domenica 1 maggio 2016

UN BLUFF DI NOME LORIANO MACCHIAVELLI

È raro che io interrompa la lettura di un libro; l'avevo comprato d'impulso, tradito dalla bellissima copertina e dall’attrazione che esercita su di me la collana di Einaudi "Stile libero". Ma mi sa che all'Einaudi hanno preso un po' troppo alla lettera questo concetto dello “Stile libero” che rischia di diventare un calderone nel quale farci entrare di tutto un po’…
Dicevo che è raro che io interrompa una lettura, convinto come sono che anche un pessimo libro possa nascondere un tesoro o rivelarti una verità, ma questo “Noi che gridammo al vento” mi ha fatto proprio innervosire, perché si tratta di una vera e propria occasione mancata. La strage di Portella della Ginestra è uno dei (purtroppo tanti) misteri d’Italia; la prima di quella che poi sarebbe diventata una lunga serie di “Stragi di Stato”, e non mi sembrava vero che qualcuno ci avesse messo finalmente mano, per tentare di squarciare un velo che ci impedisce di scorgere la verità. Ma quello che è successo in Italia dal dopoguerra alla fine degli anni ’80, ha una dimensione sovranazionale ed è parte integrante di quella Guerra Fredda che aveva come unico obiettivo la destabilizzazione dell’Unione Sovietica e il blocco della diffusione delle idee comuniste nel mondo. L’obiettivo è stato raggiunto ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Questo inutile e patetico lavoro di Macchiavelli mi ricorda quell’altrettanto deludente (ma in quel caso c’erano in più ipocrisia e malafede) promessa di Massimo D’Alema di “aprire gli armadi del Viminale” per rivelare i segreti delle Stragi di Stato. I faldoni custoditi negli armadi si rivelarono tragicamente vuoti e l’illusione della verità si volatilizzò di colpo; D’Alema pagò cara quell’incauta mossa, gli americani gli imposero una prova di fedeltà e lui andò allegramente a bombardare Belgrado, distruggendo definitivamente quello che restava della Sinistra italiana.
Ma questo libro di Macchiavelli non è solo un’occasione mancata, è anche e soprattutto la dimostrazione di cosa non dovrebbe essere un libro che, per giunta, ha anche la pretesa di lavorare sul terreno della ricostruzione storica; siamo al cospetto di un lavoro pretenzioso, confusionario e inconsistente. Un pasticcio di generi senza costrutto, intriso di banalità e frasi fatte a profusione. Sullo stile e la scrittura stendo un altro velo pietoso, basti dire che non c’è un solo tempo di verbo azzeccato. Povera Einaudi!

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