Ho finito di leggere “Prima di domani” di Jørn Riel e vorrei che qualcuno mi spiegasse perché mai dovremmo strapparci i capelli per la scomparsa del popolo Inuit. Un popolo di violenti selvaggi trogloditi che passava il suo tempo a sterminare ferocemente innocui animali, a stuprare donne e a massacrare antagonisti per futili motivi; per non parlare dell’abitudine, nei tempi di carestia, di esporre le neonate femmine, nude, sul terreno ghiacciato. Frequenti erano, inoltre, gli episodi di cannibalismo.
Tutto questo viene narrato, con ammirato candore, dal nostro ineffabile autore evidentemente inebetito da un senso di incredibile nostalgia. Una natura meravigliosa e incontaminata, devastata da un’etnia che non è stata capace di superare il primo gradino dello stato evolutivo e si è auto-cancellata dalla faccia della terra. E non stiamo parlando della preistoria, Riel colloca la scomparsa dell’ultima Inuit nel 1860!
È incredibile costatare il livello di degrado raggiunto da certa pubblicistica pseudo-ambientalista che, obnubilata da cieco furore ideologico, persegue disinvoltamente e irresponsabilmente l’eterogenesi dei fini, impedendo di analizzare serenamente e scientificamente le dinamiche storico-antropologiche che regolano la storia dell’umanità.
Questa casa editrice “Iperborea” ad ogni libro letto si rivela un bluff ed una promessa mancata, per non parlare della scomodità del formato della sua collana più diffusa e della scarsa qualità delle traduzioni e dell’editing.
Jørn Riel, Prima di domani, Iperborea 2009
domenica 19 giugno 2016
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