domenica 30 ottobre 2022

UNA STRAORDINARIA SERATA CON ADELMO CERVI A LOCRI

I compagni dell’ANPI, sezione Locri-Gerace, mi hanno dato l’onore di presentare il libro "I miei sette padri" di Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei Sette fratelli Cervi. Adelmo è un giovanotto di 79 anni assolutamente incontenibile, mi ha dato appena l’opportunità di porgergli qualche domanda e di leggere qualche pagina del libro (quelle che sceglieva lui, però…), non sarò stato un bravo presentatore ma ho avuto l’opportunità di condividere con il numeroso pubblico presente al Palazzo della Cultura di Locri una serata veramente straordinaria e coinvolgente. La testimonianza di Adelmo è stata viva e palpitante, sia nella ricostruzione storica della vicenda della sua grande famiglia, sia nel rammarico per l’inconcludenza politica della Sinistra dei nostri tempi, rammarico che ha racchiuso in una clamorosa invettiva che ha fatto spellare le mani del pubblico con un interminabile applauso. Ecco una breve nota sul libro scritta da Aldo Rotolo. “Si è voltato” dice a un certo punto Genoeffa Cocconi coniugata Cervi, a proposito del suo figliolo Aldo. E Aldo, Cervi, è il padre dell’ Adelmo che scrive. Dolente di non averlo potuto conoscere davvero, era davvero troppo piccolo, va alla sua ricerca non solo storica, tutt’altro che agiografica – contro l’agiografia si scaglia più volte e con energia, quando dice “sono figlio di un mito” tra polemica e tristezza. Si tratta di storia familiare ma anche di una ricerca più intima dell’identità e anche della carnalità di un padre sempre presente, nella sua assenza, nella sua invincibile mancanza. Ma oltre a questo “I miei sette padri” è un affresco, anche linguisticamente significativo nella sua genuinità mai ingenua, di un tempo e di una civiltà contadina ormai scomparsa, nei suoi caratteri di ingiustizia e miseria, e di solidarietà e voglia di riscatto. Aldo è uno serio, che quando fa una cosa la fa sul serio e fino in fondo: quando era cattolico praticante era il primo in chiesa e nelle attività della parrocchia, quando si “volta”, dopo tre anni di galera militare sofferti solo per aver adempiuto alla consegna durante il servizio di guardia, sarà altrettanto serio. Nello studio a cui lo inizia l’università della galera, come nell’attività politica e poi nell’azione della Resistenza. La Famiglia Cervi, quasi una tribù, nella migliore tradizione della civiltà contadina è fatta da Papà Alcide, Mamma Genoeffa e 7 figli 7, per l’elenco rimando alla lettura coinvolgente, ricca e commovente a tratti del libro. Oltre a loro tutto un arcipelago di parenti e vicini e poi compagni di lotta, ma soprattutto di lavoro, ché di lavoro ce n’è tanto ma tanto da scoppiare, per far progredire, come poi sarà tutta la baracca nei suoi vari spostamenti da mezzadri fino ai Campi Rossi dove, finalmente affittuari, potranno dar corso e applicazione in campo a tutto ciò che Aldo ha studiato nei libri e nei corsi di agricoltura. E il successo a caro prezzo di sudore arriva, con uno dei primi trattori della provincia per sostituire il valoroso toro nel traino degli attrezzi per livellare il terreno e renderlo così più produttivo perché meglio irrigabile. Ma il fascio è sempre lì, quando non danneggia direttamente, ostacola con la sua ignoranza e prepotenza, anche alimentando la diceria che i “Ruban”, il soprannome di famiglia – senza un soprannome non sei nessuno, son tutti matti! E poi la guerra, spartiacque storico, che lo vediamo anche oggi, chiarisce e confonde insieme. Ma Aldo e i suoi, familiari e non solo, sanno bene da che parte stare. E’ una scelta da un lato spontaneo portato di una cultura dedicata alla vita: cos’è altro lavorare per arare, piantare e far crescere le messi e allevare gli animali? Dall’altro è il risultato di una cultura maturata negli studi da autodidatta e nella pratica politica di un “dirigente nato”, ma senza nessuna spocchia o pretesa. Poi i primi passi necessariamente incerti di una banda partigiana fatta in casa e senza troppi collegamenti, anzi anche spesso osteggiata da una parte del Partito, la più vicina, da cui ci si aspettava aiuto e consiglio, che si vanno a cercare nel territorio a fianco, dove si trova più apertura e solidarietà umana e politica. Ma se la memoria storica e antropologica sono preziose e di prima mano, in questo bel libro, la cosa che più attrae e obbliga a continuare a leggere senza interrompere, è il flusso di coscienza che Adelmo, figlio e anche un po’ padre e fratello di Aldo suo padre, esprime e lascia andare senza soluzione di continuità per tutte le quasi 400 pagine. E forse per chiudere non c’è niente di meglio della citazione dal testo in cui l’Adelmo si rivolge direttamente ad Aldo: “Grazie per ‘Avermi voltato’, insieme a tanti compagni di ieri e di oggi. Grazie per quelli che ‘volterai’ domani. C’è ancora tanto per cui lottare, in questo mondo”. E poi la foto all’inizio pagina 10, quella stessa di cui l’Adelmo parla così alla fine: “Ma al momento di metter via tutto… mi accorgo che la foto - quella coi vestiti belli, che insieme all’altra mi fa da santino – è stampata all’incontrario, all’inizio del catalogo del museo. (…) Vorrà dire che poter (!) raccontare - la mia storia – all’incontrario? Forse sì. (…) Ma anche così sarei arrivato qui, da te”. Aldo Rotolo aldored@gmail.com

C’È UNA QUESTIONE MERIDIONALE ANCHE NEL PNRR

«La questione meridionale» è un tema caro a noi della Riviera ed ai nostri lettori, Pasquino Crupi ci ha istruito su questa dottrina e, seguendo una linea di pensiero che risale dritta dritta ad Antonio Gramsci, ci ha spiegato che l’emigrazione era la causa che stava alla radice del problema: «Gli emigranti e le loro famiglie da agenti della rivoluzione silenziosa si mutarono in agenti per dare allo Stato i mezzi finanziari per sussidiare le industrie parassitarie del Nord» (A. Gramsci, La questione meridionale). La genesi del fenomeno risale al 1861, all’atto dell’Unità il reddito pro capite nel Mezzogiorno era di un quarto inferiore a quello del settentrione. I motivi erano molti, in primis gli effetti della dominazione borbonica e l’instabilità politica. L’Unità d’Italia peggiorò la situazione del meridione, poiché venne esteso all’intero territorio nazionale il regime liberistico del Piemonte sabaudo senza tener conto delle enormi differenze in campo amministrativo, legislativo e sociale. La pressione fiscale stroncò l’economia del Mezzogiorno che non era in grado di sostenerla, il tutto a scapito di un fragile sistema manufatturiero che finì per crollare miseramente. Da allora fu esodo, che non si è mai interrotto fino a raggiungere nel decennio 1951-60 la quota di oltre due milioni di persone che abbandonarono il Mezzogiorno per trasferirsi nelle città del Nord o all’estero. Gli abitanti del Sud si trasformarono in un bacino di manodopera che serve ancora oggi ad alimentare l’impetuoso sviluppo industriale del Nord. Il dato da analizzare è quello demografico che continua a rimanere di stretta attualità. Nel primo ventennio del Duemila il Sud ha perso due milioni di residenti, di cui la metà giovani tra i 15 e i 34 anni, per un quinto laureati. La parte pregiata degli abitanti, quella più giovane e istruita, se n’è andata. Secondo le previsioni dell’Istat, se questa tendenza non dovesse invertirsi, entro il 2056 le regioni meridionali perderebbero oltre 5 milioni di persone: un abitante su quattro. Non è necessario essere grandi economisti per capire che se non c’è forza lavoro, la popolazione attiva che rimane non produce più ricchezza per sostenere il welfare, accrescendo così la dipendenza dal Nord. Sempre l’Istat ci dice che tra il 1996 e il 2019, mentre la popolazione del Nord è cresciuta del 9,3 per cento, quella del Sud è diminuita del 2 per cento. Francesca Mariotti, direttore generale di Confindustria, sottolinea che ogni anno le regioni del Mezzogiorno perdono 130 mila abitanti: «È come se scomparisse, ogni dieci anni, una città come Napoli o Palermo». Per rendere meglio l’idea, leggiamo altri dati forniti dal Rapporto Svimez. Nel 2022 il Pil pro capite al Sud è quasi la metà di quello del Nord: 20.900 euro contro 38.600. Il tasso di disoccupazione nel primo trimestre 2022 è stato del 5,7 per cento al Nord e del 15,2 per cento al Sud. Per tassi di occupazione nella Ue, Sicilia, Campania, Calabria e Puglia sono in fondo alla graduatoria, negli ultimi dieci posti su 300, insieme alla Guyana francese. Quanto alle donne, nel Mezzogiorno lavora una donna su tre. Due esempi, per capirsi meglio: a Bolzano il tasso di occupazione femminile è al 63,7 per cento, in Sicilia al 29,1. Arriviamo al disastro della sanità: ogni anno due miliardi di euro vengono trasferiti dalle regioni del Centro-Sud a quelle del Nord per fornire ai meridionali le cure che non riescono ad avere nei loro ospedali. Il motivo è semplice: ogni anno la regione che eroga la prestazione viene rimborsata da quella di residenza del cittadino. E così accade che la sanità calabrese nel 2020 abbia versato nelle casse della Lombardia 230 milioni di euro. Nel 2023, sempre secondo lo Svimez, il Pil dovrebbe crescere dell’1,7% nelle regioni centro-settentrionali, e dello 0,9% in quelle del Sud. Nel 2024, il divario di crescita a sfavore del Sud dovrebbe peggiorare ulteriormente di circa 6 decimi di punto, attestandosi a +1,3% di fronte al +1,9% al Centro-Nord. In campo energetico la Calabria non dovrebbe avere problemi essendo grande produttrice nel comparto idroelettrico, ma non si capisce per quale motivo la popolazione non riesca a trarne beneficio. Se a tutto questo aggiungiamo le croniche deficienze burocratiche degli Enti di ogni ordine e grado il quadro diventa ancora più scoraggiante e getta un’ombra sinistra sulla possibilità che il PNRR possa aiutare a ridurre il divario. Pensate che i Comuni del Sud impiegano mediamente circa 450 giorni in più rispetto a quelli del Nord per completare la realizzazione delle infrastrutture e che non si contano i cantieri di opere pubbliche fermi o abbandonati. Se andiamo nel campo della giustizia vediamo che un procedimento civile nel Centro-Nord richiede 695 giorni e al Sud 1.101. Per carità di patria sorvoliamo sul disastro della giustizia penale e sui clamorosi flop delle mirabolanti imprese dei “magistar” allignati nelle Procure meridionali che costano all’erario cifre iperboliche e incidono pesantemente sul tessuto sociale e civile delle regioni meridionali sempre più connotate quali capitali del crimine. Reggio è stata la città in cui nel 2020 sono stati elargiti più fondi per risarcire chi aveva subito un’ingiusta detenzione con quasi 8 milioni, a seguire Catanzaro con 4 milioni e mezzo. E il Pnrr, direte voi? Molti analisti sono scettici e non ritengono che possa aiutare a ribaltare questo stato di cose, d’altra parte lo stesso meccanismo di assegnazione non alimenta molte speranze. Il metodo di ripartizione dei finanziamenti europei è, infatti, basato sulla competizione territoriale, che avvantaggia di fatto le più efficienti amministrazioni del Centro-Nord. Un buon segnale di reazione e consapevolezza è giunto dalla rete Recovery Sud che vede 323 sindaci dei comuni meridionali riuniti a cercare soluzioni adeguate a contrastare il sempre più probabile rischio di una iniqua ripartizione dei fondi; ma la notizia di questi giorni che l’economista Fabio Panetta abbia respinto l’offerta del dicastero dell’Economia mettendo in guardia la Meloni sui ritardi del processo di attuazione del Pnrr, getta un’ombra sinistra sul nostro futuro.

martedì 4 ottobre 2022

IL BRIGANTE VLADIMIR, IL BUON SAMARITANO JOE E LA WONDER WOMAN URSULA Parte 1^

Ricordate la storia del rischio imminente di carestia e dei paesi africani costretti alla fame da quel cattivone di Putin? L’avete già scordata anime belle che non siete altro, ora state pensando solo a dove trovare i soldi per pagare la bolletta della luce e vi cullate nella segreta speranza che ve la paghi SuperMario o la sua ancella SuperGiorgia. Ma una domanda ve la voglio fare lo stesso: se c'era il rischio di carestia mondiale come mai le navi cariche di cereali ucraini partite dal porto di Odessa non sono affatto andate verso i paesi del terzo mondo a rischio carestia ma solo da chi poteva pagar bene? Semplice: perché non c'è e non c'era nessuna carestia mondiale in corso, e neppure la si rischiava. Il grano era aumentato di prezzo già a dicembre 2020, e i paesi del terzo mondo avevano già difficoltà a pagarlo, ma allora l'Occidente era in tutt’altre faccende affaccendato. Così alla fine il grano ucraino che sarebbe dovuto servire ad alleviare la fame nel mondo, ce lo siamo dovuti comprare noi per darlo da mangiare al bestiame. Quando gli americani e la Nato hanno provocato Putin al punto di costringerlo ad intraprendere la sciagurata e folle avventura dell’“Operazione speciale” hanno ovviamente costretto l'Unione Europea a entrare in questa storia, prospettando una rapida vittoria, grazie all'annuncio di sanzioni "mai viste". Nessuno si aspettava di pagarne le conseguenze, perché era stato fatto credere che i russi sarebbero capitolati immediatamente. Tutti fingono di ignorare, compresi ahimè i giornalisti italiani, che la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è sotto totale controllo degli americani tramite il marito Heiko Echter von der Leyen, medico tedesco e membro della nobile famiglia von der Leyen. Da dicembre 2020, Heiko è direttore medico della società biotech statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche, che possiede la tecnologia mRNA e di conseguenza manovra il business da 36 miliardi di dollari della Pfizer. Avete bisogno di sapere altro? Dal canto suo la Nato che ha un apparato tecnologico fantasmagorico ma è carente di truppe (gli antichi la chiamavano “carne da cannone”) ha svolto la sua classica funzione di “stoke masked fire” armando gli ucraini e svuotando i magazzini delle fabbriche di armi americane la cui lobby notoriamente tiene in pugno tutti i presidenti americani, democratici o repubblicani che siano. Tenetevi stretta la favoletta di Biden buon samaritano e di Putin brigante se vi star tranquilli e via a braccetto verso l’apocalisse prossima ventura.

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE ROBERTO OCCHIUTO

UN’ALTRA ESTATE SPRECATA Caro Presidente, un’altra estate è passata e non possiamo nasconderci che, nonostante la sua buona volontà, siamo costretti a rubricarla come l’ennesima occasione mancata per lo sviluppo turistico della nostra regione. D’altra parte, miracoli non se ne possono fare e le premesse erano quelle che erano: i danni che abbiamo inferto al paesaggio in decenni di politiche scellerate non sono recuperabili con attività ordinarie e la povertà di infrastrutture non si può certo colmare con un anno di lavoro virtuoso. Se poi a tutto questo aggiungiamo una cronica incapacità di comunicare in modo virtuoso la bellezza del nostro territorio, il quadro è completo. L’ultimo claim pubblicitario efficace sulla Calabria, l’ha prodotto nel 1353 nientemeno che Giovanni Boccaccio (toscano di nascita e cultura) che, nella seconda giornata della quarta novella del Decameron, declamò testualmente: “Credesi che la marina da Reggio a Gaeta sia quasi la più dilettevole parte d’Italia”. Da allora, purtroppo, è stato tutto un continuo degradare fino ad arrivare, quasi 600 anni dopo, all’amara definizione di Giustino Fortunato che nel 1904 bollò la Calabria come uno “sfasciume pendulo sul mare”, al grido di dolore di Umberto Zanotti Bianco negli anni Venti del secolo scorso “Tra la perduta gente” e alla drammatica e lapidaria constatazione di Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli” del 1944. Dopo di allora è stato un continuo susseguirsi di iniziative sprovvedute, improvvisate e superficiali (se non vogliamo metter in dubbio la buona fede) che via via sono solo servite a riempire le tasche di personaggi improbabili e guitti alla ribalta. Veda caro Presidente, io mi sono iscritto al PCI nel 1971, comunista ero e comunista sono rimasto anche oggi che del Comunismo è rimasta solo un’idea appannata e distorta; le devo dire però che della Destra (quella democratica, intendo) ho sempre invidiato il pragmatismo e la capacità dei suoi uomini migliori di svincolarsi dai dogmi dottrinari nell’affrontare i problemi del quotidiano. Per dirla con Woody Allen, “ammiro la Destra perchè ha sempre pronte risposte facili a domande difficili”. Ecco quello che mi aspetto da lei caro Presidente, risposte facili e interventi conseguenti. Ad oggi debbo registrare proficui risultati in campo culturale, grazie anche all’impegno e alla capacità della Vicepresidente Giusi Princi, ed anche nel campo minato della sanità dove lei sta svolgendo a tutti gli effetti il ruolo dello sminatore. Ho apprezzato molto che, dimostrando grande apertura mentale, abbia voluto ascoltare i consigli di uomini della “parte avversa” quali Rubens Curia di “Comunità Competente” in materia di Sanità e di Tonino Perna in materia di prevenzione degli incendi. Certo non posso pretendere che nell’arco di una legislatura riesca a demolire tutti gli ecomostri e i palazzi non finiti che deturpano il nostro paesaggio, ma un intervento in questa direzione va fatto, la rimando per questo al prezioso saggio di Piero Lo Sardo e Renato Nicolini: “Rottamare il degrado” (Laruffa edizioni). Le uniche sirene a sinistra che le chiedo di non ascoltare sono quelle di un certo ambientalismo dilettantesco, scellerato e irresponsabile che fino ad oggi ha solo contribuito a bloccare lo sviluppo della Calabria e a perpetuare il degrado del territorio. Un intervento urgente che le chiedo di attuare riguarda la rete stradale (Traversale delle Serre, Sibari-A2 e SS 106 in primis) e la manutenzione delle strade provinciali ridotte in modo pietoso da buche e assenza di segnaletica orizzontale; a questo proposito la informo che la nostra Regione è l’unico posto al mondo dove Google Maps non riesce a raccapezzarsi in alcun modo, provi ad usarlo utilizzando strade che conosce e ne sentirà delle belle! Per finire, le pongo una domanda solo apparentemente capziosa: perchè il problema della raccolta e smaltimento dei rifiuti è enormemente più grave nella provincia di Reggio rispetto alle altre? Buon lavoro, suo Franco Arcidiaco