domenica 29 gennaio 2012

UN FRATE FRANCESCANO IN UN HAREM DI SPLENDIDE QUARANTENNI

Il motto di Stephen Vizinczey è “Confesso di conoscere una sola regola di scrittura: essere chiaro”. Complice la perfetta traduzione di Maria Giulia Castagnone, il libro risulta godibilissimo e coinvolgente. Siamo al cospetto di un grandissimo narratore che seduce il lettore con uno stile scorrevole e divertente, che sa essere sapientemente distaccato anche nel descrivere le scene più erotiche, di cui peraltro il libro è costellato. Nato in Ungheria, si è trasferito in Canada per intraprendere la carriera universitaria; Elogio delle donne mature uscì nel 1965, Vizinczey lo scrisse in lingua inglese, imponendosi da subito sulla scena letteraria come un maestro della prosa inglese, al punto che Anthony Burgess arrivò a ringraziarlo “per aver insegnato agli inglesi a scrivere in inglese”. Il libro ha avuto un successo planetario ed è ancora oggi ristampato continuamente marciando con il passo del grande classico. Non si capisce per quale motivo la Marsilio abbia deciso di relegarlo nell’esangue collana dei Tascabili tra l’altro dotandolo di una copertina orrenda. L’infanzia trascorsa in un istituto religioso retto da frati francescani è stata naturalmente la fonte del suo pensiero successivo. “E’ sebbene io ora sia ateo, ricordo e conservo ancora quella sensazione di estasi, e le quattro candele nel freddo silenzio marmoreo, pieno di echi. Fu lì che imparai a percepire e amare il mistero elusivo, una propensione che le donne hanno fin dalla nascita, e agli uomini è concesso acquisire, se sono fortunati. (…) Spero che i francescani mi perdonino se dico che non sarei mai stato capace di comprendere e amare tanto le donne, se la Chiesa non mi avesse insegnato l’estasi e il rispetto della sacralità.”
Il suo mondo si divideva tra il salotto della madre, ricco di amiche allegre e procacemente gioiose, e il monastero francescano: “…ancor oggi sono convinto che il miglior modo di vivere, sarebbe quello di farsi frate francescano e avere un harem di donne quarantenni.”
Orfano di padre, per mano nazista, fu colto all’ingresso nell’adolescenza dal dramma della guerra e dai disagi del dopoguerra. Le scene vissute in un campo militare americano, nei pressi di Salisburgo, sono un affascinante (direi felliniano) miscuglio di realismo onirico, umorismo ed erotismo. Qualcuno ha richiamato Balzac, lo condivido pienamente; a me ha richiamato anche le atmosfere di Victor Hugo e, fatte le debite proporzioni con i primi due, di Anne e Serge Golon. Il suo compito nel campo, quando era appena dodicenne, era di fare il sensale delle donne ungheresi, che si prostituivano ai militari per la necessità dettata dalla povertà. La pagina in cui descrive l’angoscia “leggermente artefatta” di una contessa, del marito e della giovane figlia, quando lui arrivava nella loro baracca con l’allettante offerta da parte di un ufficiale americano, è esemplare per la chiarezza descrittiva e per la levità con cui descrive una situazione a dir poco scabrosa. Alla fine sarà proprio la contessa ad aiutare il suo “ragazzo immorale” a varcare la linea d’ombra e a completare la sua educazione sentimentale: “…improvvisamente aprì le labbra, si chinò e mi prese in bocca. Fui subito privo di peso e avevo l’impressione che non avrei mai più voluto muovermi, per tutta la vita.” Da quel momento la sua vita amorosa è il susseguirsi di un turbinio di incontri spesso travolgenti ma mai troppo duraturi. Manco a dirlo i più soddisfacenti sono quelli intrecciati con donne mature e “saldamente sposate”. Spesso arrivava a frequentare i mariti per sedurne le mogli. Sentite la descrizione dell’avvio della relazione con la splendida Maya: “…cominciai ad andare nel loro appartamento per farmi prestare i libri sempre più frequentemente… la preferivo in gonna e camicetta… mettevano meglio in risalto la sua figura a un tempo fragile e rigogliosa. Pensavo che fosse la donna più sensuale del mondo. Era sempre amichevole ma distaccata, e questo suo modo di fare (che ritrovai poi in molte donne ben educate) mi gettava in un mare tempestoso di speranza e di disperazione. … Ma quel lampo nei suoi occhi era il mio faro. Sebbene sembrasse non avvicinarsi mai, mi permetteva di andare alla deriva lungo le coste del suo corpo.” Con Maya ha il primo amplesso importante e lo descrive genialmente così: “Si dice che prima di morire uno riveda in un lampo tutta la sua vita” e lui, steso nel letto al fianco di Maya, ripercorre tutte le immagini e le sensazioni erotiche che hanno costellato la sua infanzia e la sua adolescenza, componendo un mosaico delizioso e stuzzicante. “(…)Maya mi insegnava tutto quello che c’era da sapere. Ma forse insegnare è la parola sbagliata: si dava semplicemente del piacere e ne dava anche a me, e io non mi rendevo conto di lasciarmi alle spalle la mia ignoranza mentre scoprivo le vie dei suoi sorprendenti territori. Godeva di ogni movimento, semplicemente toccando le mie ossa e la mia carne. Maya non era una di quelle donne che dipendono dall’orgasmo come unica ricompensa di un’attività fastidiosa: fare l’amore con lei era una sorta di comunione, e non la masturbazione interiore di due estranei nello stesso letto. ‘Guardami adesso -mi raccomandò prima di venire- ti piacerà’ ”.
Da Maya riceverà un’altra lezione fondamentale: “Imparerai che l’amore raramente dura e che è possibile amare più di una persona alla volta.”
Le uniche pagine inutili e direi fastidiose del libro sono quelle in cui Vizinczey si abbandona, forse per compiacere il suo editor e la critica occidentale, a un anticomunismo di maniera che non è assolutamente funzionale alla narrazione anzi stride apertamente con il contesto narrativo. L’Ungheria in cui vive le sue avventure risulta, dalle sue stesse pagine, libera e disinibita, gioiosa, colta e scanzonata, non si intravede alcuna traccia del presunto “terrore staliniano”. Si nota chiaramente che Vizinczey inserisce alcuni episodi “per dovere” e sono le poche pagine in cui la sua potenza narrativa assume un suono innaturale e artefatto. Viceversa, e non a caso, le sue grandissime doti di narratore vengono fuori senza esitazione quando si tratta di narrare, in una sola paginetta tremenda e essenziale, la deportazione di un gruppo di ebrei da parte delle SS e dei collaborazionisti ungheresi. Le pagine riguardanti il cosiddetto esilio a Roma dei cosiddetti profughi della cosiddetta rivoluzione del ‘56, pur essendo al solito scritte in modo mirabile risultano artificiose e improbabili. I trecento cosiddetti rifugiati ungheresi a Roma vivono una condizione di esilio dorato a spese della CIA e del Vaticano e non dimostrano affatto di subire la triste condizione classica dei veri rifugiati politici di ogni epoca. Ancora la vera Storia non ha inteso far luce sulle nefandezze della Guerra Fredda e sull’aggressione e l’accerchiamento (fatto di calunniosa propaganda e provocazioni dei servizi segreti), a cui furono sottoposti i Paesi del blocco Sovietico da parte di un mondo occidentale che, nell’affermazione del Comunismo, vedeva lo spettro del fallimento della sua spietata ideologia basata su quel Capitalismo i cui frutti nefasti stiamo assaporando in questi anni.
Per non far torto, con queste mie riflessioni critiche, a un libro che considero comunque un capolavoro assoluto, vi trascrivo alcune preziose chicche, invitandovi, tra l’altro, a far vostro il Sermone per un incontro di Onanisti Anonimi, un mirabile intreccio di ironia ed erotismo che dovrebbe essere recitato ogni mattina nelle scuole all’inizio delle lezioni.
“Ora che avevo la mano infilata sotto le sue mutandine, le mie dita tastavano quel terreno umido come esploratori mandati in ricognizione prima del passaggio dell’esercito regolare.”
“ Prendemmo l’autobus fino al Danubio e percorremmo il ponte a piedi, mano nella mano. Il fiume emanava un odore fresco, simile a quello di un torrente di montagna. C’era una luna pallida, e la soffice massa scura dell’isola si profilava davanti a noi simile a un enorme letto, che aveva come cuscino le vaporose collinette nere degli alberi.”
“Quando entrava nella hall vestita con un abito aderente di seta o di maglia, straordinariamente elegante, si aveva l’impressione che il suo corpo fosse stato modellato nella sua forma perfetta da una lunga serie di amanti focosi.”
“Stare con lei era come vivere su un altopiano. L’aria era chiara ma rarefatta, bisognava reagire più lentamente, respirare piano, essere calmi e prudenti ed evitare le emozioni.”
“Manifestò il suo rifiuto con un rimpianto così affettuoso che solo in seguito mi accorsi che mi aveva respinto”.
Stephen Vizinczey
Elogio delle donne mature
Tascabili Marsilio, 2011
pagg. 210, € 7,00

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