Tra le tante cose che mi legano a Dante Maffia non ultima è l’attrazione fatale per Matera e i Sassi. Immaginate, pertanto, con quale entusiasmo ho accolto questo suo recente poemetto, “Elegie materane”, che è l’ennesima dimostrazione del livello elevatissimo raggiunto dal grande poeta e narratore jonico; Carmine Chiodo lo annovera tra i sommi del Parnaso senza esitazione alcuna. Lo scorso dicembre a Roma, durante la presentazione a Più Libri Più Liberi, Dante ha letto personalmente molti versi coinvolgendo ed emozionando il folto pubblico e i critici presenti con accenti di travolgente intensità (tra i critici, oltre a Chiodo c’erano Cristiana Lardo, Francesca Vannucchi e Giorgio Taffon). La mitica Matera, col suo sapore ancestrale, costituisce l’ideale scenario elegiaco per l’eloquio lirico di Maffia. Il poeta vive in uno stato di permanente e completa libertà, guidato e protetto dalla sua Musa invincibile; si può permettere così di investire della sua furia Dio in persona, colpevole di non favorire il trionfo dell’amore e della bellezza, rivendicando con veemenza il primato della Poesia (“…ma avevo stabilito all’origine/ la precedenza dei poeti sulla bellezza”; “Ma devi dirmi che cos’è l’amore,/ non puoi sempre giocare o lasciar correre,…”). L’amore del poeta per la città-donna è sconfinato e grande è il suo terrore di perderla o, peggio, di vederla trasfigurarsi in direzione di un progressivo snaturamento; (“Matera è innocente, non merita lo scandalo del guaire,/la dispersione della sua storia. Il suo passato/ deve restare a vegliare la rincorsa/ e non nascondersi dietro angoli bui”). Dio non può chiamarsi fuori e Maffia è pronto a stigmatizzare il tranello del libero arbitrio: “Non l’hai creata Tu. Tu quando decidesti/ d’interrompere il silenzio millenario che ormai debordava/ per i campi del cielo e dentro le stoviglie della Tua mensa,/ affidasti all’uomo e alla donna il compito/ di concepire. Tu non hai concepito, non hai avuto azione/ per la sua venuta. O invece tutto è finzione/ e si ritorna sempre al medesimo guasto/ del libero arbitrio?”; e ancora: “Smetti di comportarti da padrone, d’aggrovigliarti nei simboli,/ cadere a peso morto nel bicchiere/ d’un qualsiasi avventore notturno che tracanna/cognac in piena notte.”, “…E ricordaTi che io amo diversamente da Te,/ che le mie cicatrici non sono guaribili,…”.
Il canto d’amore di Dante Maffia raggiunge vette sublimi quando evoca le suggestioni intrinseche al suo luogo natio: “Amare, amare, ci resta solo amare/ e non al modo in cui amano le tenebre/ abbracciando in un solo gesto sogno e realtà;/ amare, amare come amano le rose/ mentre sbocciano e mandano al cielo l’aroma sublime/ della loro frenesia; amare come si amano il mare e i fondali/ dello Jonio in continua lotta, abbracciati indissolubilmente./ Io l’amo così, io sono il fondale, lei le onde”.
Il linguaggio sempre più immaginifico di Dante regala versi destinati all’immortalità: “Quale la formula per riconoscere le albe dai tramonti?”, “Non siate certi della vittoria. Una battaglia non è la conclusione/ e il coro resti compatto a cantare in tutte le chiese.”, “Correre verso il baratro rinnova le tensioni,/ aggiusta il brivido coi colori della dissolvenza.”, “Dimmi tutte le bugie necessarie/ perch’io resti impigliato nelle barbarie luminose/ del Dubbio. E non spingermi sul vuoto, le vertigini/ hanno preso il sopravvento.”, “Misteriosi enigmi che diventano incestuosi dilemmi/ della luce e delle tenebre che fingono d’essere in lotta.”
Ma non è solo Dio a deludere il Poeta sconsolato, egli non intravede altresì soluzione terrena: “Le teorie sono alla deriva./ All’erta c’è chi geme/ sopra libri funesti, in ingorghi di postille e si dispera./ Non ci sono luoghi privilegiati/ per sfuggire alla tempesta delle metafore”.
In tale contesto nemmeno la natura riesce a delineare al poeta un quadro consolatorio, al punto che è costretto a registrare “l’assurda metamorfosi delle falene che non conoscono la prassi”, “le infingarde astensioni delle farfalle che non sanno più scegliere/ la stagione del canto e quella della morte” oppure “il mistero del maturo connubio di edere assatanate”.
Dove riporre la speranza allora? Dante non ha dubbi, sono i giovani la speranza. I giovani che “affermano la vita e basta,/ magari con intemperanze, ma sono nella vita,…”, quella vita che abbonda nella città di Matera “Matera ne ha tanta! Lei ne ha tanta” e il futuro è esclusivamente nelle sue mani.
Franco Arcidiaco
Dante Maffia, Elegie materane, Lepisma edizioni, 2016, pagg. 120, € 12,99
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