giovedì 18 agosto 2022
PALMA DEL TRASH PER GIANNI RIOTTA
Deriva scatologica per il giornalismo italiano. Gianni Riotta conquista la palma del trash con un incredibile articolo dedicato all'intasamento del water della Casa Bianca. Se veramente ambisce al premio Pulitzer, Riotta non si può dire che non le stia provando tutte. Ispiratore delle liste di proscrizione dei "filo-putiniani", guerrafondaio, atlantista schierato con i Dem americani evidentemente ritiene di avere tutte le carte in regola. Trump è sempre stata la sua magnifica ossessione, lungi da me prendere le difese dell'ex-presidente USA, ma onestamente oggi sarebbe forse il caso di accendere meglio i riflettori sulle epiche gesta del suo successore Biden.
Riotta invece non trova di meglio che approfondire le indagini su dei documenti compromettenti che Trump avrebbe strappato e buttato nel water nell'intento di eliminarli. Se Riotta ha pensato di ripercorrere le orme di Bob Woodward e Carl Bernstein, creando questa versione trash del “Watergate”, più che al Pulitzer potrà ambire al Premio Ignobel, ha realizzato infatti la sceneggiatura di un B-movie che nemmeno Lino Banfi e Alvaro Vitali accetterebbero mai di interpetrare.
Della vicenda ne avrete già sentito parlare, il tutto nasce da due foto diffuse da Maggie Haberman giornalista del New York Times e della CNN, verosimilmente per promuovere l’imminente uscita del suo libro “Confidence Man”. La prima mostrerebbe il water di Trump alla Casa Bianca con dentro un fogliettino non risucchiato dallo sciacquone; l’altra è il frammento di uno scritto di Trump che sarebbe finito nella toilette dell’aereo presidenziale.
A qualunque persona di buon senso non può che apparire inverosimile sia la violabilità delle toilette di un presidente USA, che la circostanza di un personaggio come Trump che non abbia sempre a portata di mano un trita-documenti.
Sui social, che naturalmente si sono scatenati visto il tema pecoreccio, molti hanno fatto notare
che la qualità del battiscopa, la sporcizia nel pavimento e la vicinanza del muro al water suggerirebbero una foto scattata in un angusto e povero ambiente mentre la seconda foto contraddirebbe l’iniziale dichiarazione della Haberman secondo la quale le foto le sarebbero state consegnate da “alcuni collaboratori di Trump (costretti a) chiamare gli idraulici per riparare gli igienici intasati”.
Gianni Riotta (già membro italiano del “Gruppo alto livello dell’Unione Europea per la lotta alle fake news”) sulle pagine di Repubblica si lancia in un panegirico della “formidabile Maggie Haberman” con una chiosa surreale: “Le foto del bagno occluso da documenti ufficiali e il tentativo di Trump di cancellare la Storia entrano con prepotenza nella memoria”, rivelando che, secondo lui, la memoria di questa fase storica che stiamo vivendo troverà il massimo della sua rappresentazione in due foto di cessi intasati da minuscoli “pizzini”.
Per carità di patria, e per spirito di corpo della categoria alla quale appartengo, non vado oltre e lascio a voi la riflessione sullo stato del giornalismo globale.
domenica 7 agosto 2022
AI LETTORI DE LA RIVIERA
Rosario Condarcuri mi ha proposto la direzione ir-responsabile de La Riviera un paio di sere fa a Bova Marina, eravamo attorno al tavolo di un bar famoso per le granite ma, soprattutto, ci trovavamo nella piazza della chiesa dell’ultimo saluto a Pasquino Crupi.
A Rosario mi accomunano tante cose, ma penso che il principale punto di congiunzione sia l’ostinazione con la quale continuiamo a credere al ruolo fondamentale dell’editoria e della comunicazione in questa sgangherata società. Facciamo parte della categoria “editore puro” che, beninteso, non si riferisce a una condizione spirituale di innocenza o candore, ma semplicemente alla pervicacia con la quale assolviamo alla nostra missione di produrre una comunicazione scevra da asservimenti di qualsiasi natura. La follia consiste nella caparbietà con la quale da decenni continuiamo a considerare questa attività una possibile fonte di reddito per le nostre famiglie.
Quando, nell’agosto del 1990, ho fondato Laltrareggio mio padre, sul punto di diseredarmi, mi disse: “È arrivato il comandante del vascello pirata!”, miglior complimento non avrebbe potuto farmi, ma probabilmente non era questa la sua intenzione… Per lui, i giornali erano delle istituzioni a sé stanti e non concepiva nemmeno lontanamente l’idea della fanzine libera e fuori dagli schemi.
Sono passati tanti anni, quel vascello, ormai ormeggiato, osserva sornione l’evoluzione networkiana della sua attività, e io, nel frattempo, prendo al volo l’occasione che mi viene offerta di agguantare il timone di un altro vascello pirata o, per usare un’espressione di Pasquino, di una “goletta anarchica”. Rosario mi ha ricordato di quando qualcuno chiese al neo direttore de La Riviera, Pasquino Crupi, quale linea politica intendesse dare al giornale e lui rispose: “La Riviera è un giornale anarchico meridionalista e tale resterà!”.
Prima e dopo Pasquino Crupi tante mani si sono avvicendate al timone de La Riviera, ricordo per esempio Nicola Zitara e Pietro Melia, tutti direttori di straordinario livello compreso l’attuale Ilario Ammendolia che mi ha accettato fraternamente al suo fianco, lo ringrazio con orgoglio. Rosario Condarcuri, sapientemente, ha fatto della sua Riviera un “giornale grandi firme” e a breve sarà capace di stupirci ancora con una straordinaria nuova iniziativa in cantiere. Insomma, mi ritrovo circondato da tanti valorosi amici e colleghi e da un gruppo di giovani seri e volenterosi, meglio di così non potevo aspettarmi.
C’è una bellissima frase dello scrittore Haruki Murakami che mi piace ricordare e che credo racchiuda il senso più profondo dell’ormai lunga storia che lega La Riviera alla provincia reggina: “Ognuno lascia la sua impronta nel luogo che sente appartenergli di più”.
Ho sempre creduto nel ruolo importante, imprescindibile dell’informazione locale, come strumento per avere sempre il polso della situazione. Sono tanti quelli che guardano con sufficienza i magazine locali, sappiano che grande non è sinonimo di qualità.
In un Paese come il nostro che ha fatto della piccola impresa artigianale una cifra distintiva universalmente apprezzata, anche un organo di informazione locale può racchiudere un concentrato di qualità e innovazione esemplare.
Essere vicini al proprio territorio, interpretarne e spiegarne il vissuto quotidiano, non è roba da dilettanti o improvvisatori, richiede competenza, sensibilità e abnegazione.
La Riviera continuerà ad essere un giornale meridionalista ma non campanilista, attivo, vivo e curioso ma alieno da derive gossipare e da attacchi proditori; non rinunceremo mai alla nostra identità ma non abbiamo alcuna intenzione di farla prevalere con metodi prevaricatori.
Buon viaggio, dunque, a tutti noi e alla nostra Calabria.
PERCHÈ FU SCELTA HIROSHIMA
Nell’indifferenza generale e nel silenzio ipocrita e imbarazzato degli atlantisti di ogni risma, in questi giorni ricorre il tragico anniversario (77°) del bombardamento atomico, da parte degli americani, delle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki. Nelle anime belle che si stracciano le vesti per le minacce più o meno atomiche di quel cattivone di Putin, in prossimità di questo anniversario scatta regolarmente il processo di rimozione che tanto bene ha descritto Freud: “espellere o tenere lontano qualcosa di insopportabile dalla coscienza, evitando in tale modo il dispiacere”.
Nei giorni scorsi il Corriere della Sera, inopinatamente e forse con un sussulto di dignità, ha pubblicato un bellissimo articolo del fisico saggista Carlo Rovelli (L'occidente e l'ipocrisia, serve un nuovo soggetto politico, l'umanità di Carlo Rovelli, Corriere della Sera, 31 luglio 2022). Rovelli dice: “Mi unirei al coro contro il riconoscimento del Donbass che ha innescato la guerra ucraina, se aggiungessimo che ci siamo sbagliati riconoscendo Slovenia e Croazia, innescando la guerra civile Iugoslava. O per i bombardamenti su Kiev, dove la scusa era che Kiev massacrava il Donbass, se la Nato si impegnasse a non fare più nulla di simile, come ha fatto bombardando Belgrado, dove la scusa era che Belgrado massacrava il Kosovo. Mi unirei al coro contro la Russia che cerca di cambiare il regime di Kiev, se l'Occidente si impegnasse a non fare più la stessa cosa, come ha fatto abbattendo e destabilizzato governi democraticamente eletti dal Medio Oriente al Sud America, dal Cile all'Algeria, dall'Egitto alla Palestina. Mi unirei al coro che si commuove per i profughi ucraini, se si commuovesse anche per yemeniti, siriani, afghani e altri con pelle di tonalità diverse.
Ipocrisia senza limiti. I giornali gridano sulle politiche «imperiali» di Cina e Russia. Il lupo e l'agnello. La Cina non ha quasi soldati fuori dei suoi confini, se non in missioni Onu. La Russia ne ha a pochi chilometri, in Siria e Transnistria. Gli americani hanno centomila soldati in Europa, basi militari in Centro e Sud America, Africa, Asia, Pacifico, Giappone, Corea ovunque, eccetto in Ucraina dove stavano insediandosi. Hanno portaerei nel mare della Cina. Dalle coste cinesi si vedono navi da guerra Usa, non si vedono navi da guerra cinesi da New York. Chi è l'impero? Si paventa, non abbastanza, l'uso dell'atomica. L'Occidente è l'unico ad averla usata. A guerra vinta, per affermare il dominio con la violenza; nessun altro lo ha fatto. Si scrive che la Cina è aggressiva; non ha fatto guerre dopo Corea e Vietnam; l'Occidente ne ha fatte in continuazione ovunque. Chi è l'impero?”.
Questo lucido e coraggioso intervento di Rovelli purtroppo, e direi naturalmente, non ha aperto nessun dibattito e non ha modificato di un millimetro la percezione dell’italiano medio delle dinamiche geopolitiche condizionate dagli interessi degli atlantisti.
Qualche anno fa Ben Rhodes, consigliere di politica estera, speechwriter e confidente di Barack Obama, nel suo memoriale riferì che Obama un giorno gli chiese: “Perché scegliemmo Hiroshima?”, “È venuto fuori nelle mie ricerche per il discorso”, dissi. “Decidemmo piuttosto in anticipo di risparmiare Hiroshima da ogni bombardamento convenzionale, in modo da poter poi dimostrare l’impatto della bomba atomica su una città intatta”. “Volevamo dimostrare ai giapponesi di che cosa eravamo capaci”, aggiunse Caroline (Kennedy, figlia di John, ambasciatrice in Giappone ai tempi di Obama). “I giapponesi erano così abituati alle sirene dei raid che non andarono nei bunker quando le sentirono -dissi- soprattutto perché gli aerei non erano tanti” …
Sono dichiarazioni da brivido che sono passate assolutamente inosservate soprattutto alle nostre latitudini, dove l’asservimento agli USA ha annichilito il libero pensiero; dichiarazioni che dimostrano la protervia e la crudeltà dell’impero dominante a livello globale. Tra l’altro trovo sconvolgente che Obama, la cui elezione aveva suscitato un’ondata di speranza per un auspicabile cambiamento di rotta, si sia rivelato un vero sepolcro imbiancato che ha proseguito, senza soluzione di continuità e con un’ipocrisia senza limiti, la politica imperiale dei suoi predecessori.
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