Se c'è ancora qualcuno che non crede al valore degli ebook, questo libro è fatto apposta per fargli cambiare idea. Parlo del "Dizionario delle cose perdute" di Francesco Guccini edito da Mondadori nella paracula collana denominata "libellule". Il libro ha una veste grafica eccezionalmente intrigante, riprende il logo di un pacchetto di sigarette in voga negli anni '60 (le "Nazionali Esportazioni") e sprigiona un fascino vintage irresistibile per quelli come me, che Camilleri definirebbe "sessantini". L'ho individuato subito in libreria e l'ho portato alla cassa come un automa, senza nemmeno sfogliarlo e/o annusarlo. Centoquaranta pagine di ricordi scritti con uno stile da "blogghista" di provincia, dove solo raramente s'intravede il magnifico estro gucciniano. Probabilmente il maestro ha tenuto troppo a lungo nel cassetto l'ideona e poi l'ha fatta pubblicare in fretta e furia quando si ė reso conto che, come minimo, gliela avevano già rubata un paio di migliaia di persone. A fine lettura ti ritrovi in mano un bell'oggetto che ti è costato dieci euro ma che fatichi a ritener degno di essere ospitato tra gli scaffali della tua biblioteca, avresti fatto meglio ad acquistarlo in formato ebook, spendendo la metà della cifra, te lo ritroveresti sempre sottomano pronto da spiluccare in caso di attacco di irrefrenabile nostalgia senile. Il libro, come dice lo stesso autore è fatto per quelli che "...oggi, non tanto più sereni ma, diciamo, distaccati, vogliamo voltarci indietro e riguardare con affettuosa rimembranza a tante piccole cose che abbiamo incontrato e che, come tante altre cose andate, più che andarsene ci sono volate via." Nei vari capitoli, Guccini sciorina tutta una serie di episodi di vita vissuta, contrassegnati dalla presenza di oggetti ormai scomparsi e di modi di fare conseguenti al loro utilizzo che, inevitabilmente, finiscono per scatenare in chi legge (oltre a prevedibili tempeste emotive) cascate di frammenti mnemonici col rischio della deriva patetica sempre in agguato. Qual è il senso di un'operazione editoriale del genere? Diciamo subito che, fatta dal principale editore italiano, è paradigmatica dello stato in cui versa l'editoria nazionale. I bestseller di oggi sono confezionati in laboratorio dagli Editor delle principali case editrici. Fino a qualche anno addietro in Italia il grande bestseller appariva imprevedibile, contrariamente a quanto succedeva nel mondo anglosassone dove gli "ingegneri di storie" costruivano con grande abilità successi un po´ tutti uguali. Si pensi ai bestselleristi "seriali", come Wilbur Smith, Tom Clancy, Stephen King o, addirittura, a quelli "postumi", come Robert Ludlum, che, anche da morto, ogni anno piombava in classifica con un nuovo libro. In Italia, diciamo da Camilleri in poi, si è scoperto l'arcano e le squadre di ghostwriter italiane si sono via via sempre più infoltite e specializzate. Camilleri prima, Faletti poi e quindi, ciliegina sulla torta, Gomorra, hanno segnato il nuovo corso dell'editoria commerciale italiana. Oggi il prodotto-libro è un oggettino perfetto fatto apposta per non sfigurare negli scaffali di quei caotici bazar che sono diventate le grandi librerie italiane. Provate a entrare in una delle nuove Feltrinelli delle grandi stazioni e vi troverete nel punto di arrivo della parabola culturale della sinistra italiana: dal traliccio di Segrate, dove trovò la morte il rivoluzionario-romantico-sognatore Giangiacomo, il capostipite, al vortice consumistico in cui è precipitata la sua creatura per mano dei suoi avidi eredi. Oggi le Feltrinelli rifiutano i libri degli editori indipendenti italiani e non accettano più le riviste alternative, alle quali un tempo dedicavano un'intera sezione delle librerie; in compenso ospitano in prima fila, oltre a tutta la paccottiglia di cui sopra e a gadget di ogni tipo, i frutti di quella squallida operazione di onanismo editoriale inventata dal gruppo "Repubblica-L'Espresso" (a proposito di degenerazione della Sinistra...) che risponde al nome de "Il mio libro.it". Schiere di improbabili scrittori-poeti-saggisti si ritrovano tra gli scaffali delle Feltrinelli con libri auto pubblicati (e auto pagati) in un delirio narcisistico e non si rendono conto di essere vittime di una delle più squallide operazioni commerciali partorite da questo agonizzante scorcio di post capitalismo. Nel frattempo i piccoli e medi editori, che ancora si ostinano a pubblicare libri di qualità e a coltivare un rapporto corretto e paritario con gli autori, annaspano tra le maglie di una distribuzione soffocante e monopolista. Dispiace che in questo meccanismo sia rimasto incastrato anche un guru come Francesco Guccini. Il suo "Dizionario" è stato preceduto, qualche anno addietro, dal "Mi ricordo" di Matteo B. Bianchi (2004) che a sua volta aveva mutuato le idee dell'americano Joe Brainard ("I remember", 1970) e del francese Georges Perec ("Je me souvien",1978), libri che altro non sono che un elenco di ricordi, senza un ordine preciso, né logica. Tuffi nella memoria individuale di chi scrive, che offre al lettore uno specchio nel quale ritrovare abitudini, oggetti, personaggi e luoghi sepolti nel tempo. Io stesso ho nel cassetto, da oltre dieci anni, un lavoro del genere ma, non essendo Guccini, dubito di aver mai l'occasione di pubblicarlo, a meno che non decida di ricorrere prima o poi alla pratica onanistica suggerita dai compagni di "Repubblica" e alla quale ha ceduto di recente anche il vecchio amico Nando Minnella.
Francesco Guccini, Dizionario delle cose perdute
Mondadori 2012, Pagg. 144, euro 10,00
domenica 10 giugno 2012
NON C'ERA BISOGNO DI SCOMODARE GUCCINI...
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