIRUS

Nella lotta quotidiana contro il tempo per dedicare quanto più spazio possibile ai libri (ma più guardi la tua adorata biblioteca più aumenta la frustrazione), devi per forza essere razionale e pianificare la lettura secondo un criterio che ogni buon lettore non ha difficoltà a gestire. Quando capita un periodo di inattività forzata, come una semplice influenza, è tutto grasso che cola. È quello il momento di piombare tra gli scaffali e tirare fuori uno dei tanti volumi che tu sai (e lo sai bene) avrebbe scarsissime probabilità di entrare nella famosa pianificazione. È un gioco bellissimo che riesce anche a farti dimenticare il disagio della malattia. Questa volta è toccato a un poeta del barocco italiano, ingiustamente considerato minore, Giovan Battista Marino (Napoli 1569-1625). Le immagini che lo ritraggono nelle copertine dei due volumi (I Meridiani, Mondadori... of course) sono tutto un programma, aspetto furbetto e sornione classico del cortigiano. Una vita avventurosa con un paio di passaggi in galera e la permanenza stabile nelle principali corti italiane e francesi. L'opera principale è il poema "L'Adone", ma quelli che trovo deliziosi sono i sonetti e l'epistolario, nei quali denota una straordinaria vena umoristica e cronistica tinteggiando degli spaccati di vita quotidiana dell'epoca veramente gustosi. Lo scopo della sua poesia era la descrizione della meraviglia, il suo modello, non a caso, Le Metamorfosi di Ovidio, il suo motto: "È del poeta il fin la maraviglia".

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