Il mio amico Tonino Nocera, fine e appassionato studioso della cultura ebraica, si è assunto l’ingrato compito di ripristinare il mio rapporto con il mondo yiddish, fortemente compromesso dalla politica imperialista dello stato di Israele e dalla persecuzione inflitta al popolo Palestinese. Sappiamo tutti quanto sia subdola la tendenza a confondere l’antisionismo con l’antisemitismo, al fine di bollare con quest’ultimo infamante epiteto tutti coloro che non condividono la politica estera israeliana. Io ho sempre rivendicato la mia posizione antisionista ma non mi ha mai minimamente sfiorato alcun sentimento antisemita. Anzi sono fortemente attratto dalla cultura ebraica e non perdo occasione di accostarmisi, con tutto il rispetto e l’umiltà che richiede lo studio di un patrimonio così immenso e variegato. Quando Tonino mi ha fatto dono dello splendido libriccino “Yossl Rakover si rivolge a Dio” di Zvi Kolitz, ero appena rientrato da Roma dove, durante una cena in uno dei miei ristoranti preferiti della capitale, La taverna del Ghetto, ero stato letteralmente ghermito dal dipinto presente in una delle sale, raffigurante un rabbino che studia la Torah; il quadro, dal tono caravaggesco (richiama infatti in un certo senso il “San Gerolamo”), emana una spiritualità che ha turbato in modo insolito e direi imbarazzante il mio animo materialista. Non ho perso un attimo quindi a divorare le trenta serratissime pagine del testo e le sessanta dei due saggi a corredo; c’è da dire subito che il testo è un falso, Yossl Rakover non è mai esistito, siamo al cospetto pertanto di “Un testo bello e vero come solo la finzione può esserlo” per dirla con Emmanuel Levinas autore del bellissimo saggio che chiude il libro. Il documento sarebbe stato scritto durante le ultime ore della Resistenza nel ghetto di Varsavia, il narratore sarebbe stato testimone di ogni sorta di orrori e avrebbe perso in circostanze atroci tutti i suoi cari, compresi i piccoli figli. Negli ultimi istanti di vita raccoglie, a mo’ di testamento spirituale, i suoi ultimi pensieri e li trascrive su alcuni fogli che sigilla con cura in una piccola bottiglia, che sarebbe stata ritrovata dopo qualche tempo “tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane”. Ci troviamo in sostanza al cospetto di “un testo che supera l’autore”, come scrive Paul Badde nell’altro saggio che dovrebbe servire a raccontare la storia del testo e del suo vero autore, ma risulta mal scritto (o mal tradotto), confusionario e finisce coll’appesantire l’edizione (complimenti alla mitica Adelphi ed ai suoi editor…); chiunque l’abbia scritto , quando, dove e perché conta poco o nulla, si tratta di un testo straordinario che meritava un prefatore molto più serio di questo Paul Badde, che non riesce a frenare il suo anticomunismo viscerale, arrivando addirittura a mettere sullo stesso piano il presunto antisemitismo di Stalin e quello tragicamente reale di Hitler. Sentite invece le parole che usa il grande Levinas per commentare il passaggio in cui Yossl dichiara di amare la Legge delle sacre scritture più dello stesso Dio (ecco il fascino della Torah…): “Il testo dimostra come l’etica e l’ordine dei princìpi instaurino un rapporto personale degno di questo nome. Amare la Torah ancora più che Dio è per l’appunto accedere a un Dio personale contro il quale ci si può rivoltare, per il quale, cioè si può morire”. Questo straordinario concetto svela la grande modernità del pensiero ebraico e mi consegna una chiave di lettura (o un alibi, fate voi) per giustificare l’attrazione fatale che questa religione esercita su un ateo incallito e convinto come me. Sentite questo passaggio dell’invettiva di Yossl: “Non vi è cosa più intatta di un cuore spezzato, ha detto una volta un grande rabbino. E non vi è popolo più eletto di uno sempre colpito… Credo nel Dio d’Israele, anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui… Il mio rapporto con lui non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone, ma di un discepolo verso il suo maestro. Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacerò la verga che mi percuote. Io lo amo, ma amo di più la sua Legge, e continuerei a osservarla anche se perdessi la mia fiducia in lui. Dio significa religione, ma la sua Legge rappresenta un modello di vita, e quanto più moriamo in nome di quel modello di vita, tanto più esso diventa immortale”.
Sarà anche la fame di etica indotta dai tempi bui che stiamo vivendo, ma a me tutto ciò appare sublime!
Franco Arcidiaco
Zvi Kolitz, Yossl Rakover si rivolge a Dio
Adelphi, 1997 Pagine 98 Euro 7,50
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