martedì 26 novembre 2013

E' IL ROSSO MAGGIO IL MESE DI PASQUINO CRUPI!

Il mese di Maggio per Pasquino Crupi era un mese speciale: il corteo della Festa del Lavoro e, quattro giorni dopo, la processione di San Leo. Due eventi, di natura solo apparentemente opposta, che lo coinvolgevano da protagonista assoluto nella sua Bova. I primi giorni dello scorso mese di Aprile, il Professore mi convocò nel suo studio presso l' Università "Dante Alighieri", la malattia gli aveva risparmiato solo lo sguardo fiammeggiante e la verve umoristica, ma la sua voce era debole e lo stesso immancabile sigaro non aveva il profumo di sempre. Lo guardai bene dietro la coltre di fumo, mi ricambiò lo sguardo e mi gelò: "Direttore, si avvicina il tempo del mio ultimo Primo Maggio e della mia ultima processione di San Leo". Non trovai nemmeno la forza di schernirlo, i nostri occhi si inumidirono all'unisono e mi precipitai ad abbracciarlo senza fiatare. Ci conoscevamo da troppi anni e mai avevamo barato tra di noi, nemmeno in occasione delle innumerevoli dispute conseguenti alle sue imprevedibili e repentine scelte politiche che mi spiazzavano. Ci davamo rigorosamente il "Voi", lui, un gigante al mio cospetto, mi riservava un rispetto che mi metteva in imbarazzo. "Mi dovete pubblicare al più presto un librettino su San Leo", mi disse perentorio; trovai la forza di scherzare: "Professore, che fate vi buttate sotto le bandiere?", "Direttore, lo sapete, non potrei mai credere in un Dio onnipotente e, nel contempo, incapace di domare la scelleratezza dell'uomo e l'imperfezione della Natura. L'invenzione del libero arbitrio è la dimostrazione dell'incapacità della chiesa di dimostrare l'esistenza di Dio; ma c'è un angolo importante della mia anima che riservo alla Madonna di Polsi, a cui era devotissima mia madre, e al culto di San Leo, il Santo Operaio". Mettemmo subito in cantiere il "San Leo", che uscì qualche giorno prima della festa, ma poi le forze e gli ultimi sfibranti impegni non gli consentirono di riguardare il testo su Polsi. Nel rispetto della sua volontà, e con il consenso del figlio Vincenzo, ho chiesto a don Pino Strangio, rettore del Santuario di Polsi, di preparare una prefazione al volume che uscirà nei primi mesi del prossimo anno. Il 21 agosto era un giorno caldo con il cielo coperto, davanti al portone della chiesa, circondato da centinaia di persone, mi guardavo smarrito e cercavo di dare un senso a quella decisione dei suoi cari di far svolgere il funerale in chiesa; ci misi poco a rendermi conto che i presenti lo trovavano del tutto naturale. Pur nel massimo rispetto della decisione della moglie e dei figli, mi rimbombavano nella testa le chiare parole che, pochi mesi prima, il prof. mi aveva pronunciato e che io custodirò sempre come suo testamento spirituale. Nei giorni successivi alla sua morte, i media sono stati assaltati da "coccodrilli" di ogni specie. Tanti ricordi erano sinceri e pertinenti, altri artefatti e opportunisti. Ma quello che veramente è risultato offensivo, fatto salvo, onore al merito, il sincero omaggio tributato da dirigenti e militanti del PDCI, è stato il silenzio della Sinistra ufficiale, quel mondo, che Pasquino aveva incarnato e interpretato da protagonista, che non lo aveva mai amato veramente, spaventato probabilmente dal suo spirito eretico. E così il più grande interprete della cultura meridionalista, il più fervente cantore delle lotte del mondo operaio e contadino, brillante e corretto alfiere dell'edonismo laico, si è ritrovato ad essere celebrato prima tra le navate di una chiesa e subito dopo tra gli emicicli presidiati da una destra lontana mille miglia dalla sua storia e dalla sua cultura più profonda. Ironia della sorte e summa iniuria generata da questi tempi selvaggi.
Franco Arcidiaco

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