lunedì 18 gennaio 2016

AMORE E MORTE TRA "ANONIMO VENEZIANO" E "LA CORRISPONDENZA"

Quando nel 1970 uscì "Anonimo veneziano" di Enrico Maria Salerno, il grande critico cinematografico Gianni Rondolino scrisse: «Sul tema abusato dell'amore e della morte, sul quale sono stati scritti tantissimi romanzi e realizzati innumerevoli film, Enrico Maria Salerno, novello regista, ha puntato tutte le sue carte. C'erano tutti gli elementi perché la cosa riuscisse: due personaggi giovani, belli, Venezia, infine la rivelazione della morte imminente che fa precipitare la storia nella tragedia. Su queste basi non era difficile comporre un film accattivante e commovente. Che negli anni '70 un'operazione del genere possa ancora riuscire è motivo di studio sociologico». "Anonimo veneziano" mi è venuto in mente, e con rimpianto, stasera dopo la visione dell'ultimo film di Giuseppe Tornatore "La corrispondenza". Pensate, se già Rondolino, 46 anni fa, era arrivato a considerare il mix amore-morte-splendida location, oggetto di studio sociologico, cosa avrebbe mai potuto dire oggi al cospetto del film di Tornatore. Un film assurdo, inutilmente noioso con delle cadute di stile incredibili, considerata la fama e la storia del regista. Due ore in cui del lavoro di un grande regista rimane solo qualche magistrale inquadratura e null'altro. Dialoghi ovvi e stucchevoli ed effetti speciali (la foglia di edera che bussa sul vetro della finestra, il cane infatuato della protagonista e l'uccello-anima a volo radente) decisamente imbarazzanti. Finanche la musica di Ennio Morricone risulta leziosa e banale. L'agone internazionale dà evidentemente alla testa a questa generazione di registi che, nel disperato tentativo di conquistare le grandi platee, sono pronti a stravolgere i propri canoni professionali e artistici. Non vado oltre per carità di patria, ma dico solo che se l'Oscar deve produrre questi effetti al cinema italiano è meglio evitare la partecipazione dei nostri registi.

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