lunedì 21 marzo 2011

CARLO CURATOLA, SAVERIO VERDUCI E VINCENZO ZOCCALI. TRE REGGINI DA NON DIMENTICARE

Il mese di Febbraio ha segnato la tragica coincidenza di veder scomparire tre illustri protagonisti della vita pubblica reggina, tra i pochi invero di cui la nostra città non avesse motivo di vergognarsi. Carlo Curatola era un politico socialista, Saverio Verduci un politico comunista e Don Vincenzo Zoccali un sacerdote con ruoli di primo piano nella Chiesa calabrese. Ritengo che il modo migliore di onorare delle persone scomparse sia quello di far riaffiorare dei ricordi significativi, evitando manifestazioni di cordoglio di fredda circostanza.
Carlo Curatola è stato assessore comunale alla cultura ed alla pubblica istruzione dal 1975 al 1980. Da più parti è stato sottolineato il suo fattivo impegno in direzione dello sviluppo socio-culturale della città, soprattutto attraverso la formazione dei giovani; azione ancor più encomiabile se si considera che fu svolta, praticamente in solitudine, negli anni bui seguiti alla rivolta, ed alla vigilia della spaventosa guerra di mafia che, di lì a poco, avrebbe lastricato di sangue le vie di Reggio. Appena nominato assessore Carlo Curatola mi contattò per una iniziativa innovativa con pochi precedenti nel territorio nazionale. Io all’epoca lavoravo nell’azienda che mio padre gestiva in società con Oreste Granillo, altro rimpianto protagonista della vita pubblica reggina, si trattava di un’agenzia di distribuzione di giornali e riviste che forniva (come fa ancora oggi) le edicole della città e della provincia. Con ben venticinque anni di anticipo rispetto al progetto “Il Quotidiano in Classe“ (promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori solo nel settembre 2000), Carlo Curatola mi propose di organizzare la distribuzione di alcuni quotidiani nelle scuole medie superiori per consentire la lettura del giornale durante le ore di lezione. Le difficoltà furono immense, ma né Carlo né il sottoscritto eravamo disposti a darci per vinti; riuscimmo ad andare avanti per tutto il periodo del suo assessorato tra lo scetticismo dei suoi colleghi politici, l’ostilità di buona parte di presidi e insegnanti e i rimbrotti di mio padre che era costretto a cedere gratuitamente i quotidiani, poiché il Comune riconosceva esclusivamente il rimborso spese per la distribuzione. Incontrandoci sporadicamente negli anni successivi, ricordavamo con Carlo quell’iniziativa con legittimo orgoglio, anche se oggi mi duole constatare che non pare abbia lasciato grande traccia nella memoria storica cittadina. Pasquino Crupi ha ricordato da par suo, dalle pagine de “La Riviera”, Carlo con queste parole: “…intellettuale moderno, avvocato di peso, amministratore acuto e disinteressato della cosa pubblica, è stato il galantuomo del socialismo reggino e calabrese. Né una macchia, e sarebbe immaginare l’impossibile, né un’ombra, e sarebbe umanamente possibile, si sono depositati sulla sua vita familiare, professionale e politica. Non ha avuto bisogno della cranica distinzione tra vita privata e vita pubblica, tra peccati e reati, come è necessità di tanti farabutti, per sottrarre la sua azione politica e la sua intima vita alla rampogna e alla critica. Etica e politica non solo in lui furono possibili. Furono un’unità ardente di sempre, per sempre come il fuoco della fiaccola d’Atene. E la politica in lui s’alimentava e si nutriva dal moto morale della coscienza che chieda al più presto la fine delle disuguaglianze, delle storture, dei privilegi. Era, perciò, fuori del nostro tempo. Un uomo, un socialista, fuori dall’attualità. Carlo Curatola non appartiene al nostro tempo. Il suo tempo è il futuro, quando -chissà quando, ma ciò sarà- gli opportunisti ed i trasformisti saranno un lontano e fastidioso ricordo”.
Il percorso umano e politico di Saverio Verduci è paradigmatico del modo di intendere la gestione della cosa pubblica che ha contraddistinto tutti i militanti del PCI fino alla tragedia della cosiddetta “svolta della Bolognina” che portò, il 3 febbraio del 1991 (Rimini, XX Congresso), allo scioglimento del Partito. La folle e demenziale smania di protagonismo del mediocre Achille Occhetto, siglò la morte prematura ed ingiustificata dell’unico partito del quale la Repubblica italiana non avesse motivo di vergognarsi. Gli uomini del PCI, in settant’anni di attività, avevano dato prova di enorme capacità amministrativa condita da abnegazione e, soprattutto, estrema onestà. La grande epopea delle Regioni rosse (Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria) ancora oggi costituisce un insuperabile modello di efficienza e correttezza amministrativa, per non parlare della grande leva di sindaci e amministratori comunisti che fecero rialzare la testa alle nostre città, dopo gli anni del degrado a cui erano state ridotte da decenni di dominio democristiano. Saverio Verduci era uno di questi uomini, aveva ricoperto per anni il ruolo di Presidente della IV Circoscrizione, amatissimo dalla popolazione; ad ogni tornata elettorale non aveva praticamente avversari, ed il suo carisma, frutto della passione civile e dell’impegno, era riconosciuto, in primis, dai consiglieri dell’opposizione. Un’altra sua grande caratteristica era l’umiltà accompagnata da una totale disponibilità verso i bisogni della gente; andava a trovare gli anziani ammalati nelle case ed era normale vederlo distribuire aiuti (farmaci, cibo e vestiario) ai più indigenti. Uomo di grande gentilezza aveva una grandissima attenzione nei confronti della stampa, quando emanava i comunicati non dimenticava mai “laltrareggio” ed, anzi, si preoccupava di confezionarne uno ad hoc che si adattasse alla periodicità del giornale. Ricordo con immensa nostalgia le sue telefonate in redazione, quando, con grande signorilità e gentilezza, continuava a scusarsi per il “tempo che ci rubava”; proprio lui che era un uomo impegnatissimo che, come tutti i militanti comunisti, aveva sacrificato al Partito la vita privata. L’aspetto peggiore della “Svolta della Bolognina”, consistette proprio nel subdolo sistema di persuasione adottato verso i militanti; facendo leva proprio sulla disciplina e sul senso del dovere che ne erano la cifra distintiva, si ottenne un largo consenso verso quella che fu una delle più grandi nefandezze perpetrate nei confronti della democrazia italiana. Anche Saverio, nell’immediato, si era fatto una ragione di quella scelta, ma una delle ultime volte che ci siamo incontrati non aveva mancato di dirmi, con un sorriso amaro: “Il mio partito è solo e sempre il PCI e lo sarà fino alla morte”. Oggi Saverio non c’è più e Reggio è, ancora una volta, più povera e disperata.
Monsignor Vincenzo Zoccali era un uomo di montagna, dai modi spicci e concreti. Ha ricoperto per lunghi anni ruoli chiave nella Chiesa reggina, partecipando attivamente anche alla vita culturale della città e della provincia. In occasione di dibattiti e convegni non si tirava mai indietro ed i suoi interventi erano sempre circostanziati, pertinenti e, se necessario, conditi da note polemiche. Non essendo un gran frequentatore di chiese, i miei ricordi riguardano esclusivamente i suoi interventi alle presentazioni di volumi di mia edizione; memorabile fu un colto e acceso scambio di opinioni con il prof. Pasquale Amato, in occasione della presentazione del volume sul Risorgimento presso la sala consiliare di S. Stefano in Aspromonte. Mons. Zoccali trovava un po’ troppo laico l’approccio del prof. Amato nei confronti degli eroi “stefaniti” che avevano partecipato ai moti del 1847, e gli rimproverava di non aver focalizzato il contributo dato da qualche ecclesiastico. Un altro ricordo di Mons. Zoccali riguarda invece la mia infanzia; era egli, infatti, molto amico del mio padrino Oreste Granillo e partecipava spesso a riunioni ed incontri presso l’agenzia di mio padre e Granillo, allora situata in Via Re Ruggero. Quella sede era in una posizione strategica a un tiro di schioppo dalla Curia, dal Tribunale e dalla Federazione del PCI; da lì passavano praticamente tutti, dai giornalisti più importanti quali Franco Cipriani, Antonio La Tella e Franco Liconti, ai politici più in vista. Mons. Zoccali non mancava mai, il suo tono di voce ed il suo aspetto erano inconfondibili e sono bene impressi nella mia memoria dopo quasi cinquant’anni. Ai più appariva burbero ma a me, che passavo già allora il mio tempo libero tra la carta stampata, dedicava sempre un sorriso e, soprattutto, un graditissimo regalo: ancora oggi conservo i francobolli e le “buste di prima emissione” del Vaticano che impreziosiscono la mia collezione filatelica, il cui avvio fu esclusivamente merito suo.
Franco Arcidiaco

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