È innegabile che ancora oggi esistano sacche di mentalità etnocentrica e limitata che si ostinano a ignorare la presenza di realtà culturali “diverse”; immaginare che gli attuali livelli di progresso nel campo della tecnica, dei costumi e delle istituzioni, si sarebbero potuti raggiungere senza la messa in campo di una rete di relazioni e di scambi interculturali è una vera follia. Ignorare la presenza di altre culture equivale a precludere la possibilità che preziosi patrimoni di saggezza e conoscenza, si mettano a confronto generando un reciproco arricchimento del rispettivo bagaglio culturale; il tutto indipendentemente dal tipo o livello di progresso singolarmente raggiunto. Le parole chiave del processo interculturale sono: contatto, conoscenza e scambio; è evidente che la fase più delicata è proprio quella del contatto poiché produce fenomeni di reciprocità, di compromesso, di trasformazione, di recepimento dei modelli altrui che conducono a forme di revisione sincretica del proprio apparato ideologico. È necessario pertanto un alto livello di maturità, innescato in un modello culturale consolidato sia dal punto di vista storico che istituzionale.
L’antichità fornisce innumerevoli esempi di virtuosi scambi interculturali, fin dai tempi dell’impero romano e dei viaggi esplorativi di Marco Polo, dalle aperture della dinastia Ming in Cina e dell’epoca d’oro dell’Islam in Spagna e in Sicilia, per arrivare ai grandi flussi migratori, uno per tutti quello verso l’America, che hanno fatto degli Stati Uniti d’America la prima potenza mondiale. Purtroppo il terreno sul quale si registrano i più grossi ostacoli nel processo di amalgamazione culturale è quello religioso e le cause, secondo me, risalgono alla frattura antropologica determinata nei paesi del terzo mondo dai processi di evangelizzazione operati dai missionari cristiani. Il colonialismo cristiano ha travolto usi, costumi e tradizioni di intere nazioni e continenti, provocando un collasso identitario che è alla base dei gravi problemi di sottosviluppo che affliggono soprattutto i paesi africani. Le religioni dovrebbero una volta per tutte liberarsi dalle varie forme di spocchioso dogmatismo che le connota, abbandonare ogni tentazione di intrusione nel potere temporale e dedicarsi solo ed esclusivamente alla sfera etica e spirituale. Oggi a farne le spese, per una sorta di bizzarra legge del contrappasso, sono soprattutto i fedeli come dimostrano i recenti episodi che hanno portato alle stragi di ebrei a Pittsburgh e di cristiani copti in Egitto. I politici dal canto loro devono sfuggire alla tentazione di utilizzare il “fischietto dei cani” (“the dog whistle”); se ne parla molto in questi giorni dopo la strage degli ebrei in America per indicare la cattiva abitudine di alcuni politici di camuffare messaggi che istigano all’odio razziale o religioso all’interno di un discorso apparentemente normale. Per esempio quando un politico, prendiamone uno a caso…, dice che i globalisti vogliono aprire le frontiere consentendo ai migranti di invadere il paese e minacciare lo stile di vita dei cittadini, è facile che succeda che in una nazione armata come l’America o in una che tende ad armarsi come l’Italia sognata dall’attuale governo, un fanatico prenda il fucile e vada in sinagoga a sparare. Rispetto degli altri, tolleranza e amore per il prossimo, regole semplici che non fanno più parte del dizionario del vivere quotidiano.
N.B. Articolo rifiutato da “L’Avvenire di Calabria”
Franco Arcidiaco
mercoledì 13 marzo 2019
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