Pirandello non me ne vorrà se prendo in prestito il titolo di una sua opera incentrata su un tema a lui molto caro: l’inconoscibilità del reale, di cui ognuno può dare l’interpretazione che più gli aggrada e che diverge completamente da quella degli altri. Ciò genera una situazione di relativismo che produce l’impossibilità di conoscere la verità assoluta, il tutto è ben rappresentato dalla celebre frase della protagonista: "Io sono colei che mi si crede".
La mia convinzione è che la situazione politica che sta vivendo la nostra città da qualche mese, metterebbe a dura prova la sia pur fertile fantasia del grande scrittore siciliano. Quel che sorprende di più è che il relativismo è sparso a piene mani non solo dai politici, che ne hanno fatto la quintessenza del proprio ruolo, ma anche dagli intellettuali (o presunti tali) e dagli esponenti della società (cosiddetta) civile. Assistiamo pertanto alle sortite più disparate in cui disinvolti “economisti della domenica” discettano di economia e bilanci, asserendo tutto e il contrario di tutto. Eppure la situazione è di una chiarezza esemplare e si legge come un libro aperto: abbiamo un Comune in forte crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l’economia cittadina, una dirigente del settore (Orsola Fallara, morta suicida) che si è occupata principalmente della liquidazione di ingentissime somme verso se stessa e un ben definito gruppo di amici e sodali, e due politici (Demetrio Naccari Carlizzi ed il consigliere comunale Seby Romeo) che hanno fatto quello che nessun altro politico aveva mai fatto sinora, almeno a queste latitudini: hanno raccolto le inoppugnabili prove dei misfatti della dirigente, e del sistema politico da lei rappresentato, e sono andati a portarle alla Procura della Repubblica ed al Prefetto.
Da tener presente che alle prime concrete avvisaglie dello scandalo, il governatore Giuseppe Scopelliti non ha esitato un attimo a scaricare la dirigente, che lui stesso aveva nominato e che era stata per otto anni la sua ombra, dichiarando testualmente: “Ha tradito tutti i nostri valori”. L’intelligenza politica del governatore gli ha consigliato di evitare di tentare difese impossibili e di lasciare l’ingrato compito a bande di ascari appositamente attrezzate; altrettanta intelligenza non è stata riscontrata invece tra lo schieramento del centrosinistra che ha letteralmente abbandonato Naccari e Romeo, lasciandoli in balia di aggressioni (per fortuna solo verbali) e calunnie di ogni sorta. D’altra parte i geniali dirigenti del PD si sono talmente estraniati dalla situazione politica cittadina, dal dimenticare di nominare un candidato a sindaco capace di sfidare il forte Demi Arena, messo in campo dal PDL. Duole, inoltre, constatare come un organismo quale la Camera di Commercio, che ben dovrebbe essere a conoscenza dello stato di sofferenza in cui versano le aziende reggine a causa dell’insolvenza del Comune, minimizzi la situazione riducendo il tutto alla stregua di banali beghe politiche. L’amico Lucio Dattola, valido ed attivissimo presidente della Camera di Commercio, dovrebbe essere più prudente in queste sortite pubbliche, nel rispetto soprattutto dell’Istituzione che presiede; sarebbe bastato un sondaggio tra le imprese iscritte (cioè tutte le imprese della città), per conoscere la situazione reale ed evitare di aggiungere agli imprenditori oltre lo smacco del danno anche l’offesa della beffa.
Le prove prodotte da Naccari e Romeo sono dei documenti pubblici che avrebbe potuto avere chiunque avesse avuto voglia (e senso civico) di cercare, sono inoppugnabili proprio per questo motivo; quella fetta, per la verità sempre più esigua, di magistratura reticente a varcare la soglia dell’area grigia se ne dovrà fare una ragione. Eppure c’è ancora qualcuno che continua a parlare di calunnie e falsità, e si preoccupa solo di scavare nel passato prossimo e remoto di Naccari, per scoprirne eventuali scheletri nell’armadio e metterne in dubbio la buona fede. Ma che questa attività sia svolta dalla maggioranza, che si rende ben conto che un eventuale crollo del “modello Reggio” di Scopelliti le risulterebbe fatale, è comprensibile. Quello che è veramente sconcertante è invece l’atteggiamento reticente, indolente, se non addirittura ostile, dell’intero raggruppamento del centro sinistra; schierarsi con Naccari e Romeo dovrebbe essere un dovere per tutta la classe politica in buona fede e per gli intellettuali e gli esponenti della cosiddetta società civile. Ma è proprio questo il punto: esistono in questa città politici ispirati solo dai principi della politica sana e corretta? Esiste una società civile che pretenda dalla classe politica solo servizi e non favori? Esistono intellettuali (ma forse il problema, come bene ha detto Pasquino Crupi, è che in questa terra ci sono troppi professori universitari e pochi intellettuali) liberi da condizionamenti e disposti a far sentire la propria voce libera e illuminata? Passati ormai diversi mesi siamo costretti a dubitarne.
Franco Arcidiaco
giovedì 31 marzo 2011
domenica 27 marzo 2011
LA GUERRA DI OBAMA E’ PIU’ BELLA DI QUELLA DI BUSH?
Contro la guerra di Bush abbiamo esposto la bandiera della Pace sui balconi, alla guerra di Obama riserviamo l’indulgenza dovuta alle “giuste cause”. Fingiamo di non sapere che alla base di tutte le guerre ci sono sempre e solo interessi economici e che la cosiddetta difesa dei diritti umani è solo un pretesto per tacitare gli allocchi. I governanti USA non hanno mai avuto la vocazione del buon samaritano, si sono attribuiti il ruolo di guardiani del mondo con la violenza e con il sangue senza alcuna distinzione tra democratici e repubblicani; solo quel genio di Veltroni può inneggiare a Kennedy, dimenticando che fu proprio quel grande campione della democrazia ad avviare la guerra del Vietnam. L’Onu viene utilizzato cinicamente e le sue risoluzioni vengono confezionate ad hoc secondo le esigenze economiche dei paesi dominanti. Il principio internazionale di “non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano” insieme al diritto di “Autodeterminazione dei popoli” sancito a Helsinki nel 1975, e sottoscritto in pompa magna da quasi tutti i paesi del mondo, sono regolarmente ignorati e calpestati in nome del business che gira attorno allo sfruttamento delle risorse energetiche e al controllo delle aree geografiche strategiche. Centinaia di guerre civili insanguinano ogni giorno il terzo mondo, tiranni senza scrupoli massacrano regolarmente le popolazioni (Darfur e Ruanda vi ricordano qualcosa?); il tutto nella totale indifferenza dell’Onu, degli Stati dominanti e dei media, per il semplice motivo che questi fatti si svolgono in paesi marginali e privi di risorse. L’”amico Putin” ha consumato in Cecenia il più grande genocidio dell’era moderna: 250mila morti su una popolazione di un milione, ed ha “orientato” l’assassinio di 120 giornalisti senza scandalizzare nessuno. Ma ve lo immaginate un “no fly zone” imposto alla Russia? Se ai tempi dell’Unione Sovietica il povero Leonid Breznev (mai troppo rimpianto) avesse compiuto solo l’uno per cento delle azioni di Putin, sarebbe scoppiata inevitabilmente la terza guerra mondiale. Ieri la guerra santa contro il Comunismo, oggi la guerra santa per le risorse energetiche: stessa matrice, stessa protervia, stessi obiettivi. Il tutto mentre in Italia viviamo (ormai da quasi un ventennio) il dramma dell’assenza dalla scena di una classe dirigente degna di questo nome. Siamo passati dal psicodramma di Massimo D’Alema, primo Presidente del Consiglio di Sinistra, che è andato allegramente a bombardare Belgrado; all’attuale premier, che non nomino per questione di decoro di queste pagine, che attacca un Paese praticamente confinante, appena due anni dopo aver sottoscritto un trattato d’amicizia (definito blindato) e qualche mese dopo averne accolto il leader, con tutti gli onori e con un baciamani la cui imbarazzante immagine ha fatto il giro del mondo. Siamo, oggi più che mai un paese servo, capace solo di scodinzolare al richiamo del padrone di turno e di scimmiottare le azioni delle grandi potenze imperialiste che ci dominano e che condizionano la nostra politica estera. La scelta di aprire la prima pagina con un’immagine della guerra di Libia del 1911 è evidentemente simbolica, la consideriamo la sigla di apertura di un secolo che si è aperto con la creazione dell’ “impero straccione” di Giolitti prima e di Mussolini poi, per approdare all’allucinante dramma-burlesque in cui ci ha fatto precipitare il guitto di Arcore, questo incredibile personaggio a cui un elettorato ignorante e una sinistra infantile hanno consegnato il paese, le cui gesta hanno macchiato in modo indelebile l’onore di un’intera nazione, segnando il futuro di almeno due generazioni a venire.
Franco Arcidiaco
Franco Arcidiaco
lunedì 21 marzo 2011
CARLO CURATOLA, SAVERIO VERDUCI E VINCENZO ZOCCALI. TRE REGGINI DA NON DIMENTICARE
Il mese di Febbraio ha segnato la tragica coincidenza di veder scomparire tre illustri protagonisti della vita pubblica reggina, tra i pochi invero di cui la nostra città non avesse motivo di vergognarsi. Carlo Curatola era un politico socialista, Saverio Verduci un politico comunista e Don Vincenzo Zoccali un sacerdote con ruoli di primo piano nella Chiesa calabrese. Ritengo che il modo migliore di onorare delle persone scomparse sia quello di far riaffiorare dei ricordi significativi, evitando manifestazioni di cordoglio di fredda circostanza.
Carlo Curatola è stato assessore comunale alla cultura ed alla pubblica istruzione dal 1975 al 1980. Da più parti è stato sottolineato il suo fattivo impegno in direzione dello sviluppo socio-culturale della città, soprattutto attraverso la formazione dei giovani; azione ancor più encomiabile se si considera che fu svolta, praticamente in solitudine, negli anni bui seguiti alla rivolta, ed alla vigilia della spaventosa guerra di mafia che, di lì a poco, avrebbe lastricato di sangue le vie di Reggio. Appena nominato assessore Carlo Curatola mi contattò per una iniziativa innovativa con pochi precedenti nel territorio nazionale. Io all’epoca lavoravo nell’azienda che mio padre gestiva in società con Oreste Granillo, altro rimpianto protagonista della vita pubblica reggina, si trattava di un’agenzia di distribuzione di giornali e riviste che forniva (come fa ancora oggi) le edicole della città e della provincia. Con ben venticinque anni di anticipo rispetto al progetto “Il Quotidiano in Classe“ (promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori solo nel settembre 2000), Carlo Curatola mi propose di organizzare la distribuzione di alcuni quotidiani nelle scuole medie superiori per consentire la lettura del giornale durante le ore di lezione. Le difficoltà furono immense, ma né Carlo né il sottoscritto eravamo disposti a darci per vinti; riuscimmo ad andare avanti per tutto il periodo del suo assessorato tra lo scetticismo dei suoi colleghi politici, l’ostilità di buona parte di presidi e insegnanti e i rimbrotti di mio padre che era costretto a cedere gratuitamente i quotidiani, poiché il Comune riconosceva esclusivamente il rimborso spese per la distribuzione. Incontrandoci sporadicamente negli anni successivi, ricordavamo con Carlo quell’iniziativa con legittimo orgoglio, anche se oggi mi duole constatare che non pare abbia lasciato grande traccia nella memoria storica cittadina. Pasquino Crupi ha ricordato da par suo, dalle pagine de “La Riviera”, Carlo con queste parole: “…intellettuale moderno, avvocato di peso, amministratore acuto e disinteressato della cosa pubblica, è stato il galantuomo del socialismo reggino e calabrese. Né una macchia, e sarebbe immaginare l’impossibile, né un’ombra, e sarebbe umanamente possibile, si sono depositati sulla sua vita familiare, professionale e politica. Non ha avuto bisogno della cranica distinzione tra vita privata e vita pubblica, tra peccati e reati, come è necessità di tanti farabutti, per sottrarre la sua azione politica e la sua intima vita alla rampogna e alla critica. Etica e politica non solo in lui furono possibili. Furono un’unità ardente di sempre, per sempre come il fuoco della fiaccola d’Atene. E la politica in lui s’alimentava e si nutriva dal moto morale della coscienza che chieda al più presto la fine delle disuguaglianze, delle storture, dei privilegi. Era, perciò, fuori del nostro tempo. Un uomo, un socialista, fuori dall’attualità. Carlo Curatola non appartiene al nostro tempo. Il suo tempo è il futuro, quando -chissà quando, ma ciò sarà- gli opportunisti ed i trasformisti saranno un lontano e fastidioso ricordo”.
Il percorso umano e politico di Saverio Verduci è paradigmatico del modo di intendere la gestione della cosa pubblica che ha contraddistinto tutti i militanti del PCI fino alla tragedia della cosiddetta “svolta della Bolognina” che portò, il 3 febbraio del 1991 (Rimini, XX Congresso), allo scioglimento del Partito. La folle e demenziale smania di protagonismo del mediocre Achille Occhetto, siglò la morte prematura ed ingiustificata dell’unico partito del quale la Repubblica italiana non avesse motivo di vergognarsi. Gli uomini del PCI, in settant’anni di attività, avevano dato prova di enorme capacità amministrativa condita da abnegazione e, soprattutto, estrema onestà. La grande epopea delle Regioni rosse (Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria) ancora oggi costituisce un insuperabile modello di efficienza e correttezza amministrativa, per non parlare della grande leva di sindaci e amministratori comunisti che fecero rialzare la testa alle nostre città, dopo gli anni del degrado a cui erano state ridotte da decenni di dominio democristiano. Saverio Verduci era uno di questi uomini, aveva ricoperto per anni il ruolo di Presidente della IV Circoscrizione, amatissimo dalla popolazione; ad ogni tornata elettorale non aveva praticamente avversari, ed il suo carisma, frutto della passione civile e dell’impegno, era riconosciuto, in primis, dai consiglieri dell’opposizione. Un’altra sua grande caratteristica era l’umiltà accompagnata da una totale disponibilità verso i bisogni della gente; andava a trovare gli anziani ammalati nelle case ed era normale vederlo distribuire aiuti (farmaci, cibo e vestiario) ai più indigenti. Uomo di grande gentilezza aveva una grandissima attenzione nei confronti della stampa, quando emanava i comunicati non dimenticava mai “laltrareggio” ed, anzi, si preoccupava di confezionarne uno ad hoc che si adattasse alla periodicità del giornale. Ricordo con immensa nostalgia le sue telefonate in redazione, quando, con grande signorilità e gentilezza, continuava a scusarsi per il “tempo che ci rubava”; proprio lui che era un uomo impegnatissimo che, come tutti i militanti comunisti, aveva sacrificato al Partito la vita privata. L’aspetto peggiore della “Svolta della Bolognina”, consistette proprio nel subdolo sistema di persuasione adottato verso i militanti; facendo leva proprio sulla disciplina e sul senso del dovere che ne erano la cifra distintiva, si ottenne un largo consenso verso quella che fu una delle più grandi nefandezze perpetrate nei confronti della democrazia italiana. Anche Saverio, nell’immediato, si era fatto una ragione di quella scelta, ma una delle ultime volte che ci siamo incontrati non aveva mancato di dirmi, con un sorriso amaro: “Il mio partito è solo e sempre il PCI e lo sarà fino alla morte”. Oggi Saverio non c’è più e Reggio è, ancora una volta, più povera e disperata.
Monsignor Vincenzo Zoccali era un uomo di montagna, dai modi spicci e concreti. Ha ricoperto per lunghi anni ruoli chiave nella Chiesa reggina, partecipando attivamente anche alla vita culturale della città e della provincia. In occasione di dibattiti e convegni non si tirava mai indietro ed i suoi interventi erano sempre circostanziati, pertinenti e, se necessario, conditi da note polemiche. Non essendo un gran frequentatore di chiese, i miei ricordi riguardano esclusivamente i suoi interventi alle presentazioni di volumi di mia edizione; memorabile fu un colto e acceso scambio di opinioni con il prof. Pasquale Amato, in occasione della presentazione del volume sul Risorgimento presso la sala consiliare di S. Stefano in Aspromonte. Mons. Zoccali trovava un po’ troppo laico l’approccio del prof. Amato nei confronti degli eroi “stefaniti” che avevano partecipato ai moti del 1847, e gli rimproverava di non aver focalizzato il contributo dato da qualche ecclesiastico. Un altro ricordo di Mons. Zoccali riguarda invece la mia infanzia; era egli, infatti, molto amico del mio padrino Oreste Granillo e partecipava spesso a riunioni ed incontri presso l’agenzia di mio padre e Granillo, allora situata in Via Re Ruggero. Quella sede era in una posizione strategica a un tiro di schioppo dalla Curia, dal Tribunale e dalla Federazione del PCI; da lì passavano praticamente tutti, dai giornalisti più importanti quali Franco Cipriani, Antonio La Tella e Franco Liconti, ai politici più in vista. Mons. Zoccali non mancava mai, il suo tono di voce ed il suo aspetto erano inconfondibili e sono bene impressi nella mia memoria dopo quasi cinquant’anni. Ai più appariva burbero ma a me, che passavo già allora il mio tempo libero tra la carta stampata, dedicava sempre un sorriso e, soprattutto, un graditissimo regalo: ancora oggi conservo i francobolli e le “buste di prima emissione” del Vaticano che impreziosiscono la mia collezione filatelica, il cui avvio fu esclusivamente merito suo.
Franco Arcidiaco
Carlo Curatola è stato assessore comunale alla cultura ed alla pubblica istruzione dal 1975 al 1980. Da più parti è stato sottolineato il suo fattivo impegno in direzione dello sviluppo socio-culturale della città, soprattutto attraverso la formazione dei giovani; azione ancor più encomiabile se si considera che fu svolta, praticamente in solitudine, negli anni bui seguiti alla rivolta, ed alla vigilia della spaventosa guerra di mafia che, di lì a poco, avrebbe lastricato di sangue le vie di Reggio. Appena nominato assessore Carlo Curatola mi contattò per una iniziativa innovativa con pochi precedenti nel territorio nazionale. Io all’epoca lavoravo nell’azienda che mio padre gestiva in società con Oreste Granillo, altro rimpianto protagonista della vita pubblica reggina, si trattava di un’agenzia di distribuzione di giornali e riviste che forniva (come fa ancora oggi) le edicole della città e della provincia. Con ben venticinque anni di anticipo rispetto al progetto “Il Quotidiano in Classe“ (promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori solo nel settembre 2000), Carlo Curatola mi propose di organizzare la distribuzione di alcuni quotidiani nelle scuole medie superiori per consentire la lettura del giornale durante le ore di lezione. Le difficoltà furono immense, ma né Carlo né il sottoscritto eravamo disposti a darci per vinti; riuscimmo ad andare avanti per tutto il periodo del suo assessorato tra lo scetticismo dei suoi colleghi politici, l’ostilità di buona parte di presidi e insegnanti e i rimbrotti di mio padre che era costretto a cedere gratuitamente i quotidiani, poiché il Comune riconosceva esclusivamente il rimborso spese per la distribuzione. Incontrandoci sporadicamente negli anni successivi, ricordavamo con Carlo quell’iniziativa con legittimo orgoglio, anche se oggi mi duole constatare che non pare abbia lasciato grande traccia nella memoria storica cittadina. Pasquino Crupi ha ricordato da par suo, dalle pagine de “La Riviera”, Carlo con queste parole: “…intellettuale moderno, avvocato di peso, amministratore acuto e disinteressato della cosa pubblica, è stato il galantuomo del socialismo reggino e calabrese. Né una macchia, e sarebbe immaginare l’impossibile, né un’ombra, e sarebbe umanamente possibile, si sono depositati sulla sua vita familiare, professionale e politica. Non ha avuto bisogno della cranica distinzione tra vita privata e vita pubblica, tra peccati e reati, come è necessità di tanti farabutti, per sottrarre la sua azione politica e la sua intima vita alla rampogna e alla critica. Etica e politica non solo in lui furono possibili. Furono un’unità ardente di sempre, per sempre come il fuoco della fiaccola d’Atene. E la politica in lui s’alimentava e si nutriva dal moto morale della coscienza che chieda al più presto la fine delle disuguaglianze, delle storture, dei privilegi. Era, perciò, fuori del nostro tempo. Un uomo, un socialista, fuori dall’attualità. Carlo Curatola non appartiene al nostro tempo. Il suo tempo è il futuro, quando -chissà quando, ma ciò sarà- gli opportunisti ed i trasformisti saranno un lontano e fastidioso ricordo”.
Il percorso umano e politico di Saverio Verduci è paradigmatico del modo di intendere la gestione della cosa pubblica che ha contraddistinto tutti i militanti del PCI fino alla tragedia della cosiddetta “svolta della Bolognina” che portò, il 3 febbraio del 1991 (Rimini, XX Congresso), allo scioglimento del Partito. La folle e demenziale smania di protagonismo del mediocre Achille Occhetto, siglò la morte prematura ed ingiustificata dell’unico partito del quale la Repubblica italiana non avesse motivo di vergognarsi. Gli uomini del PCI, in settant’anni di attività, avevano dato prova di enorme capacità amministrativa condita da abnegazione e, soprattutto, estrema onestà. La grande epopea delle Regioni rosse (Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria) ancora oggi costituisce un insuperabile modello di efficienza e correttezza amministrativa, per non parlare della grande leva di sindaci e amministratori comunisti che fecero rialzare la testa alle nostre città, dopo gli anni del degrado a cui erano state ridotte da decenni di dominio democristiano. Saverio Verduci era uno di questi uomini, aveva ricoperto per anni il ruolo di Presidente della IV Circoscrizione, amatissimo dalla popolazione; ad ogni tornata elettorale non aveva praticamente avversari, ed il suo carisma, frutto della passione civile e dell’impegno, era riconosciuto, in primis, dai consiglieri dell’opposizione. Un’altra sua grande caratteristica era l’umiltà accompagnata da una totale disponibilità verso i bisogni della gente; andava a trovare gli anziani ammalati nelle case ed era normale vederlo distribuire aiuti (farmaci, cibo e vestiario) ai più indigenti. Uomo di grande gentilezza aveva una grandissima attenzione nei confronti della stampa, quando emanava i comunicati non dimenticava mai “laltrareggio” ed, anzi, si preoccupava di confezionarne uno ad hoc che si adattasse alla periodicità del giornale. Ricordo con immensa nostalgia le sue telefonate in redazione, quando, con grande signorilità e gentilezza, continuava a scusarsi per il “tempo che ci rubava”; proprio lui che era un uomo impegnatissimo che, come tutti i militanti comunisti, aveva sacrificato al Partito la vita privata. L’aspetto peggiore della “Svolta della Bolognina”, consistette proprio nel subdolo sistema di persuasione adottato verso i militanti; facendo leva proprio sulla disciplina e sul senso del dovere che ne erano la cifra distintiva, si ottenne un largo consenso verso quella che fu una delle più grandi nefandezze perpetrate nei confronti della democrazia italiana. Anche Saverio, nell’immediato, si era fatto una ragione di quella scelta, ma una delle ultime volte che ci siamo incontrati non aveva mancato di dirmi, con un sorriso amaro: “Il mio partito è solo e sempre il PCI e lo sarà fino alla morte”. Oggi Saverio non c’è più e Reggio è, ancora una volta, più povera e disperata.
Monsignor Vincenzo Zoccali era un uomo di montagna, dai modi spicci e concreti. Ha ricoperto per lunghi anni ruoli chiave nella Chiesa reggina, partecipando attivamente anche alla vita culturale della città e della provincia. In occasione di dibattiti e convegni non si tirava mai indietro ed i suoi interventi erano sempre circostanziati, pertinenti e, se necessario, conditi da note polemiche. Non essendo un gran frequentatore di chiese, i miei ricordi riguardano esclusivamente i suoi interventi alle presentazioni di volumi di mia edizione; memorabile fu un colto e acceso scambio di opinioni con il prof. Pasquale Amato, in occasione della presentazione del volume sul Risorgimento presso la sala consiliare di S. Stefano in Aspromonte. Mons. Zoccali trovava un po’ troppo laico l’approccio del prof. Amato nei confronti degli eroi “stefaniti” che avevano partecipato ai moti del 1847, e gli rimproverava di non aver focalizzato il contributo dato da qualche ecclesiastico. Un altro ricordo di Mons. Zoccali riguarda invece la mia infanzia; era egli, infatti, molto amico del mio padrino Oreste Granillo e partecipava spesso a riunioni ed incontri presso l’agenzia di mio padre e Granillo, allora situata in Via Re Ruggero. Quella sede era in una posizione strategica a un tiro di schioppo dalla Curia, dal Tribunale e dalla Federazione del PCI; da lì passavano praticamente tutti, dai giornalisti più importanti quali Franco Cipriani, Antonio La Tella e Franco Liconti, ai politici più in vista. Mons. Zoccali non mancava mai, il suo tono di voce ed il suo aspetto erano inconfondibili e sono bene impressi nella mia memoria dopo quasi cinquant’anni. Ai più appariva burbero ma a me, che passavo già allora il mio tempo libero tra la carta stampata, dedicava sempre un sorriso e, soprattutto, un graditissimo regalo: ancora oggi conservo i francobolli e le “buste di prima emissione” del Vaticano che impreziosiscono la mia collezione filatelica, il cui avvio fu esclusivamente merito suo.
Franco Arcidiaco
venerdì 18 marzo 2011
CULTURA DELLA LEGALITA' E SVILUPPO DELLA CALABRIA
Il problema della legalità in Calabria, e nel resto del Meridione, è strettamente correlato a quello del tasso di educazione civica della cittadinanza. E’ inutile girare attorno al problema: la stragrande maggioranza della popolazione meridionale non è assolutamente incline a rispettare le più elementari regole del vivere civile. Mettetevi in macchina o in treno da Roma in direzione Sud e guardatevi attorno: il paesaggio è completamente devastato; discariche abusive ad ogni angolo, ecomostri lungo le coste e sulle colline, facciate dei palazzi grigie e degradate, terrazze con i ferri arrugginiti che aspettano con pazienza la costruzione dell’ennesimo piano naturalmente abusivo, erbacce e vegetazione incolta come unico esempio di verde pubblico, automobili posteggiate in modo selvaggio, isole pedonali e piste ciclabili inesistenti e barriere architettoniche insormontabile incubo per i disabili. E’ evidente che questo stato di cose è il terreno di coltura ideale per il proliferare delle attività della criminalità organizzata; i brillanti successi degli investigatori, che sempre più frequentemente arricchiscono il loro palmarés con l’arresto di pericolosi latitanti, servono a ben poco se non vanno di pari passo con la lotta per l’affermazione della legalità quotidiana sul nostro territorio. Quando, un paio di decenni fa, l’allora sindaco di New York, Rudolph Giuliani decise di rendere vivibile e sicura la metropoli, in brevissimo tempo, attuando la famosa politica della “tolleranza zero”, riuscì brillantemente in quella che sembrava una missione impossibile.
Questa politica deriva dalla cosiddetta teoria “Delle finestre rotte” formulata nel 1982 dai criminologi James Q. Wilson e George Kelling, che prevede che se le persone si abituano a vedere una finestra rotta, in seguito si abitueranno anche a vederne rompere altre e a vivere in un ambiente devastato senza reagire: riparando la finestra ci si abitua al rispetto della legalità. Ecco oggi il meridione, e la nostra Calabria in particolar modo, hanno bisogno di una politica che abbia il coraggio di attuare la “tolleranza zero”, mettendo da parte quella pruderie di matrice liberal-cattolica che tanti danni ha provocato al nostro Paese nel dopoguerra. Nella nostra Regione (e quasi sempre nella provincia di Reggio) tutte le notti vengono bruciate in media cinque autovetture; considerato che sono senz’altro da escludere fenomeni di autocombustione, significa che ormai in Calabria vengono risolte con questo simpatico ed innovativo sistema le piccole controversie della vita quotidiana; di questi duemila attentati incendiari annui, nessuno si preoccupa di venirne mai a capo, nessuno si rende conto che costituiscono la chiave di lettura socio-antropologica della realtà calabrese. Anni addietro abbiamo addirittura dovuto ascoltare un Questore che non ha esitato a declassare il fenomeno a “fatto folkloristico”. E’ evidente, inoltre, che il ripristino della legalità deve passare obbligatoriamente, oltre che dall’apparato repressivo, dal lavoro educativo della famiglia e della scuola; ma qui entra in gioco l’altro grave problema che riguarda la preparazione e la sensibilità sull’argomento di genitori ed insegnanti; se un ragazzino vede i genitori buttare le carte dal finestrino della macchina e non sente parlare in casa della raccolta differenziata, non potrà mai diventare un buon cittadino; se la scuola non si fornisce degli strumenti per surrogare e/o integrare il ruolo della famiglia nell’educazione delle giovani generazioni e se i Comuni non si decidono ad attuare l’opportuna vigilanza sulle normali regole del vivere civile (dal parcheggio alla costruzione abusiva), il sistema della legalità quotidiana non si metterà mai in moto e la Calabria precipiterà, in modo sempre più irreversibile, in quel degrado che già oggi la contraddistingue drammaticamente dalle altre regioni d’Italia.
Bisogna soprattutto ripartire dall’ambiente per ritrovare il gusto del bello.
Si deve interrompere il circolo vizioso che vuole la Calabria sinonimo di degrado. Il territorio disseminato di ecomostri è la prova tangibile, la testimonianza più vergognosa dello sfruttamento selvaggio del territorio. E dietro tutto questo c’è invariabilmente la Calabria dei piccoli abusi edilizi tollerati da sempre, che, nell’assenza totale di interventi, ha finito per sfregiare irreparabilmente coste e montagne, colline e aree, cosiddette, protette. E’ stato calcolato che ogni 150 metri una cicatrice segna il territorio. Il paesaggio devastato è l’immagine emblematica della Calabria e non è valso a nulla lo spreco di milioni di euro in campagne pubblicitarie (prima fra tutte quella assurda di Oliviero Toscani). La favoletta della “vocazione turistica” è rimasta solo lo stanco leit-motiv di politici a corto di argomenti ed in mala fede; la Calabria, e le sue coste soprattutto, sono sempre state terra di nessuno. Da un versante all’altro del territorio il cemento ricopre e minaccia l’ambiente, e le bellezze naturali passano desolatamente in secondo piano. Le aree più degradate sono quelle di Soverato e del Golfo di Squillace (587 ecomostri) e la Foce del Torrente Gallico (845 ecomostri), nelle altre la densità è più bassa, ma il degrado è diffuso omogeneamente in tutto il territorio. Questa tragica situazione contrasta con il trionfalismo dei vari assessori regionali competenti per materia che negano la più elementare evidenza; tra questi non ho alcuna esitazione a includere i miei amici del centrosinistra che non si rassegnano ad ammettere che nel 2005 hanno preso in consegna una Regione dal territorio pesantemente devastato e nel 2010, alla fine della legislatura, ce l’hanno riconsegnata, né più né meno, che nelle stesse condizioni. In tutto questo sfacelo non si potrà mai affrontare seriamente un discorso di sviluppo turistico senza prima avere avviato una seria, determinata e risolutiva politica ambientale. Quello che ci ostiniamo a non capire, e su questo voglio sollecitare gli amici ambientalisti, è che la nostra regione è assolutamente la più disastrata tra tutte le pur disastrate regione del Sud, e questo per un semplice motivo che è sotto gli occhi di tutti: IL PAESAGGIO DEVASTATO. Le miriadi di costruzioni non finite che sorgono dappertutto e deturpano coste e colline hanno irrimediabilmente frantumato il sogno dello sviluppo turistico. Ma chi volete che venga ad impiantare un Club Mediterranée, un Valtur, un Hilton od uno Sheraton nel bel mezzo di quelle bidonville alla cui stregua abbiamo ridotto le nostre città ed i nostri paesi? Vogliamo capire una volta per tutte che, come disse con lungimiranza anni addietro il giudice Roberto Pennisi, la ‘ndrangheta infettando di illegalità tutti gli strati della società ha fatto sì che i cittadini, vivendo in un contesto ambientale disastrato, perdessero definitivamente il senso del vivere civile? Roberto Pennisi, attuale sostituto procuratore nazionale antimafia, nel 1995 dichiarò infatti, testualmente, ai giornalisti (vedi Laltrareggio n.52 di Marzo 1995): “Sino a quando questa città avrà l’aspetto esteriore di un centro abitato appena sottoposto a bombardamento, e non si capirà che ciò è stato voluto ed è voluto dalla ‘ndrangheta proprio perché anche guardandosi intorno il cittadino non avesse la sensazione di essere tale, né sentisse alcuno stimolo per diventarlo, ancora una volta dovremo ripetere di aver fallito”. Pennisi in quegli anni aveva portato alla sbarra le cosche più pericolose della piana di Gioia Tauro, in un processo che nell’autunno del 1997 finì col comminare decine e decine di ergastoli confermati in appello, fu inoltre il magistrato che nel 1992 fece scoppiare la tangentopoli reggina con il famoso scandalo delle fioriere che vide protagonista l’allora sindaco Agatino Licandro; nonostante questo palmarès allora si guadagnò da parte dei riggithani la patente di “nemico di Reggio” e molte furono le voci che si levarono per stigmatizzare le sue dichiarazioni; a distanza di tanti anni, purtroppo, non possiamo far altro che confermare le sue convinzioni e prendere atto che aveva, sin da allora, compreso la nostra realtà molto meglio di tutti i politici di ieri e di oggi. Monsignor GianCarlo Bregantini, che è un altro “non calabrese” che ha capito la nostra terra molto meglio di quanto non l’abbiano capita tutti i nostri politici messi assieme, ha scritto: “Il gusto del bello è la migliore forma di antimafia”. Ecco, noi il gusto del bello l’abbiamo definitivamente perduto, quindi le nostre speranze di sviluppo, almeno in direzione turistica, sono eguali a zero! Qualche anno fa si tenne a Copanello un convegno dei giovani industriali italiani, il tema era: “La bellezza salverà il Mezzogiorno?”. Il presidente dei Giovani industriali calabresi, il collega editore Florindo Rubbettino fu chiaro e diretto: “Nessuna società che si rispetti può rinunciare alla bellezza. Le nostre città tendono a diventare sempre più brutte. La politica non solo deve preservare, ma anche cercare il bello, educare al bello”; dello stesso avviso l’economista Massimo Lo Cicero: “Nel Mezzogiorno la bellezza è sciupata prima di essere colta” per finire con Santo Versace secondo cui: “Quello che ci manca è la bellezza della legalità”. Ed allora di cosa vogliamo parlare? Di vocazione turistica? Con questi presupposti lo sviluppo turistico rimarrà una mera illusione. Ci vorrebbe una rivoluzione, ma il tempo delle rivoluzioni, si sa, è definitivamente tramontato.
Prendiamo ad esempio la situazione attuale di Reggio: se una strada si ritrova piena di buche dopo pochi mesi dalla bitumazione, ci sarà pur qualcuno al Comune che dovrà chieder conto alla ditta responsabile dei lavori? E’ troppo chiedere che vengano alla luce le responsabilità (per errori od omissioni) di quanti, ditte appaltatrici o funzionari comunali, a vario titolo sono coinvolti in lavori pubblici che, volta per volta, si rivelano disastrosi e per nulla risolutori dei problemi che avrebbero dovuto affrontare in maniera definitiva? Le pagine dei giornali sono piene di lettere di cittadini che si lamentano per le voragini aperte sulle strade in ogni angolo della città, prima o poi qualcuno interverrà, sarà fatta la solita riparazione con conseguente spreco di denaro pubblico e dopo qualche mese il problema si ripresenterà, succede così da decenni nella generale indifferenza. La città è ridotta in condizioni pietose: strade e marciapiedi dissestati, facciate dei palazzi rustiche e quelle poche completate non in linea con il piano-colore, sporcizia dappertutto, caos e totale anarchia nel traffico automobilistico, assenza di polizia urbana sul territorio, opere pubbliche incomplete, mancanza di coordinamento tra le iniziative dei vari assessorati, troppi compari e comparelli beneficiati, spreco di denaro pubblico in iniziative a dir poco futili. Come abbiamo detto mille volte, si profonde il massimo impegno nella realizzazione di nuove opere, nelle grandi ristrutturazioni di quelle esistenti e non c’è nessuno che si preoccupi della manutenzione ordinaria. Perché invece di aprire decine di cantieri contemporaneamente, non si affrontano due o tre opere alla volta dedicando il resto delle energie alla manutenzione ed al decoro ordinario dell’esistente? Non credono i signori politici che si possa passare alla Storia anche senza tagliare un nastro ogni mese? E quando si decideranno a capire i nostri amministratori che l’unica variante ammissibile ai piani regolatori dei vari comuni, è la “Variante Caterpillar”? L’unico politico calabrese che ha avuto il coraggio di avviare un serio intervento di demolizioni è stato il sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza, ma la sua azione è stata contrastata e fermata anche da politici del suo stesso schieramento; demagogia e populismo vanno a braccetto con il clientelismo e una poltrona non la mette e rischio nessuno.
In questi giorni il governatore Giuseppe Scopelliti, dal quale sono lontano politicamente anni luce, ha rilanciato la sua proposta di liste "bloccate" alle prossime elezioni regionali, come strategia politica di contrasto alla criminalità organizzata e al voto di scambio. Il Governatore, forte del parere positivo espresso dalla Direzione nazionale antimafia nell'ultima relazione, ha dichiarato: «La Dna afferma che, per combattere le mafie, il sistema elettorale bloccato già in vigore alla Camera e al Senato, dovrebbe essere esteso alle regioni in cui è forte il radicamento mafioso, perché allontanerebbe la politica dalla mafia e la mafia dalla politica». A pagina 440 della relazione, in tema di legge elettorale, la Dna in riferimento al sistema per l'elezione dei parlamentari scrive che "la costituzione di collegi su base regionale e la designazione dei candidati da parte dei vertici nazionali dei partiti sono, in linea generale, strumenti che possono gravemente compromettere (se non annullare) l'interferenza mafiosa sul voto. Nessun gruppo criminale appare nello scenario del paese in grado di poter influire sull'esito della competizione politica a livello regionale e nessun condizionamento la legge elettorale consente di esercitare in favore di questo o quel candidato considerato avvicinabile o contiguo all'associazione". Un parere, quello della Dna, che ha rafforzato l’azione di Scopelliti, che ha dichiarato ancora: «…quando ho lanciato la proposta, prima ancora di portarla in Consiglio regionale con quattro anni e mezzo d'anticipo sulla scadenza elettorale, ho raccolto tanti no, alcuni ni, ma soprattutto qualche ironia. Siamo noi calabresi, attraverso un gioco di squadra a tutti i livelli, a dover condurre la battaglia contro la 'ndrangheta, perché abbiamo le potenzialità di sconfiggere la cultura della mafiosità».
Al di là delle motivazioni che possano aver spinto Scopelliti ad avviare questa iniziativa, sono convinto che rappresenta forse la prima vera concreta attività antindrangheta avviata da un governatore calabrese e quindi vada sostenuta da tutti i politici di buona volontà. Attendiamo fiduciosi che si avvii un dibattito sereno sull’argomento, anche se i segnali non sono affatto incoraggianti; i professionisti della retorica sono pronti a stracciarsi le vesti su un presunto atto di “democrazia negata” e non capiscono, o non vogliono capire, che la democrazia richiede maturità e questa maturità l’elettorato calabrese ha dimostrato di non averla raggiunta. Le liste bloccate porranno fine alla mortificante pratica del voto di scambio e libereranno i politici in buona fede dal giogo delle pressioni clientelari. A meno che qualcuno non creda ancora alla favoletta dell’elettore libero e consapevole, capace di individuare autonomamente tra le liste il candidato-paladino che porterà il buon governo nel suo collegio. Lo stato in cui versa oggi la Calabria non consente assolutamente di indugiare in moralismi e retorica; per tirare fuori la nostra regione dalle sabbie mobili dentro cui l’ha trascinata la mala-politica è necessaria una vera e propria guerra civile nel mondo della stessa politica e, come si sa, la guerra può causare anche vittime innocenti; ma quanti innocenti ci sono in circolazione tra i politici calabresi?
Franco Arcidiaco
Questa politica deriva dalla cosiddetta teoria “Delle finestre rotte” formulata nel 1982 dai criminologi James Q. Wilson e George Kelling, che prevede che se le persone si abituano a vedere una finestra rotta, in seguito si abitueranno anche a vederne rompere altre e a vivere in un ambiente devastato senza reagire: riparando la finestra ci si abitua al rispetto della legalità. Ecco oggi il meridione, e la nostra Calabria in particolar modo, hanno bisogno di una politica che abbia il coraggio di attuare la “tolleranza zero”, mettendo da parte quella pruderie di matrice liberal-cattolica che tanti danni ha provocato al nostro Paese nel dopoguerra. Nella nostra Regione (e quasi sempre nella provincia di Reggio) tutte le notti vengono bruciate in media cinque autovetture; considerato che sono senz’altro da escludere fenomeni di autocombustione, significa che ormai in Calabria vengono risolte con questo simpatico ed innovativo sistema le piccole controversie della vita quotidiana; di questi duemila attentati incendiari annui, nessuno si preoccupa di venirne mai a capo, nessuno si rende conto che costituiscono la chiave di lettura socio-antropologica della realtà calabrese. Anni addietro abbiamo addirittura dovuto ascoltare un Questore che non ha esitato a declassare il fenomeno a “fatto folkloristico”. E’ evidente, inoltre, che il ripristino della legalità deve passare obbligatoriamente, oltre che dall’apparato repressivo, dal lavoro educativo della famiglia e della scuola; ma qui entra in gioco l’altro grave problema che riguarda la preparazione e la sensibilità sull’argomento di genitori ed insegnanti; se un ragazzino vede i genitori buttare le carte dal finestrino della macchina e non sente parlare in casa della raccolta differenziata, non potrà mai diventare un buon cittadino; se la scuola non si fornisce degli strumenti per surrogare e/o integrare il ruolo della famiglia nell’educazione delle giovani generazioni e se i Comuni non si decidono ad attuare l’opportuna vigilanza sulle normali regole del vivere civile (dal parcheggio alla costruzione abusiva), il sistema della legalità quotidiana non si metterà mai in moto e la Calabria precipiterà, in modo sempre più irreversibile, in quel degrado che già oggi la contraddistingue drammaticamente dalle altre regioni d’Italia.
Bisogna soprattutto ripartire dall’ambiente per ritrovare il gusto del bello.
Si deve interrompere il circolo vizioso che vuole la Calabria sinonimo di degrado. Il territorio disseminato di ecomostri è la prova tangibile, la testimonianza più vergognosa dello sfruttamento selvaggio del territorio. E dietro tutto questo c’è invariabilmente la Calabria dei piccoli abusi edilizi tollerati da sempre, che, nell’assenza totale di interventi, ha finito per sfregiare irreparabilmente coste e montagne, colline e aree, cosiddette, protette. E’ stato calcolato che ogni 150 metri una cicatrice segna il territorio. Il paesaggio devastato è l’immagine emblematica della Calabria e non è valso a nulla lo spreco di milioni di euro in campagne pubblicitarie (prima fra tutte quella assurda di Oliviero Toscani). La favoletta della “vocazione turistica” è rimasta solo lo stanco leit-motiv di politici a corto di argomenti ed in mala fede; la Calabria, e le sue coste soprattutto, sono sempre state terra di nessuno. Da un versante all’altro del territorio il cemento ricopre e minaccia l’ambiente, e le bellezze naturali passano desolatamente in secondo piano. Le aree più degradate sono quelle di Soverato e del Golfo di Squillace (587 ecomostri) e la Foce del Torrente Gallico (845 ecomostri), nelle altre la densità è più bassa, ma il degrado è diffuso omogeneamente in tutto il territorio. Questa tragica situazione contrasta con il trionfalismo dei vari assessori regionali competenti per materia che negano la più elementare evidenza; tra questi non ho alcuna esitazione a includere i miei amici del centrosinistra che non si rassegnano ad ammettere che nel 2005 hanno preso in consegna una Regione dal territorio pesantemente devastato e nel 2010, alla fine della legislatura, ce l’hanno riconsegnata, né più né meno, che nelle stesse condizioni. In tutto questo sfacelo non si potrà mai affrontare seriamente un discorso di sviluppo turistico senza prima avere avviato una seria, determinata e risolutiva politica ambientale. Quello che ci ostiniamo a non capire, e su questo voglio sollecitare gli amici ambientalisti, è che la nostra regione è assolutamente la più disastrata tra tutte le pur disastrate regione del Sud, e questo per un semplice motivo che è sotto gli occhi di tutti: IL PAESAGGIO DEVASTATO. Le miriadi di costruzioni non finite che sorgono dappertutto e deturpano coste e colline hanno irrimediabilmente frantumato il sogno dello sviluppo turistico. Ma chi volete che venga ad impiantare un Club Mediterranée, un Valtur, un Hilton od uno Sheraton nel bel mezzo di quelle bidonville alla cui stregua abbiamo ridotto le nostre città ed i nostri paesi? Vogliamo capire una volta per tutte che, come disse con lungimiranza anni addietro il giudice Roberto Pennisi, la ‘ndrangheta infettando di illegalità tutti gli strati della società ha fatto sì che i cittadini, vivendo in un contesto ambientale disastrato, perdessero definitivamente il senso del vivere civile? Roberto Pennisi, attuale sostituto procuratore nazionale antimafia, nel 1995 dichiarò infatti, testualmente, ai giornalisti (vedi Laltrareggio n.52 di Marzo 1995): “Sino a quando questa città avrà l’aspetto esteriore di un centro abitato appena sottoposto a bombardamento, e non si capirà che ciò è stato voluto ed è voluto dalla ‘ndrangheta proprio perché anche guardandosi intorno il cittadino non avesse la sensazione di essere tale, né sentisse alcuno stimolo per diventarlo, ancora una volta dovremo ripetere di aver fallito”. Pennisi in quegli anni aveva portato alla sbarra le cosche più pericolose della piana di Gioia Tauro, in un processo che nell’autunno del 1997 finì col comminare decine e decine di ergastoli confermati in appello, fu inoltre il magistrato che nel 1992 fece scoppiare la tangentopoli reggina con il famoso scandalo delle fioriere che vide protagonista l’allora sindaco Agatino Licandro; nonostante questo palmarès allora si guadagnò da parte dei riggithani la patente di “nemico di Reggio” e molte furono le voci che si levarono per stigmatizzare le sue dichiarazioni; a distanza di tanti anni, purtroppo, non possiamo far altro che confermare le sue convinzioni e prendere atto che aveva, sin da allora, compreso la nostra realtà molto meglio di tutti i politici di ieri e di oggi. Monsignor GianCarlo Bregantini, che è un altro “non calabrese” che ha capito la nostra terra molto meglio di quanto non l’abbiano capita tutti i nostri politici messi assieme, ha scritto: “Il gusto del bello è la migliore forma di antimafia”. Ecco, noi il gusto del bello l’abbiamo definitivamente perduto, quindi le nostre speranze di sviluppo, almeno in direzione turistica, sono eguali a zero! Qualche anno fa si tenne a Copanello un convegno dei giovani industriali italiani, il tema era: “La bellezza salverà il Mezzogiorno?”. Il presidente dei Giovani industriali calabresi, il collega editore Florindo Rubbettino fu chiaro e diretto: “Nessuna società che si rispetti può rinunciare alla bellezza. Le nostre città tendono a diventare sempre più brutte. La politica non solo deve preservare, ma anche cercare il bello, educare al bello”; dello stesso avviso l’economista Massimo Lo Cicero: “Nel Mezzogiorno la bellezza è sciupata prima di essere colta” per finire con Santo Versace secondo cui: “Quello che ci manca è la bellezza della legalità”. Ed allora di cosa vogliamo parlare? Di vocazione turistica? Con questi presupposti lo sviluppo turistico rimarrà una mera illusione. Ci vorrebbe una rivoluzione, ma il tempo delle rivoluzioni, si sa, è definitivamente tramontato.
Prendiamo ad esempio la situazione attuale di Reggio: se una strada si ritrova piena di buche dopo pochi mesi dalla bitumazione, ci sarà pur qualcuno al Comune che dovrà chieder conto alla ditta responsabile dei lavori? E’ troppo chiedere che vengano alla luce le responsabilità (per errori od omissioni) di quanti, ditte appaltatrici o funzionari comunali, a vario titolo sono coinvolti in lavori pubblici che, volta per volta, si rivelano disastrosi e per nulla risolutori dei problemi che avrebbero dovuto affrontare in maniera definitiva? Le pagine dei giornali sono piene di lettere di cittadini che si lamentano per le voragini aperte sulle strade in ogni angolo della città, prima o poi qualcuno interverrà, sarà fatta la solita riparazione con conseguente spreco di denaro pubblico e dopo qualche mese il problema si ripresenterà, succede così da decenni nella generale indifferenza. La città è ridotta in condizioni pietose: strade e marciapiedi dissestati, facciate dei palazzi rustiche e quelle poche completate non in linea con il piano-colore, sporcizia dappertutto, caos e totale anarchia nel traffico automobilistico, assenza di polizia urbana sul territorio, opere pubbliche incomplete, mancanza di coordinamento tra le iniziative dei vari assessorati, troppi compari e comparelli beneficiati, spreco di denaro pubblico in iniziative a dir poco futili. Come abbiamo detto mille volte, si profonde il massimo impegno nella realizzazione di nuove opere, nelle grandi ristrutturazioni di quelle esistenti e non c’è nessuno che si preoccupi della manutenzione ordinaria. Perché invece di aprire decine di cantieri contemporaneamente, non si affrontano due o tre opere alla volta dedicando il resto delle energie alla manutenzione ed al decoro ordinario dell’esistente? Non credono i signori politici che si possa passare alla Storia anche senza tagliare un nastro ogni mese? E quando si decideranno a capire i nostri amministratori che l’unica variante ammissibile ai piani regolatori dei vari comuni, è la “Variante Caterpillar”? L’unico politico calabrese che ha avuto il coraggio di avviare un serio intervento di demolizioni è stato il sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza, ma la sua azione è stata contrastata e fermata anche da politici del suo stesso schieramento; demagogia e populismo vanno a braccetto con il clientelismo e una poltrona non la mette e rischio nessuno.
In questi giorni il governatore Giuseppe Scopelliti, dal quale sono lontano politicamente anni luce, ha rilanciato la sua proposta di liste "bloccate" alle prossime elezioni regionali, come strategia politica di contrasto alla criminalità organizzata e al voto di scambio. Il Governatore, forte del parere positivo espresso dalla Direzione nazionale antimafia nell'ultima relazione, ha dichiarato: «La Dna afferma che, per combattere le mafie, il sistema elettorale bloccato già in vigore alla Camera e al Senato, dovrebbe essere esteso alle regioni in cui è forte il radicamento mafioso, perché allontanerebbe la politica dalla mafia e la mafia dalla politica». A pagina 440 della relazione, in tema di legge elettorale, la Dna in riferimento al sistema per l'elezione dei parlamentari scrive che "la costituzione di collegi su base regionale e la designazione dei candidati da parte dei vertici nazionali dei partiti sono, in linea generale, strumenti che possono gravemente compromettere (se non annullare) l'interferenza mafiosa sul voto. Nessun gruppo criminale appare nello scenario del paese in grado di poter influire sull'esito della competizione politica a livello regionale e nessun condizionamento la legge elettorale consente di esercitare in favore di questo o quel candidato considerato avvicinabile o contiguo all'associazione". Un parere, quello della Dna, che ha rafforzato l’azione di Scopelliti, che ha dichiarato ancora: «…quando ho lanciato la proposta, prima ancora di portarla in Consiglio regionale con quattro anni e mezzo d'anticipo sulla scadenza elettorale, ho raccolto tanti no, alcuni ni, ma soprattutto qualche ironia. Siamo noi calabresi, attraverso un gioco di squadra a tutti i livelli, a dover condurre la battaglia contro la 'ndrangheta, perché abbiamo le potenzialità di sconfiggere la cultura della mafiosità».
Al di là delle motivazioni che possano aver spinto Scopelliti ad avviare questa iniziativa, sono convinto che rappresenta forse la prima vera concreta attività antindrangheta avviata da un governatore calabrese e quindi vada sostenuta da tutti i politici di buona volontà. Attendiamo fiduciosi che si avvii un dibattito sereno sull’argomento, anche se i segnali non sono affatto incoraggianti; i professionisti della retorica sono pronti a stracciarsi le vesti su un presunto atto di “democrazia negata” e non capiscono, o non vogliono capire, che la democrazia richiede maturità e questa maturità l’elettorato calabrese ha dimostrato di non averla raggiunta. Le liste bloccate porranno fine alla mortificante pratica del voto di scambio e libereranno i politici in buona fede dal giogo delle pressioni clientelari. A meno che qualcuno non creda ancora alla favoletta dell’elettore libero e consapevole, capace di individuare autonomamente tra le liste il candidato-paladino che porterà il buon governo nel suo collegio. Lo stato in cui versa oggi la Calabria non consente assolutamente di indugiare in moralismi e retorica; per tirare fuori la nostra regione dalle sabbie mobili dentro cui l’ha trascinata la mala-politica è necessaria una vera e propria guerra civile nel mondo della stessa politica e, come si sa, la guerra può causare anche vittime innocenti; ma quanti innocenti ci sono in circolazione tra i politici calabresi?
Franco Arcidiaco
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