Se Macondo sta a García Márquez come Girifalco sta a Domenico Dara, vien da pensare che Dara abbia avuto gioco facile a delineare magistralmente i personaggi e le vicende di questo suo magnifico “Breve trattato sulle coincidenze”; lo rivela a un certo punto del libro un pensiero dello stesso protagonista (il postino Ulisse Stranieri, il cui nome sintomatico scopriremo solo nell’ultima riga del libro): “Il postino pensò che il morbo della paccìa che dal manicomio si propagava nel resto del paese avesse mietuto una nuova vittima”.
La vicenda si svolge alla fine degli anni ’60, quando le brame dei movimenti antimanicomiali faticano a giungere dalle parti di Girifalco, il cui sviluppo socio antropologico ha tratto invece enormi benefici dalla presenza del più importante manicomio calabrese. L’espediente narrativo di Dara è geniale e certamente originale e costituisce un brillante esempio di quel nuovo corso della letteratura calabrese che riesce finalmente a scrollarsi di dosso il marchio della calabresità e si sprovincializza, pur attingendo a mani basse a quell’inesauribile scrigno letterario custodito dal “piccolo mondo” (Fogazzaro docet) della provincia italiana. Pasquino Crupi diceva che non è necessario vivere in provincia per essere provinciali, Domenico Dara dimostra che non è indispensabile essere provinciali per narrare di provincia.
Il postino è un uomo solo al mondo, la madre è morta e il padre non l’ha mai conosciuto: “Suo padre era un’immensa lavagna nera di fronte alla quale se ne stava col gesso in mano, aspettando che qualcuno gli suggerisse cosa scrivere”. Il borsone del postino è l’equivalente della lampada di Aladino, aprendo le lettere di tutti i paesani scopre “un mondo straordinario in cui tutti sembravano avere una vita parallela fatta di confessioni, segreti, amori, dolori clandestini”. Questa attività, inoltre, gli consente di riempire la sua vita con quelle degli altri e di dare un senso alla propria esistenza; la natura, infatti, “lo aveva fornito della dote unica e straordinaria di imitare le scritture degli uomini” “il postino trovò lo sbocco pratico e utilitario della propria arte, perché avere una dote e non poterla usare è come non averla”; con questa attività non solo scopre “le vite degli altri” ma ne determina il corso dell’esistenza, recapitando lettere scritte ad arte per intrecciare relazioni sentimentali, consolare genitori disperati per il silenzio dei figli lontani, arrivando addirittura in un caso a nasconderne la morte, far dialogare un militante comunista con Berlinguer in persona o intralciare i loschi traffici di un sindaco corrotto e senza scrupoli. “La certezza di aver trovato il bandolo della matassa d’una vita fino ad allora ingarbugliata lo aiutò a interpretare e disciplinare le ferite del passato, rendendolo meglio disposto verso gli uomini e il mondo”. Ma il bandolo della matassa, secondo il postino, risiede anche e soprattutto nella dinamica delle coincidenze e nella funzione dei sogni. L’abitudine di annotare scrupolosamente tutte le coincidenze alle quali assisteva lo aveva portato a elaborare una specifica teoria: “La coincidenza è il sassolino lasciato sul sentiero per indicare la via del ritorno, l’incontrovertibile prova che noi ci troviamo nel punto in cui avremmo dovuto essere… La coincidenza è come una piccola lente d’ingrandimento che chiarisce il groviglio e riporta ordine e significato là dove sembra non ci sia altro che confusione e accidentalità. È come una finestra che si apre all’improvviso e ci fa vedere un paesaggio del quale non ci eravamo mai accorti, ci mostra una vita parallela che scorre intorno a noi e della quale non ci accorgiamo ma che attraverso le coincidenze ci manda i segnali della sua esistenza”. Per quanto riguarda i sogni, poi, la sua certezza è granitica: “i sogni condizionano e indirizzano le giornate dell’òmini, e noi viviamo in base a ciò che sognàmu”. Questo romanzo d’esordio rivela uno scrittore di straordinario livello che ha tutti i numeri per affiancare i grandi autori internazionali, la sua scrittura è così ricca di colori e sfumature dal rischiare la ridondanza; la sua vis narrativa è a volte talmente debordante dal condurlo alla ripetizione di concetti e suggestioni (vedi la metafora del cesellatore, quella del prof. Viapiana e della natura che tende sempre a livellare le misure o quella del marinaio che rifugge la tempesta). Parlavo prima di Marquez, ma i richiami conducono anche alla narrativa di casa nostra con personaggi e situazioni che sembrano usciti dalla penna di un Ercole Patti, di un Vitaliano Brancati o di un Corrado Alvaro. Altra straordinaria peculiarità di Dara è costituita dall’intrigante miscela di italiano e dialetto che produce una lingua neologica comprensibile a ogni latitudine, pensate quanta assonanza c’è tra le “comari che chiatàvanu da una parte all’altra della strada” e le comari di oggi che “chattano” davanti a una tastiera. Per finire voglio sottolineare lo scoppiettante e immaginifico carosello di nomi e cognomi degli innumerevoli personaggi che popolano il romanzo, una per tutte la marqueziana “Carmela Buonodorosa” che “stendeva i panni sul balcone senza mutande e nel protendersi verso le corde le pieghe della gonna si infilavano tra le ferriate del balcone e là rimanevano, svelando visioni che facevano mancare il respiro. Quand’era ragazzo Carmela abitava di fronte a casa sua, e fu allora che s’innamorò delle sue carni abbronzate, degli scamiciati trasparenti, delle mutande di pizzo stese ad asciugare, il suo segreto oggetto del desiderio, che quando ancora sgocciolavano passava sotto in modo che l’acqua gli cadesse sulla bocca, gustandola e fantasticando sulla natura del rivolo”.
Emozionante, infine, l’omaggio al nostro grande poeta Lorenzo Calogero, anch’egli appassionato scrittore di lettere d’amore (Mandai lettere d’amore/ai cieli, ai venti, ai mari/a tutte le dilagate/forme dell’universo); Dara fa incontrare il postino con il poeta che si trova rifugiato, a seguito di una delle frequenti sortite da Villa Nuccia, nel vicino paese di San Floro e lo inserisce nella narrazione con una delle sue trovate funamboliche, bevono un caffè assieme “Calogero cuoremigrante versò il caffè nelle tazzine…” e il postino ne scopre la vera identità quando gli chiede il documento per recapitargli una lettera. Un universo fantastico ma tremendamente reale; un mix geniale di fantasia, sogno e vita vissuta che coinvolge e strania il lettore ad ogni capoverso.
L’altro grande merito della narrativa di Dara è di essere “’ndrangheta free”, non vi aspettate pertanto lodi sperticate da parte della corrente mainstream di critici, giornalisti e politici pronti e proni nei confronti dei frequenti parti letterari di magistar e professori-cultori-della-materia di ogni ordine e grado.
Franco Arcidiaco
Domenico Dara, Breve trattato sulle coincidenze, Nutrimenti. Roma, 2014, pagg. 368 € 19,00
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Complimenti Franco, ottima recensione analisi che spinge alla lettura.
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