giovedì 21 novembre 2013

CHIESA, 'NDRANGHETA E MAGISTAR

Se Nicola Gratteri non fosse il più importante Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, ma fosse un semplice scrittore-saggista, nessuno, a parte i più pignoli amanti del buon gusto, troverebbe niente da ridire sulle sue comparsate televisive e sulle interviste a effetto rilasciate a giornalisti compiacenti. Ci si potrebbe limitare a classificarle tra le normali attività di marketing che le grandi case editrici (e in questo la Mondadori di Marina Berlusconi è maestra) sviluppano all'uscita di un best seller. D'altra parte, nei giorni precedenti, abbiamo visto come i media, con in testa i soliti noti del Fatto Quotidiano, non si siano fatti scrupolo di rilanciare i deliri berlusconiani per promuovere l'ennesimo libro-panettone di Bruno Vespa. Ma proprio questo è il punto, Nicola Gratteri non è Bruno Vespa e i suoi libri fino ad oggi sono stati considerati delle pietre miliari per lo studio e l'interpretazione del fenomeno 'ndrangheta. Pertanto se un magistrato di quel livello scrive sulle pagine di un libro, destinato a vendere centinaia di migliaia di copie, che in Calabria la Chiesa è connivente con la mafia, arrivando a gettare ombre addirittura sulle figure di GianCarlo Bregantini e Giuseppe Morosini, è legittimo domandarsi per quale motivo abbia deciso di bruciare questo prezioso materiale di indagine gettandolo ai quattro venti e mettendo sull'avviso i principali sospettati. Non risulta, infatti, che in tanti anni di lotte alla 'ndrangheta sia mai emersa alcuna pista concreta che abbia portato gli investigatori non dico fino all'altare, ma nemmeno dentro la penombra della sagrestia. La stessa inchiesta sulle Cooperative della Valle del Buonamico fallì miseramente ed ebbe come unico effetto, guarda un po', il trasferimento del Vescovo Bregantini da Locri a Campobasso. L'8 ottobre del 2007, esattamente un mese prima di essere trasferito, padre Giancarlo "profeticamente" così scriveva dalle colonne de "Il Quotidiano": "Solo chi vince il male nella sua umanità può frenare la negatività attorno a sé. Di freni ha tanto bisogno, oggi, la nostra Calabria. Freni alle chiacchiere inutili. Freni alle invidie e alle gelosie. Freni ai sentimenti coltivati nel rancore che meditano vendette. Freni a trasmissioni televisive pensate non per informare ma per infangare. Freni alla vanità della mente e alla durezza del cuore! Questo perché mai dalla bassezza può nascere il futuro! ... è nel silenzio, nell'umiltà, nel perdono, nella bonitas che nasce l'uomo nuovo!". Aveva le idee chiare padre GianCarlo sulla Calabria e sui calabresi che lui, da trentino, aveva capito molto meglio di tanti di noi che qui siamo nati, viviamo e operiamo; e aveva le idee chiare anche sul ruolo dei preti. In uno dei tanti indimenticabili colloqui, in occasione della preparazione dei suoi tre libri pubblicati dalla mia casa editrice con la collaborazione di Ida Nucera, amava tratteggiare metaforicamente le figure dei Promessi Sposi, e sottolineava come Lucia, icona di luce ma attorniata dalle tenebre e assediata da Don Rodrigo, "esempio tragico di tutti i nostri mafiosi", fosse ben difesa da Fra Cristoforo e non da don Abbondio che lui definiva "prete ineccepibile sul piano formale, ma privo di luce profetica, perché chiuso nel buio delle sue paure". Quanti don Abbondio e quanti Fra Cristoforo ci sono in Calabria, dottor Gratteri? E anche ammesso che i primi fossero in soprannumero, se la sentirebbe di iscriverli tutti nella colonna dei cattivi? Non tutti i preti possono essere don Pino Puglisi o don Peppino Diana così come non tutti i magistrati possono essere Giovanni Falcone o Paolo Borsellino. Io che non sono nè cattolico nè credente sono in grado di stilare un lunghissimo elenco di preti di ogni ordine e grado che ogni giorno, con impegno ed abnegazione, assolvono alla loro funzione di stare al fianco degli ultimi; chè questo dev'essere il loro ruolo e non certo quello di fare il cane da guardia delle istituzioni. In una società civile e organizzata non ci deve essere frammistione di ruoli, esemplari in questo senso furono le parole che Italo Falcomatà rivolse serenamente, com'era suo costume, ad un altro magistrato di prima linea, quel dottor Salvatore Boemi che gli destinava decine di avvisi di garanzia : "Un sindaco non è un mafiologo nè un mafiografo... Il dottor Boemi, invece è d'altra pasta, ha il senso della prima linea, dove si sente il tuono del cannone, che il resto del paese, cui la guerra viene raccontata, non può avere. Io onoro questo combattente, non battendo lo stesso chiodo, ma indebolendo la durezza del legno". Dovremmo fare tutti tesoro dell'insegnamento di questo grande politico calabrese e rientrare tutti nei ranghi: i giornalisti a fare i giornalisti (e non la cassa di risonanza di chicchessia), i preti a curare le anime (e tralasciare i corpi), i politici a governare nell'interesse generale (e qui la vedo nera...), gli intellettuali a studiare e non tacere ed infine i magistrati e le forze dell'ordine a combattere il male e a... scrivere libri, ma solo dopo il pensionamento. Ritengo, infatti, che l'azione dei Magistar sia vissuta con gran disagio dal corpo della Magistratura, poichè rischia di produrre gli stessi effetti destabilizzanti che l'azione degli Archistar ha provocato nel campo dell'Architettura.
Franco Arcidiaco

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