domenica 27 marzo 2011

LA GUERRA DI OBAMA E’ PIU’ BELLA DI QUELLA DI BUSH?

Contro la guerra di Bush abbiamo esposto la bandiera della Pace sui balconi, alla guerra di Obama riserviamo l’indulgenza dovuta alle “giuste cause”. Fingiamo di non sapere che alla base di tutte le guerre ci sono sempre e solo interessi economici e che la cosiddetta difesa dei diritti umani è solo un pretesto per tacitare gli allocchi. I governanti USA non hanno mai avuto la vocazione del buon samaritano, si sono attribuiti il ruolo di guardiani del mondo con la violenza e con il sangue senza alcuna distinzione tra democratici e repubblicani; solo quel genio di Veltroni può inneggiare a Kennedy, dimenticando che fu proprio quel grande campione della democrazia ad avviare la guerra del Vietnam. L’Onu viene utilizzato cinicamente e le sue risoluzioni vengono confezionate ad hoc secondo le esigenze economiche dei paesi dominanti. Il principio internazionale di “non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano” insieme al diritto di “Autodeterminazione dei popoli” sancito a Helsinki nel 1975, e sottoscritto in pompa magna da quasi tutti i paesi del mondo, sono regolarmente ignorati e calpestati in nome del business che gira attorno allo sfruttamento delle risorse energetiche e al controllo delle aree geografiche strategiche. Centinaia di guerre civili insanguinano ogni giorno il terzo mondo, tiranni senza scrupoli massacrano regolarmente le popolazioni (Darfur e Ruanda vi ricordano qualcosa?); il tutto nella totale indifferenza dell’Onu, degli Stati dominanti e dei media, per il semplice motivo che questi fatti si svolgono in paesi marginali e privi di risorse. L’”amico Putin” ha consumato in Cecenia il più grande genocidio dell’era moderna: 250mila morti su una popolazione di un milione, ed ha “orientato” l’assassinio di 120 giornalisti senza scandalizzare nessuno. Ma ve lo immaginate un “no fly zone” imposto alla Russia? Se ai tempi dell’Unione Sovietica il povero Leonid Breznev (mai troppo rimpianto) avesse compiuto solo l’uno per cento delle azioni di Putin, sarebbe scoppiata inevitabilmente la terza guerra mondiale. Ieri la guerra santa contro il Comunismo, oggi la guerra santa per le risorse energetiche: stessa matrice, stessa protervia, stessi obiettivi. Il tutto mentre in Italia viviamo (ormai da quasi un ventennio) il dramma dell’assenza dalla scena di una classe dirigente degna di questo nome. Siamo passati dal psicodramma di Massimo D’Alema, primo Presidente del Consiglio di Sinistra, che è andato allegramente a bombardare Belgrado; all’attuale premier, che non nomino per questione di decoro di queste pagine, che attacca un Paese praticamente confinante, appena due anni dopo aver sottoscritto un trattato d’amicizia (definito blindato) e qualche mese dopo averne accolto il leader, con tutti gli onori e con un baciamani la cui imbarazzante immagine ha fatto il giro del mondo. Siamo, oggi più che mai un paese servo, capace solo di scodinzolare al richiamo del padrone di turno e di scimmiottare le azioni delle grandi potenze imperialiste che ci dominano e che condizionano la nostra politica estera. La scelta di aprire la prima pagina con un’immagine della guerra di Libia del 1911 è evidentemente simbolica, la consideriamo la sigla di apertura di un secolo che si è aperto con la creazione dell’ “impero straccione” di Giolitti prima e di Mussolini poi, per approdare all’allucinante dramma-burlesque in cui ci ha fatto precipitare il guitto di Arcore, questo incredibile personaggio a cui un elettorato ignorante e una sinistra infantile hanno consegnato il paese, le cui gesta hanno macchiato in modo indelebile l’onore di un’intera nazione, segnando il futuro di almeno due generazioni a venire.
Franco Arcidiaco

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