L’ultima balla di Berlusconi & C. prefigura per reggini e messinesi un futuro da barboni, centinaia di migliaia di persone costrette a passare il resto della propria vita sotto un ponte; con la prospettiva, come ha autorevolmente ammonito il geologo del CNR Mario Tozzi, di godere della meravigliosa struttura (sicuramente antisismica) dall’interno di due immense aree cimiteriali (tali sono destinate a diventare Reggio e Messina senza un seria programmazione antisismica).
Ponte o case antisisma? La domanda non è peregrina se rivolta agli amministratori di due città che hanno sicuramente problemi più urgenti. Non è necessario essere dei grandi strateghi per capire che il rapporto costi-benefici è largamente sfavorevole e che il ponte potrebbe essere deleterio in caso di sisma, anche in considerazione del fatto che si distoglierebbero fondi ingenti per la sua costruzione e ciò costituirebbe una grave colpa in caso di catastrofi naturali. A ciò si aggiunga la preoccupazione per l'ambiente, che è il capitale più prezioso e deperibile del nostro Paese: nessuna valutazione d’impatto ambientale è stata allegata al progetto (i progettisti ne hanno presentata una ma poi l´hanno ritirata a causa della sua inadeguatezza). Tralasciando l'aspetto economico (su cui molti hanno già scritto mettendo in luce che l'opera non sarà mai in grado di remunerare il capitale investito) e quello politico (la schiacciante maggioranza di cui dispone Berlusconi si traduce, inevitabilmente, in consenso verso il Ponte), da un punto di vista geologico i dubbi sono parecchi. Alcuni geologi temono che il rischio di costruire una struttura del genere nella zona a più elevata sismicità del Mediterraneo sia sufficientemente alto. Reggerà al terremoto prossimo venturo un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter sulla base del sisma di Messina e Reggio del 1908, visto che - non essendoci al tempo rilevamenti strumentali adatti - si può trattare di una stima approssimativa e che, quindi, quello futuro potrebbe essere di magnitudo più elevata? Va inoltre ricordato che il ponte risulta efficacemente difeso da un terremoto 7,1 Richter solo una volta interamente realizzato: nulla è assicurato per le fasi costruttive, durante le quali le strutture sarebbero assolutamente vulnerabili. Ma a cosa servirebbe un ponte che rimane in piedi se il terremoto è veramente "solo" 7,1 Richter? Invece di unire due future aree cimiteriali non sarebbe meglio spendere prima quelli e altri fondi (pubblici e privati, occupazione e profitti, sarebbero comparabili) nella ristrutturazione di città che hanno solo il 20 per cento di costruzioni antisismiche? La Sicilia nord-orientale e la Calabria meridionale sono notoriamente le regioni a più alto rischio dell'intero Mediterraneo.
Ma prima di scampare al prossimo terremoto, il ponte va costruito e per farlo bisogna prima di tutto impiantare, a oltre 50 metri di profondità, due piloni alti quasi 400 metri (più dell'Empire State Building) per un totale di oltre 500.000 metri cubi di cemento. Per fabbricare tutto quel cemento è necessario l'approvvigionamento di calcari, ciò significa aprire decine di nuove cave nell'area dello stretto con sfregio ambientale irreversibile di colline e versanti, fino allo stravolgimento vero e proprio del rilievo esistente. Nello scavare le due fosse si tirerebbero fuori oltre 8 milioni di metri cubi di terra, sabbia, ghiaia e detriti rocciosi che andrebbero comunque trattati. Lo scavo altererebbe completamente ogni equilibrio idrogeologico delle aree di appoggio, ivi compreso il prosciugamento del lago Ganzirri (nel Messinese) e la Costa Viola (nel Reggino), aree già normalmente interessate da frane. In questi casi è lecito domandarsi se la messa in sicurezza (naturalistica) del territorio non dovrebbe venire prima della costruzione di qualsiasi opera.
Ci sono infine i dati geodinamici recentemente messi in luce dall' ENEA (ma da altri contestati), che indicano un allontanamento tra le sponde di un centimetro all´anno e un sollevamento verticale differenziale della costa calabrese rispetto a quella sicula: problemi che, come minimo, comporteranno un incremento di spesa.
Insomma, non esiste oggi una persona di buon senso e in buona fede (non parliamo evidentemente di Ciucci, nomen omen…) che possa ancora credere alla favoletta del Ponte, figuratevi che finanche quello che è stato per anni il coordinatore del comitato tecnico-scientifico del progetto Ponte, il prof. Remo Calzona ha finito con l’esprimere di recente grandissimi dubbi sulla costruibilità. Ma se ancora dovesse esservi rimasto qualche dubbio, cari amici strilloni, eccovi la ciliegina sulla torta, sotto forma di ingenua domanda: ma, prima di costruire, non bisogna espropriare le aree interessate? Bene, ascoltate in proposito cosa dice il prof. Alberto Ziparo, nostro concittadino docente dell’Università di Firenze e coordinatore degli studi sull’impatto ambientale del Ponte sullo Stretto: “ Gli espropri di cui si parla nella delibera con cui il CIPE ha dato il via libera al manufatto, non riguardano le opere del Ponte ma interventi, definiti collaterali, che in realtà interessano opere di sistemazione stradale e ferroviaria nei comuni di Villa San Giovanni e Messina, già decise e da realizzare a prescindere dal Ponte. Gli espropri delle strutture relative al manufatto, infatti, non possono essere eseguiti prima dell’approvazione del progetto definitivo.”
A questo punto la domanda sorge spontanea: ma chi credono di prendere in giro? Ma lo sanno che nell’area di Ganzirri e Torre Faro sorgono, oltre a migliaia di abitazioni ed esercizi commerciali, un paio di centinaia di ville megagalattiche di proprietà di tutto il notabilato messinese? E tra Villa e Cannitello, avete idea di quello che significa espropriare e traslocare centinaia di famiglie? Ma vi rendete conto che basta il minimo ricorso del proprietario di un pollaio per bloccare l’esproprio per anni? Qualcuno ricorda la vicenda dell’abbaino che ha bloccato per decenni lo sviluppo dell’aeroporto di Reggio?
E per finire, perché nessuno tira fuori quello studio commissionato un paio di anni fa dal Comune di Messina (e subito secretato), che stabiliva che un buon 50% del territorio comunale sarebbe interessato permanentemente dalla proiezione dell’ombra del manufatto rimanendo perennemente in penombra?
Ci sarebbe poi ancora da parlare dell’effettiva utilità per i pendolari reggini e messinesi, vi dico solo che, pedaggio a parte, dal centro di Reggio per raggiungere il centro di Messina ci saranno da percorrere una cinquantina di km, a meno che qualcuno non pensi di raggiungere la quota di 180 metri con una rampa unica.
Comunque, conoscendo il soggetto, non ho alcun dubbio che il Caimano a breve si rechi tra le nostre povere sponde a posare la prima pietra, stia pur certo che quel giorno saremo in tanti disposti a ritirargliela in testa!
Franco Arcidiaco
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