mercoledì 17 settembre 2014

FORTEBRACCIO, MONTANELLI, PITOS O LA SUBLIME ARTE DEL CORSIVO

Il corsivo, tra le varie manifestazioni dell'arte giornalistica, è certamente la più raffinata ed è, secondo me, l'ideale punto d'incontro tra giornalismo e letteratura. Se vogliamo prendere per buona la definizione del grande filosofo Friedrich Hegel, che definisce la lettura del giornale "la laica preghiera del mattino dell'uomo moderno", ci possiamo spingere a ritenere il corsivo una sorta di sublimazione di questo rituale; uno degli aspetti più evidenti del corsivo è proprio la reiterazione quotidiana (o settimanale come nel caso del nostro Pitos) che produce una decisa fidelizzazione del lettore. Oggi i giornali abbondano di corsivi ed è ormai di prammatica per il lettore andare a cercare in fondo pagina gli epigoni di un genere che "L'Unità" aveva lanciato con il mitico Fortebraccio, al secolo Mario Melloni. Coltissimo, elegante, eppure semplice e limpidissimo, Melloni usava lo pseudonimo di Fortebraccio, il personaggio dell’Amleto che entra in scena quando tutti i protagonisti sono morti, a raccogliere le testimonianze del dramma e a ordinare che venga reso onore al principe danese. I bersagli della sua satira erano i protagonisti della politica italiana, e il suo corsivo era la prima lettura quotidiana anche per molti lettori di idee politiche diverse o addirittura opposte. Il genere non è nato, come molti ritengono, con Fortebraccio; i manuali di giornalismo lo fanno risalire addirittura ad Antonio Gramsci, a Palmiro Togliatti (che si firmava "Roderigo di Castiglia" su "Rinascita") e Giulio De Benedetti storico direttore de "La Stampa" che, dal 1948 al 1968, firmava in prima pagina gli editoriali per esteso e i corsivi con la sigla Gdb. Arrivò poi, con il suo "Il Giornale", un altro gigante del giornalismo italiano, Indro Montanelli che denominò la sua rubrica "Controcorrente". A seguire, Luigi Pintor e Valentino Parlato su "Il Manifesto". Oggi l'arte del corsivo prosegue gloriosamente il suo cammino: un grande giornale come "La Stampa" ospita ben due corsivisti popolarissimi, quali Massimo Gramellini e Jena (al secolo Riccardo Barenghi), quest'ultimo arrivato tra le colonne del giornale di casa Fiat proveniente dritto dritto da quelle del quotidiano comunista "Il Manifesto"; gli altrettanto celebri Michele Serra ("L'amaca") e Sebastiano Messina ("Bonsai") sono molto seguiti, entrambi, su "La Repubblica". Non includo volutamente nella schiera il bravissimo Marco Travaglio, perché, pur riecheggiando nella sua dotta e colorita scrittura temi propri dei due numi tutelari del genere, produce quotidianamente dei lunghi editoriali che nulla hanno a che vedere con il corsivo propriamente inteso, che deve essere lapidario, un cameo in forma di scrittura, dal tono polemico, tagliente e ironico. L’errore più diffuso consiste proprio nel ridurre il corsivo a “editoriale in miniatura”, ciò non rende giustizia a un genere giornalistico che ha invece una sua identità precipua e, come abbiamo visto, una tradizione di prestigio. I corsivi che Pitos ha voluto denominare "A prescindere", in omaggio al grande Totò (che nella stagione 1956-1957 aveva portato nei teatri di mezza Italia, una rivista con questo nome) corrispondono perfettamente a questo stereotipo e costituiscono, per i lettori de "La Gazzetta del Sud", una piacevolissima e sorprendente nota "anarchica" tra le colonne di un giornale che ha fatto dell'aplomb istituzionale il suo segno distintivo. Nel libro troverete una ricca selezione di quelli che Pitos, con signorile minimalismo, ha voluto definire "graffi"; quindici anni di vita reggina e calabrese riassunti sul filo dell'ironia, dallo stile magistrale, colto e coinvolgente allo stesso tempo. Esilaranti sono i ritratti di noti protagonisti della vita politica e sociale cittadina con il risultato, come succedeva per Fortebraccio, che gli unici che ritengono di aver un buon motivo per sentirsi offesi sono quelli che non appaiono nei corsivi di Pitos, annientati dalla vera arma letale del secolo della comunicazione e della rivoluzione mediatica: l'indifferenza.
Franco Arcidiaco