venerdì 18 marzo 2011

CULTURA DELLA LEGALITA' E SVILUPPO DELLA CALABRIA

Il problema della legalità in Calabria, e nel resto del Meridione, è strettamente correlato a quello del tasso di educazione civica della cittadinanza. E’ inutile girare attorno al problema: la stragrande maggioranza della popolazione meridionale non è assolutamente incline a rispettare le più elementari regole del vivere civile. Mettetevi in macchina o in treno da Roma in direzione Sud e guardatevi attorno: il paesaggio è completamente devastato; discariche abusive ad ogni angolo, ecomostri lungo le coste e sulle colline, facciate dei palazzi grigie e degradate, terrazze con i ferri arrugginiti che aspettano con pazienza la costruzione dell’ennesimo piano naturalmente abusivo, erbacce e vegetazione incolta come unico esempio di verde pubblico, automobili posteggiate in modo selvaggio, isole pedonali e piste ciclabili inesistenti e barriere architettoniche insormontabile incubo per i disabili. E’ evidente che questo stato di cose è il terreno di coltura ideale per il proliferare delle attività della criminalità organizzata; i brillanti successi degli investigatori, che sempre più frequentemente arricchiscono il loro palmarés con l’arresto di pericolosi latitanti, servono a ben poco se non vanno di pari passo con la lotta per l’affermazione della legalità quotidiana sul nostro territorio. Quando, un paio di decenni fa, l’allora sindaco di New York, Rudolph Giuliani decise di rendere vivibile e sicura la metropoli, in brevissimo tempo, attuando la famosa politica della “tolleranza zero”, riuscì brillantemente in quella che sembrava una missione impossibile.
Questa politica deriva dalla cosiddetta teoria “Delle finestre rotte” formulata nel 1982 dai criminologi James Q. Wilson e George Kelling, che prevede che se le persone si abituano a vedere una finestra rotta, in seguito si abitueranno anche a vederne rompere altre e a vivere in un ambiente devastato senza reagire: riparando la finestra ci si abitua al rispetto della legalità. Ecco oggi il meridione, e la nostra Calabria in particolar modo, hanno bisogno di una politica che abbia il coraggio di attuare la “tolleranza zero”, mettendo da parte quella pruderie di matrice liberal-cattolica che tanti danni ha provocato al nostro Paese nel dopoguerra. Nella nostra Regione (e quasi sempre nella provincia di Reggio) tutte le notti vengono bruciate in media cinque autovetture; considerato che sono senz’altro da escludere fenomeni di autocombustione, significa che ormai in Calabria vengono risolte con questo simpatico ed innovativo sistema le piccole controversie della vita quotidiana; di questi duemila attentati incendiari annui, nessuno si preoccupa di venirne mai a capo, nessuno si rende conto che costituiscono la chiave di lettura socio-antropologica della realtà calabrese. Anni addietro abbiamo addirittura dovuto ascoltare un Questore che non ha esitato a declassare il fenomeno a “fatto folkloristico”. E’ evidente, inoltre, che il ripristino della legalità deve passare obbligatoriamente, oltre che dall’apparato repressivo, dal lavoro educativo della famiglia e della scuola; ma qui entra in gioco l’altro grave problema che riguarda la preparazione e la sensibilità sull’argomento di genitori ed insegnanti; se un ragazzino vede i genitori buttare le carte dal finestrino della macchina e non sente parlare in casa della raccolta differenziata, non potrà mai diventare un buon cittadino; se la scuola non si fornisce degli strumenti per surrogare e/o integrare il ruolo della famiglia nell’educazione delle giovani generazioni e se i Comuni non si decidono ad attuare l’opportuna vigilanza sulle normali regole del vivere civile (dal parcheggio alla costruzione abusiva), il sistema della legalità quotidiana non si metterà mai in moto e la Calabria precipiterà, in modo sempre più irreversibile, in quel degrado che già oggi la contraddistingue drammaticamente dalle altre regioni d’Italia.
Bisogna soprattutto ripartire dall’ambiente per ritrovare il gusto del bello.
Si deve interrompere il circolo vizioso che vuole la Calabria sinonimo di degrado. Il territorio disseminato di ecomostri è la prova tangibile, la testimonianza più vergognosa dello sfruttamento selvaggio del territorio. E dietro tutto questo c’è invariabilmente la Calabria dei piccoli abusi edilizi tollerati da sempre, che, nell’assenza totale di interventi, ha finito per sfregiare irreparabilmente coste e montagne, colline e aree, cosiddette, protette. E’ stato calcolato che ogni 150 metri una cicatrice segna il territorio. Il paesaggio devastato è l’immagine emblematica della Calabria e non è valso a nulla lo spreco di milioni di euro in campagne pubblicitarie (prima fra tutte quella assurda di Oliviero Toscani). La favoletta della “vocazione turistica” è rimasta solo lo stanco leit-motiv di politici a corto di argomenti ed in mala fede; la Calabria, e le sue coste soprattutto, sono sempre state terra di nessuno. Da un versante all’altro del territorio il cemento ricopre e minaccia l’ambiente, e le bellezze naturali passano desolatamente in secondo piano. Le aree più degradate sono quelle di Soverato e del Golfo di Squillace (587 ecomostri) e la Foce del Torrente Gallico (845 ecomostri), nelle altre la densità è più bassa, ma il degrado è diffuso omogeneamente in tutto il territorio. Questa tragica situazione contrasta con il trionfalismo dei vari assessori regionali competenti per materia che negano la più elementare evidenza; tra questi non ho alcuna esitazione a includere i miei amici del centrosinistra che non si rassegnano ad ammettere che nel 2005 hanno preso in consegna una Regione dal territorio pesantemente devastato e nel 2010, alla fine della legislatura, ce l’hanno riconsegnata, né più né meno, che nelle stesse condizioni. In tutto questo sfacelo non si potrà mai affrontare seriamente un discorso di sviluppo turistico senza prima avere avviato una seria, determinata e risolutiva politica ambientale. Quello che ci ostiniamo a non capire, e su questo voglio sollecitare gli amici ambientalisti, è che la nostra regione è assolutamente la più disastrata tra tutte le pur disastrate regione del Sud, e questo per un semplice motivo che è sotto gli occhi di tutti: IL PAESAGGIO DEVASTATO. Le miriadi di costruzioni non finite che sorgono dappertutto e deturpano coste e colline hanno irrimediabilmente frantumato il sogno dello sviluppo turistico. Ma chi volete che venga ad impiantare un Club Mediterranée, un Valtur, un Hilton od uno Sheraton nel bel mezzo di quelle bidonville alla cui stregua abbiamo ridotto le nostre città ed i nostri paesi? Vogliamo capire una volta per tutte che, come disse con lungimiranza anni addietro il giudice Roberto Pennisi, la ‘ndrangheta infettando di illegalità tutti gli strati della società ha fatto sì che i cittadini, vivendo in un contesto ambientale disastrato, perdessero definitivamente il senso del vivere civile? Roberto Pennisi, attuale sostituto procuratore nazionale antimafia, nel 1995 dichiarò infatti, testualmente, ai giornalisti (vedi Laltrareggio n.52 di Marzo 1995): “Sino a quando questa città avrà l’aspetto esteriore di un centro abitato appena sottoposto a bombardamento, e non si capirà che ciò è stato voluto ed è voluto dalla ‘ndrangheta proprio perché anche guardandosi intorno il cittadino non avesse la sensazione di essere tale, né sentisse alcuno stimolo per diventarlo, ancora una volta dovremo ripetere di aver fallito”. Pennisi in quegli anni aveva portato alla sbarra le cosche più pericolose della piana di Gioia Tauro, in un processo che nell’autunno del 1997 finì col comminare decine e decine di ergastoli confermati in appello, fu inoltre il magistrato che nel 1992 fece scoppiare la tangentopoli reggina con il famoso scandalo delle fioriere che vide protagonista l’allora sindaco Agatino Licandro; nonostante questo palmarès allora si guadagnò da parte dei riggithani la patente di “nemico di Reggio” e molte furono le voci che si levarono per stigmatizzare le sue dichiarazioni; a distanza di tanti anni, purtroppo, non possiamo far altro che confermare le sue convinzioni e prendere atto che aveva, sin da allora, compreso la nostra realtà molto meglio di tutti i politici di ieri e di oggi. Monsignor GianCarlo Bregantini, che è un altro “non calabrese” che ha capito la nostra terra molto meglio di quanto non l’abbiano capita tutti i nostri politici messi assieme, ha scritto: “Il gusto del bello è la migliore forma di antimafia”. Ecco, noi il gusto del bello l’abbiamo definitivamente perduto, quindi le nostre speranze di sviluppo, almeno in direzione turistica, sono eguali a zero! Qualche anno fa si tenne a Copanello un convegno dei giovani industriali italiani, il tema era: “La bellezza salverà il Mezzogiorno?”. Il presidente dei Giovani industriali calabresi, il collega editore Florindo Rubbettino fu chiaro e diretto: “Nessuna società che si rispetti può rinunciare alla bellezza. Le nostre città tendono a diventare sempre più brutte. La politica non solo deve preservare, ma anche cercare il bello, educare al bello”; dello stesso avviso l’economista Massimo Lo Cicero: “Nel Mezzogiorno la bellezza è sciupata prima di essere colta” per finire con Santo Versace secondo cui: “Quello che ci manca è la bellezza della legalità”. Ed allora di cosa vogliamo parlare? Di vocazione turistica? Con questi presupposti lo sviluppo turistico rimarrà una mera illusione. Ci vorrebbe una rivoluzione, ma il tempo delle rivoluzioni, si sa, è definitivamente tramontato.
Prendiamo ad esempio la situazione attuale di Reggio: se una strada si ritrova piena di buche dopo pochi mesi dalla bitumazione, ci sarà pur qualcuno al Comune che dovrà chieder conto alla ditta responsabile dei lavori? E’ troppo chiedere che vengano alla luce le responsabilità (per errori od omissioni) di quanti, ditte appaltatrici o funzionari comunali, a vario titolo sono coinvolti in lavori pubblici che, volta per volta, si rivelano disastrosi e per nulla risolutori dei problemi che avrebbero dovuto affrontare in maniera definitiva? Le pagine dei giornali sono piene di lettere di cittadini che si lamentano per le voragini aperte sulle strade in ogni angolo della città, prima o poi qualcuno interverrà, sarà fatta la solita riparazione con conseguente spreco di denaro pubblico e dopo qualche mese il problema si ripresenterà, succede così da decenni nella generale indifferenza. La città è ridotta in condizioni pietose: strade e marciapiedi dissestati, facciate dei palazzi rustiche e quelle poche completate non in linea con il piano-colore, sporcizia dappertutto, caos e totale anarchia nel traffico automobilistico, assenza di polizia urbana sul territorio, opere pubbliche incomplete, mancanza di coordinamento tra le iniziative dei vari assessorati, troppi compari e comparelli beneficiati, spreco di denaro pubblico in iniziative a dir poco futili. Come abbiamo detto mille volte, si profonde il massimo impegno nella realizzazione di nuove opere, nelle grandi ristrutturazioni di quelle esistenti e non c’è nessuno che si preoccupi della manutenzione ordinaria. Perché invece di aprire decine di cantieri contemporaneamente, non si affrontano due o tre opere alla volta dedicando il resto delle energie alla manutenzione ed al decoro ordinario dell’esistente? Non credono i signori politici che si possa passare alla Storia anche senza tagliare un nastro ogni mese? E quando si decideranno a capire i nostri amministratori che l’unica variante ammissibile ai piani regolatori dei vari comuni, è la “Variante Caterpillar”? L’unico politico calabrese che ha avuto il coraggio di avviare un serio intervento di demolizioni è stato il sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza, ma la sua azione è stata contrastata e fermata anche da politici del suo stesso schieramento; demagogia e populismo vanno a braccetto con il clientelismo e una poltrona non la mette e rischio nessuno.
In questi giorni il governatore Giuseppe Scopelliti, dal quale sono lontano politicamente anni luce, ha rilanciato la sua proposta di liste "bloccate" alle prossime elezioni regionali, come strategia politica di contrasto alla criminalità organizzata e al voto di scambio. Il Governatore, forte del parere positivo espresso dalla Direzione nazionale antimafia nell'ultima relazione, ha dichiarato: «La Dna afferma che, per combattere le mafie, il sistema elettorale bloccato già in vigore alla Camera e al Senato, dovrebbe essere esteso alle regioni in cui è forte il radicamento mafioso, perché allontanerebbe la politica dalla mafia e la mafia dalla politica». A pagina 440 della relazione, in tema di legge elettorale, la Dna in riferimento al sistema per l'elezione dei parlamentari scrive che "la costituzione di collegi su base regionale e la designazione dei candidati da parte dei vertici nazionali dei partiti sono, in linea generale, strumenti che possono gravemente compromettere (se non annullare) l'interferenza mafiosa sul voto. Nessun gruppo criminale appare nello scenario del paese in grado di poter influire sull'esito della competizione politica a livello regionale e nessun condizionamento la legge elettorale consente di esercitare in favore di questo o quel candidato considerato avvicinabile o contiguo all'associazione". Un parere, quello della Dna, che ha rafforzato l’azione di Scopelliti, che ha dichiarato ancora: «…quando ho lanciato la proposta, prima ancora di portarla in Consiglio regionale con quattro anni e mezzo d'anticipo sulla scadenza elettorale, ho raccolto tanti no, alcuni ni, ma soprattutto qualche ironia. Siamo noi calabresi, attraverso un gioco di squadra a tutti i livelli, a dover condurre la battaglia contro la 'ndrangheta, perché abbiamo le potenzialità di sconfiggere la cultura della mafiosità».
Al di là delle motivazioni che possano aver spinto Scopelliti ad avviare questa iniziativa, sono convinto che rappresenta forse la prima vera concreta attività antindrangheta avviata da un governatore calabrese e quindi vada sostenuta da tutti i politici di buona volontà. Attendiamo fiduciosi che si avvii un dibattito sereno sull’argomento, anche se i segnali non sono affatto incoraggianti; i professionisti della retorica sono pronti a stracciarsi le vesti su un presunto atto di “democrazia negata” e non capiscono, o non vogliono capire, che la democrazia richiede maturità e questa maturità l’elettorato calabrese ha dimostrato di non averla raggiunta. Le liste bloccate porranno fine alla mortificante pratica del voto di scambio e libereranno i politici in buona fede dal giogo delle pressioni clientelari. A meno che qualcuno non creda ancora alla favoletta dell’elettore libero e consapevole, capace di individuare autonomamente tra le liste il candidato-paladino che porterà il buon governo nel suo collegio. Lo stato in cui versa oggi la Calabria non consente assolutamente di indugiare in moralismi e retorica; per tirare fuori la nostra regione dalle sabbie mobili dentro cui l’ha trascinata la mala-politica è necessaria una vera e propria guerra civile nel mondo della stessa politica e, come si sa, la guerra può causare anche vittime innocenti; ma quanti innocenti ci sono in circolazione tra i politici calabresi?
Franco Arcidiaco

1 commento:

  1. Il fatto che il mio sapere politico equivalga a zero non mi vieta di dire che ciò che lei afferma è sacrosanto.
    Penso davvero che il meridione sia arrivato all'estremo in quanto a negatività e degrado.
    Siamo abituati a piangerci addosso, a far finta di non vedere il "vuoto" che abbiamo accanto, spingendoci un pò più in là ogni volta che facciamo un passo, eppure basterebbe colmarlo quel vuoto e tutto sarebbe più bello da vivere.
    La famiglia e la scuola, entrambe sono provviste, a mio avviso, di una bacchetta magica che molto riuscirebbe a cambiare se solo fosse usata, ma sempre più spesso si finisce col dimenticare finanche d'averla. Intendo dire con questo mio piccolo intervento soltanto che il meridione manca di autostima e mai troverà pace se prima non imparerà ad amare un pò" se stesso".
    Sara De Bartolo

    RispondiElimina