lunedì 22 aprile 2019

LA SCOPA DI DON ABBONDIO di LUCIANO CANFORA

Questo agile libello è un compendio straordinariamente utile a decodificare gli, altrimenti incomprensibili, meccanismi che hanno condotto l’umanità alla situazione attuale. Uno stadio generalizzato di caos politico, governato strumentalmente dal potere finanziario utilizzando le suggestioni populiste di governanti improvvisati. Un potere incurante delle sorti delle future generazioni, che pensa solo ad accumulare il massimo della ricchezza accompagnandoci presso il baratro. Ma per Luciano Canfora la lezione che ci viene dalla Storia è che, dopo l’esaurirsi di una fase storica (in questo caso la “rivoluzione” della democrazia), “maturano immancabilmente le condizioni per una nuova scossa: di quelle che a don Abbondio apparivano salutari colpi di scopa”. Il titolo del libro deriva infatti da un passo de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, capitolo XXXVIII: “È stata un gran flagello questa peste, ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti che, figlioli miei, non ce ne liberavamo più”.
Canfora, tra l'altro, opera nel testo una interessante rilettura di "Guerra e Pace" definendolo una sorta di strumento creativo lanciato come sfida di Tolstoj agli storici; è un approccio ai classici che trovo molto stimolante poiché conferma la mia convinzione che un ritorno alla lettura dei grandi capolavori della letteratura universale, che probabilmente non prendiamo in mano da decenni, è senz'altro utile poiché tra quelle pagine sono custodite delle rivelazioni che colpevolmente abbiamo dimenticato o, all'epoca della prima lettura, non avevamo colto. Ma Canfora si rivela comunque impietoso nei confronti di Tolstoj che alla fine "perde la sfida con se stesso e si concentra sui destini e le volontà dei singoli"; come impietoso è con i giornalisti nostrani che dovrebbero aiutarci a decodificare la realtà e ne sono incapaci, poichè si ritrovano sempre in balia del "celebre, diuturno, eroico conflitto tra spina dorsale e pagnotta". Canfora analizza il trionfo del populismo sovranista che è "agevolato dal baratro che si è venuto aprendo tra 'sinistra e popolo'". La sua convinzione è che le cause di questo trionfo risiedano nella abdicazione della sinistra ai compiti e ai fini per cui sorse, processo questo che consente ai nuovi "movimenti fascistici"di lucrare su un disagio vero; l'istanza di maggiore giustizia sociale è stata regalata alla destra: "il parafascismo leghista e lepenista si propone come paladino del popolo, mescolando torti e ragioni". E chissà comunque che, per quanto riguarda il nostro Paese, i mali non risalgano addirittura al Principe di Machiavelli e a quel terribile capitolo 18, per dirla con Norberto Bobbio, che invoca la separazione tra etica e politica. Per quanto riguarda poi il problema delle migrazioni, Canfora non esita a farne risalire le cause al colonialismo, controbattendo alla teoria di Goffredo Buccini che dalle pagine del Corriere della Sera aveva auspicato l'avvento di una fase di colonialismo solidale: "Per secoli l'Europa ha messo alla croce il resto del mondo, ora però è diventata buona, dunque è matura per un nuovo esperimento di colonialismo, questa volta buono. Immemore, forse, l'autore di tale pensiero, che la teoria del colonialismo civilizzatore fu già del fascismo e della Chiesa, in opposizione (strumentale) al colonialismo sfruttatore di stampo anglo-ispano-francese. È sappiamo come è andata a finire". Il vero padrone delle esistenze individuali oggi è l'onnipotente macchina del credito e nessun potere politico appare in grado di arginare o spezzare questa nuova catena. Ma dove veramente Canfora risulta impietoso è nell'analisi dei sessantottini: "Pensavano di reagire a un declino, e di 'fare la rivoluzione', ma erano in sostanza dei liberali effervescenti, che rinnovarono il costume, non la politica: spesso fervidi amministratori, una volta raggiunta l'età adulta, delle proprie fortune". L'analisi conclusiva a questo punto scaturisce quasi naturale: "Ad una sinistra sempre più 'civile', 'elegante', 'innocua', si è posta di fronte la faccia più dura, criminale e vincente, del capitale: quello parassitario-grandecriminale-finanziario, fuori controllo rispetto ad ogni entità o autorità (statale o sovranazionale) e capace di comprare tutto. Non ha patria, ha solo tentacoli". A suffragare le sue tesi, Luciano Canfora chiama all'appello nientedimeno che Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e Thomas Mann, ponendo in appendice dei brevi testi tratti dalle loro principali opere, le cui argomentazioni si rivelano straordinariamente attuali ed efficaci.
Luciano Canfora, La scopa di don Abbondio,
Editori Laterza, pagg. 98, € 12,00
Franco Arcidiaco