mercoledì 11 marzo 2020

IL SOLIPSISMO POETICO DI BARTOLO CATTAFI

Quando Schopenhauer parlava del solipsismo come “una piccola fortezza di confine” che mai potrà essere espugnata, ma che paradossalmente imprigiona le sue stesse truppe e quindi non costituisce pericolo per chi le passa vicino, non pensava certo alla poesia di Bartolo Cattafi (Barcellona Pozzo di Gotto, Messina, 1922 – Milano 1979).
Oggi che finalmente, grazie all’immane lavoro di Diego Bertelli, giornalista e critico letterario, l’intera produzione poetica del nostro è stata classificata, organizzata e pubblicata in un poderoso volume, si può accostare certamente questa originale voce della poesia italiana al solipsismo che, in aderenza alla sua natura, non ha mai prodotto un vero e proprio movimento culturale.
Questa accurata e completa edizione (ben 964 pagine tra poesie, apparato critico, bibliografia e indici) raccoglie in modo organico i versi di Cattafi finora rimasti dispersi o disponibili solo in forma antologica. Il lettore trova qui raccolta tutta la sua produzione poetica, corredata da una dettagliata cronologia, da un ampio apparato di notizie sui testi e da una poderosa e aggiornata bibliografia. Il volume è arricchito da una serie di appendici in cui sono riunite le poesie disperse e quelle edite in plaquette, libri d’artista e edizioni per bibliofili. L’introduzione di Raoul Bruni, critico letterario e docente universitario, riesamina la collocazione di Cattafi nel quadro della poesia italiana del Novecento, sottolineando come il caso di questo poeta rappresenti “il caso più clamoroso di sottovalutazione critica”, ma precisa che il Novecento italiano è stato anche il secolo degli irregolari, dei marginali e degli eccentrici, “il cui valore intrinseco è stato riconosciuto solo tardivamente, o attende ancora un riconoscimento adeguato, proprio a causa della mancanza di sintonia con lo spirito del tempo”.
Ascoltiamo però lo stesso Cattafi, sentite come parla della sua poesia: “La storia dei miei versi non può che coincidere con la mia storia umana. Rifiuto e considero vietate le fredde determinazioni dell’intelligenza, le esercitazioni (sia pure civilissime), le sperimentazioni che furbescamente o ingenuamente tentano l’impossibile colpo di dadi. Non mi riesce di capire il mestiere di poeta, i ferri, il laboratorio di questo mestiere. Quello del poeta è per me una pura e semplice condizione umana, la poesia appartiene alla nostra più intima biologia, condiziona e sviluppa il nostro destino, è un modo come un altro di essere uomini”.
In Cattafi c’è infatti sempre un’idea cruda, naturale, originalissima della poesia, ma ciò non va a scapito della qualità e della musicalità del verso; il suo lavoro di continua limatura balza agli occhi evidente e produce un effetto repentino, che sorprende per l’inesorabile naturalezza con cui penetra il lettore. Un percorso poetico estremamente personale che rovescia nel verso gli oggetti della vita quotidiana, dal cibo, agli attrezzi di lavoro, alle suppellettili, agli arredi della casa, ai particolari anatomici, alle malattie, alla morte, a un fantastico bestiario che non trascura il mondo degli insetti, a incursioni enigmistiche al limite della sciarada o dell’acrostico. Il disincanto e la fisicità, lasciando intravedere solo sullo sfondo il confine metafisico, sono talmente rimarcati nel suo mondo poetico, dal far risultare straniante il tema pur presente, soprattutto nelle ultime poesie, della fede e della ricerca di Dio.
In realtà Cattafi non è stato propriamente trascurato dal mondo editoriale, Mondadori ha pubblicato ben dieci suoi libri e in collane prestigiose quali Lo Specchio e gli Oscar, quello che almeno fino ad oggi gli è mancato è stato il riconoscimento della critica e del grande pubblico. Un poeta certamente difficile più che criptico (la componente lirica viene sempre meno nel suo lavoro), discontinuo nella produzione (un’attesa di otto anni tra un libro e l’altro è imperdonabile nel mondo dell’editoria italiana). Il Cattafi che personalmente amo di più è quello delle poesie brevi (per carità niente a che fare con i modaioli e inflazionati haiku) fulminanti, delle quali ora vi darò cinque fulgidi esempi, sentiamo però prima il grande critico Giovanni Ramboni: “ Se ci affidiamo all’orecchio, certe poesie di Cattafi ci sembrano veri e propri epigrammi: preparazione cauta ma rapida, poi lo scatto bruciante, il veleno”.

IPOTESI
Avanzammo le ipotesi migliori.
Non ressero,
al lume dei fatti
andarono in frantumi.
Avanzammo le altre, le peggiori.
La mente è un’abile,
astuta acrobata. Teme l’abisso, il vuoto.
Ricompose col mastice i frantumi.

COSTRIZIONE
Siamo ora costretti al concreto
a una crosta di terra
a una sosta d’insetto
nel divampante segreto del papavero.

MARZO E LE SUE IDI
Di tutto diffido
del pugnale di bruto
della tenera carne di cesare
dello stesso destino
che passi presto il tempo
vengano alfine marzo e le sue idi.

COLPO A DEDALO
Avremo inferto
un grave colpo a dedalo
se in piena luce
in luogo aperto
studieremo l’inganno della lana
con cui è fatto il filo che conduce
alla tortuosa complessità d’arianna.

BRANDELLO
Ciò che vola che fugge innanzi a te
che dalla mano tesa s’allontana
per sua natura cambia sempre forma
è un tuo brandello lanciato con dolore
su strade impraticabili
e il vento della corsa lo trasforma.

Franco Arcidiaco
Bartolo Cattafi, Tutte le poesie, a cura di Diego Bertelli,
Editoriale Le Lettere, pagg. 964, € 60,00


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