La storia di Guido Crucitti attiene alla sfera della passione civile e del senso civico come ragione di vita. Il giornalista Bruno Gemelli, nel suo bel libro “Calabria una regione normale”, con un azzeccato calembour lo definisce: Il Barbiere della sera, ed auspica che la sua produzione di migliaia di lettere al direttore “valga una tessera di pubblicista honoris causa”.
In realtà Crucitti è stato a tutti gli effetti un giornalista freelance ante litteram e per anni ha alimentato le spesso asfittiche pagine dei quotidiani e periodici locali, con le sue denunce pertinenti, puntuali e circostanziate. Per oltre un decennio, la vicenda di Guido Crucitti si è strettamente intrecciata con quella del mio giornale laltrareggio, nel quale i suoi articoli occupavano due intere pagine in una rubrica intitolata “Occhio al degrado”. Le sue buste gialle, contenenti la lettera dattiloscritta e due o tre foto a colori, apparivano misteriosamente nella buca delle lettere di primo mattino; era lui stesso che la mattina, prima di aprire bottega, faceva il giro delle redazioni cittadine per recapitare le sue denunce. Ancora oggi conserviamo in redazione due interi schedari stipati delle sue foto, preziosa e tragica testimonianza di una città che ha avuto sempre nel degrado il suo segno distintivo. Il lavoro di Guido Crucitti, duole dirlo, andava a colmare il vuoto che nelle pagine dei giornali era, ed è ancora, costituito dall’assenza della figura del reporter; di quella figura, cioè, che in special modo nel giornalismo anglosassone, aveva il compito di perlustrare la città angolo per angolo al fine di raccogliere le lamentele dei cittadini e riportarle, documentate, sulle pagine del giornale. Oggi, sappiamo bene, che le redazioni dei giornali girano attorno al famigerato desk e a un telefono cellulare; gli articoli vengono confezionati attingendo copiosamente al mare magnum di internet ed i giornalisti escono solo per seguire le conferenze stampa ed i convegni di maggior rilievo. Pensate che addirittura lo storico giornale della capitale, Il Messaggero, è arrivato a istituire una rubrica in prima pagina, alimentata esclusivamente dagli sms inviati dai lettori, denominata “Dillo al Messaggero”.
Guido Crucitti era un maestro di quella che Enrico Deaglio, nel suo “Diario”, definisce “L’inchiesta vecchio stile”: focalizzare un problema, documentarlo fotograficamente e con testimonianze, scavare le cause che lo hanno determinato, denunciarlo senza esitazione all’opinione pubblica e alle autorità. Ma lui si spingeva oltre: indicava anche le soluzioni dei problemi che, a volta, potevano anche apparire ingenue ma sortivano comunque l’effetto di attirare l’attenzione dei politici disattenti o indolenti. Sempre Bruno Gemelli, nel suo libro sopra citato, riporta un’intervista concessa da Crucitti a Il Domani il 18 giugno del 2003, nella quale racconta testualmente: “Sono diventato cittadino di questa città nel 1976 in occasione di un fatto che da banale è diventato ragione della mia vita. Un giorno ero davanti alla porta del salone quando ho notato di fronte un muro lesionato che poteva rappresentare un pericolo per i passanti. Ho commentato ad alta voce imprecando contro i responsabili di quella situazione e chiamandoli stronzi. Un signore che mi era accanto mi fece notare che eravamo tutti stronzi, dal momento che ci lamentavamo a parole senza poi fare nulla. Ho riflettuto molto e da quel momento sono diventato un cittadino che si cura delle cose che lo circondano. ...Per prima cosa ho pensato che chi vuole interessarsi della collettività deve documentarsi, conoscere, informarsi. …Se ognuno di noi facesse la sua parte… chi si cura solo del proprio orticello e ignora il sociale, quello che ci circonda, è una persona mutilata.”
La grande lezione di Guido Crucitti, vero reporter civico, sta tutta nell’incipit di questa intervista, Guido sostiene di essere diventato cittadino di questa città solo nel 1976, quando cioè ha preso coscienza del ruolo primario che la civiltà ha assegnato all’ “homo civicus”, quella di rivestire i panni di Don Chisciotte del bene comune (vien da chiedersi quanti cittadini annoveri la nostra città…)
L’"homo civicus" è l'uomo libero e impegnato nella ragionevole follia della difesa dei beni comuni, di cui parla Franco Cassano in un saggio pubblicato dalla casa editrice Dedalo. "L'homo civicus - ci dice Cassano - è un'idea più alta di responsabilità, e la sua critica non muove da banali semplificazioni, sa bene che è molto difficile costruire l'autogoverno degli uomini, ma ha deciso di provarci, di provare ad associare le persone aristocratiche ai più deboli, evitando che si facciano cooptare dai più forti. La cittadinanza è un gioco sottile e complesso, un gioco in salita, che tematizza continuamente la propria imperfezione, il più alto tra quelli prodotti dall'Occidente. Un gioco che si può custodire solo praticandolo, rinunciando a sottrarsi alla fatica che esso richiede".
Di contro, "l'homo emptor (l'uomo compratore, corruttore) è l'infrastruttura su cui oggi si regge il regno trionfante dell'individualismo radicale, del cosmopolitismo utilitarista, dei diritti senza doveri. A questo individualismo rattrappito ed eterodiretto l'homo civicus costituisce l'unica risposta non oppressiva, l'unica risposta che permette di ritrovare la comunità senza perdere la libertà. Tale risposta, infatti, non può venire dallo Stato etico, dall'imposizione autoritaria del bene comune, né dal ritorno di una comunità che rinchiude l'individuo nel muro levigato e senza sporgenze di un'identità collettiva, ma solo dall'homo civicus, che costituisce la forma più alta in cui la comunità può vivere nella società democratica".
Franco Cassano molto probabilmente non ha mai conosciuto Guido Crucitti, ma il suo “homo civicus” calza a pennello sulla figura del nostro “Barbiere della sera”.
Franco Arcidiaco
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