lunedì 8 marzo 2021

ANILDA IBRAHIMI TRA MACRO E MICROSTORIA

Anilda Ibrahimi è una grande narratrice e questo “Il tuo nome è una promessa” (2017) si colloca appena un passo sotto lo straordinario “Rosso come una sposa” (2008) di cui ho parlato sul blog il 25 gennaio 2009. La Ibrahimi è abile nel tessere le microstorie della sua terra d’origine, l’Albania, nel telaio della macrostoria. La sua terra non è certo avara di Storia, fu Winston Churchill a dire: "I Balcani producono più storia di quanta ne possano digerire". Anilda Ibrahimi è nata e cresciuta nell’Albania Comunista di Enver Hoxha ed è quindi inevitabile che la sua metodologia narratologica sia condizionata da realtà e avvenimenti che lei presume abbiano avuto luogo e che i suoi personaggi si confondano con quelli della vita reale. Il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov sosteneva che l'opera letteraria è storia e discorso allo stesso tempo. “Storia in quanto comprende una certa realtà e avvenimenti che si presume abbiano avuto luogo e personaggi che si confondono con quelli della vita reale. Ma l'opera letteraria è al tempo stesso discorso perché vi è un narratore che narra la storia e un lettore che la percepisce e a questo livello, quello che ha importanza non sono gli avvenimenti raccontati ma il modo in cui il narratore li ha fatti conoscere.” Lo scrittore, il cui linguaggio non può essere neutrale, attinge alle risorse mentali che sono inevitabilmente condizionate dall’impatto degli eventi nel vissuto diretto e quindi prescindono da una valutazione scientifica della realtà. Lo scrittore opera, pertanto, una mediazione tra il valore logico dell’argomentazione e la dose di immaginazione che influenza il percorso di ricostruzione del passato. Non possiamo pretendere pertanto che Anilda sfoderi indulgenza nei confronti del Comunismo; quando Enver Hoxha prese il potere nel 1944 avviò un processo rivoluzionario comunista in un tessuto sociale di tipo feudale segnato da secoli di patriarcato selvaggio. Lenin e Marx hanno insegnato che il processo di transizione al Comunismo non può prescindere da una fase borghese e da una successiva di dittatura del proletariato, ma la microstoria, inevitabilmente, di questa fase di transizione registra solo le conseguenze negative. Ho fatto fatica ad apprezzare questo bel romanzo sia per i giudizi impietosi di Anilda sul periodo comunista del suo Paese, sia per l’ossessivo ricorso al procedimento analettico che genera tensione e disorientamento in chi legge; lo stesso finale indeciso è frutto di questa discontinuità narrativa. La protagonista del romanzo Rebecca, americana, manager di un’organizzazione sovranazionale, arriva a Tirana allontanandosi da un matrimonio in crisi, ma col desiderio recondito di ricostruire una storia familiare che la madre non le ha mai saputo raccontare. “Ha portato la sua vita nella lontana terra dove vagano ancora le ombre della sua infanzia”. A Tirana (“È un posto che ti seduce senza fare nulla per essere seducente”) è accolta da Andi, il funzionario che le farà da assistente, che parla con un “tono svociato” e “le fa venire in mente un cantante di una band heavy metal, nonostante l’abito grigio, anzi fumo di Londra, che lo fa sembrare il testimone di nozze del suo migliore amico all’alba del giorno dopo la cerimonia”. Tra Andi e Rebecca si crea una corrente attrattiva che Rebecca vive con scetticismo e disincanto. “Andi le dice che lui girerebbe la testa, se la vedesse per strada. E lo dice con una tale foga che a lei viene un nodo alla gola. Gli uomini ancora si girano a guardarla, sì, ma lei lo sa, non è nient’altro che un gesto d’addio, un ultimo bagno di stagione”. “È bella Rebecca, a Andi sembra la donna più bella del mondo. Anche se ha gli occhi tristi. La guarda come si guarda un fiore appena sbocciato, pronto a vivere il suo unico giorno. Il suo sguardo non è carico di desiderio ma di incanto, la guarda come il pittore guarda la musa quando ha deciso di regalarle l’eternità”. Molti tratti della narrazione raggiungono livelli di vera poesia, “Nel dormiveglia sente il rumore della pioggia. Finalmente è arrivata. Il ritmo dell’acqua sulla finestra ha una sua dolcezza un po’ amara, quella del fuggitivo che trova riparo lontano da casa e che non riesce a sentirsi in colpa”. L’Albania è il Paese che ha dato ospitalità a sua madre Esther in fuga dalla Berlino nazista (in uno dei tanti flashback troviamo una drammatica descrizione della “Notte dei cristalli”), ma non al punto da metterla al riparo dalla successiva persecuzione degli ebrei ad opera di nazisti e fascisti italiani occupanti. La famiglia di Rebecca è ancora una volta travolta dalla Storia e, allo scoppio della guerra, si ritrova in piena occupazione tedesca, “le loro paure più profonde diventano realtà.” In due pagine, dal grande registro drammatico, Anilda Ibrahimi descrive magistralmente la scena in cui la piccola Abigail si tradisce, rispondendo in tedesco alla brusca domanda di un soldato nazista. I Rosen hanno cambiato identità e lingua per mettersi al riparo, ma “la vecchia lingua ti rantola dentro, relegata in un angolo della mente”. Alla fine, riusciranno a scappare in America (dove nascerà Rebecca) ma perderanno le tracce della sorella di Esther, Abigail, deportata a Dachau. Abigail tornerà da Dachau, ma le due sorelle non si ritroveranno mai più. Abigail condurrà una vita tormentata, in un’Albania preda delle contraddizioni e delle arretratezze civili e sociali a cui, inevitabilmente, nemmeno il comunismo di Enver Hoxha è riuscito a porre riparo. Abigail lotterà disperatamente contro questa realtà, le pagine in cui cerca di conquistare la libertà di genere assieme alla sua amica Italia (un nome volutamente simbolico) sono straordinarie e coinvolgenti, ma nulla potrà. Toccherà a Rebecca fare i conti col passato della sua famiglia, anche con l’aiuto del marito Thomas, che nel frattempo l’ha raggiunta a Tirana per provare a dare un nuovo corso al loro matrimonio. Sarà proprio lui, documentarista e fotografo di successo, a riannodare i fili di quelle vite spezzate ricostruendo in un docufilm le vicende degli ebrei accolti da re Zog e delle due sorelle Esther e Abigail. Grazie al lavoro di Thomas, Rebecca ritroverà il suo uomo (“Questo film per Thomas vuol dire deviare il percorso, alla ricerca di quell’uomo che Rebecca ha visto in lui sin dall’inizio. Vuol dire mettere al riparo l’amore, rovesciare la fine, per ricominciare”) ma troverà in un colpo di scena finale, ma lasciato lì come avesse prodotto un effetto annichilente, la cugina Joanna, figlia di Abigail, che è accorsa alla proiezione e ha riconosciuto la storia della sua famiglia nello schermo. La forma disorganica del romanzo priva del gusto della narrazione classica, ma la formidabile capacità di scrittura della Ibrahimi surroga abbondantemente questa carenza con dei frammenti narrativi veramente memorabili. Quando Rebecca, complice una serata “giusta” di suggestioni musicali e alcoliche, si concede a Andi, leggiamo una scena degna di un film d’autore. “-Facciamo che siamo due che si sono incontrati per caso in una taverna, - aveva detto Rebecca all’improvviso. -E si mettono a bere insieme per non piangere sulle loro vite vuote? – aveva chiesto Andi divertito. -No, così è banale, -aveva riso lei. – Hai ragione. Banale come l’amore. -Non è l’amore che è banale, lo è solo il finale. -Si può avere un amore senza finale? -Sì, in teoria, un amore che non inizia mai e non finisce mai. Ma poi non è più amore. Bisogna inventare una parola nuova, - aveva detto pensoso Andi. … La risposta di Rebecca era stata un lungo bacio. Si era svegliata nel proprio letto con accanto il viso giovane di Andi illuminato dai raggi del sole che entravano dalla finestra. Per una volta non voleva farsi troppe domande. Avevano deciso di trascorrere la giornata al mare. Arrivati a riva, Rebecca si era tolta il vestito ed era corsa verso le onde. … Come ogni donna, era diventata un’altra dopo essersi spogliata davanti a un uomo. Mentre sgusciava via dal vestito aveva quella voluttà che scandisce l’origine del mondo. Poi era sparita in mezzo alle onde come un delfino che esegue il suo numero.” Anilda Ibrahimi, Il tuo nome è una promessa, Einaudi 2017, pagg. 230, € 17,50

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